Riassunto dei vari articoli sui femminicidi

Da Tematiche di genere.
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Altri articoli

Anatomia della violenza, le radici biologiche del crimine Di Adrian Raine


http://noisefromamerika.org/articolo/femminicidio

L'articolo è ben scritto, utilizza toni pacati e una introduzione ben scritta che denota il giusto tatto.

http://www.ilfoglio.it/articoli/2015/06/06/news/piano-col-tormentone-femminicidio-84567/

https://barbarabenedettelli.it/wp-content/uploads/2018/06/Indagine-completa-omicidi-nelle-Ris-i-numeri-oltre-il-genere-1.pdf

https://time.com/30545/its-time-to-end-rape-culture-hysteria/

https://violenza-donne.blogspot.com/2013/04/femminicidio-2012-confermata-finalita.html (riassunto)

https://violenza-donne.blogspot.com/2014/09/quella-squallida-menzogna-del.html (riassunto)

http://lnx.ispitalia.org/archives/article/femminicidio-e-violenza-maschile-un-binomio-da-sfatare-la-violenza-non-ha-genere

https://violenza-donne.blogspot.com/2015/12/un-anno-caso-2014-smascherata-la-bufala.html

https://violenzafamiliare.wordpress.com/2013/08/19/la-calunnia-del-femminicidio

https://www.facebook.com/groups/1082284531868057/permalink/1534765623286610/

https://www.facebook.com/page/658473344207132/search/?q=femminicidi

https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/11/femminicidio-numeri-sono-tutti-sbagliati/590171/

https://www.ilpost.it/davidedeluca/2013/05/20/i-veri-numeri-sul-femminicidio/

https://www.ilpost.it/davidedeluca/2013/05/28/tutti-i-numeri-sul-femminicidio-2/

https://www.pensierocritico.eu/manipolazioni-statistiche.html

Femminicidio e violenza maschile: falso binomio

http://lnx.ispitalia.org/archives/article/femminicidio-e-violenza-maschile-un-binomio-da-sfatare-la-violenza-non-ha-genere Di Monica Leva, psicoterapeuta e presidente I.S.P.

«Non vi è giorno in cui i media non diffondano notizia di nuovi casi di cronaca nei quali mogli, compagne, fidanzate, figlie, donne di differente età, vengono uccise da mariti, fidanzati, ex, padri, comunque uomini e il termine “femminicidio” è certamente uno dei più ricorrenti, ma di sicuro non l’unico possibile e tantomeno il più appropriato ad ogni circostanza. Definire indiscriminatamente  femminicidio ogni singolo episodio di violenza contro le donne, presuppone, infatti, un preciso orientamento teorico e l’assunzione implicita di un punto di vista non sempre pertinente.

In un’epoca in cui la violenza attraversa abbondantemente tutte le relazioni umane, è fin troppo facile considerare quella sulle donne una manifestazione unitaria e dalla matrice univoca, e sicuramente non aiuta a comprenderne la vera natura e a contrastarla adeguatamente.

Il primo passo verso una maggiore comprensione del fenomeno è quello di esaminare le condotte violente nelle loro varie sfumature e definizioni, iniziando, così, ad uscire dal grande “contenitore” della cosiddetta violenza di genere.

Infatti, con questo termine viene ormai indicata “qualsiasi” forma di violenza che una donna subisce per mano di un uomo, qualora quest’ultima non sia vittima accidentale di un evento che la trova coinvolta solo casualmente.

Per quanto non sia così facile risalire alle origini di tale espressione, la si incontra ufficialmente per la prima volta nella Declaration on the elimination of violence against women, adottata dall’ONU nel 1993, che testualmente recita:

«Per gli scopi di questa Dichiarazione, il termine “violenza contro le donne” significa ogni atto di violenza di genere che esita in (o è probabile che esiti in) danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche verso le donne, includendo minacce di questi atti, coercizione o deprivazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica o in privato».

Sebbene appaia qui evidente la volontà di circoscrivere tale definizione a un ambito specifico e circoscritto nel tempo e nello spazio, l’espressione “violenza di genere” ha iniziato a essere, perlomeno nel nostro Paese, ampiamente associata alla violenza nei confronti della donna tout-court, senza il necessario discernimento rispetto alle sole situazioni in cui  è il diverso genere della persona che subisce violenza rispetto a chi la perpetra, il movente essenziale di colui/colei che la agisce.

E sebbene soltanto da quest’ultima prospettiva sia possibile far discendere il concetto di “femminicidio”, altrettanto si tratta di un termine ormai da tempo usato e abusato in modo spesso improprio e fuorviante.

Se, infatti, le argomentazioni tradizionali impiegate per rendere conto della violenza contro le donne, come appunto il genere e ancorpiù il patriarcato, sono state parzialmente aderenti alla realtà nel passato e forse ancora oggi in specifici contesti sociali e culturali arretrati, attualmente non sono assolutamente sufficienti a descrivere la fenomenologia corrente.

il termine “femminicidio” fu coniato in ambito giuridico dalla criminologa Diana Russell, che lo introdusse per la prima volta 1992, nel libro Femicide. Secondo la stessa autrice, il concetto può contemplare tutte quelle situazioni in cui: «…la morte della donna rappresenta l’esito o la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine».

Possiamo quindi, anche qui, rilevare la matrice patriarcale dell’assunto che circoscrive palesemente l’uccisione di una donna in quanto donna per mano maschile, indipendentemente dalla specificità della vittima e della relazione con l’autore di violenza. Il paradigma patriarcale, che a sua volta nasce col femminismo marxiano, interpreta la società dell’epoca precipuamente sul criterio del genere

  • il maschile dominante sul femminile
  • la famiglia come luogo elettivo di oppressione
  • la violenza nella coppia quale strumento maschile privilegiato per mantenere le donne in uno stato di dipendenza e sottomissione

In realtà, oggi, gran parte della violenza e della conflittualità nella coppia, non deriva affatto di una ideologia di sopraffazione dell’uomo sulla donna e non ha alcuna specificità di genere: prova ne è la rilevante presenza di violenza femminile non esclusivamente in risposta a quella maschile e quella agita, ad esempio, all’interno delle relazioni intime tra persone dello stesso sesso.

Il messaggio che viene invece implicitamente veicolato dai media è quello che l’uomo, in quanto maschio, sia violento a priori e, come noto, il rischio degli stereotipi è che divengano una chiave di lettura riducente e distorcente della realtà.

Questo preconcetto gravissimo e fuorviante che attribuisce un sesso alla violenza e ne relega le cause a presunte caratteristiche innate e “naturali”, pone, di fatto, le basi per un estremo pregiudizio, annullando il ruolo e la responsabilità personali.

I fenomeni di violenza sono molto complessi e articolati e soprattutto hanno una storia e un significato. Sono numerosi gli esempi storici e le ricerche scientifiche che dimostrano come, per l’essere umano, l’aggressività non sia affatto qualcosa di “naturale”, non dipenda dal DNA e non risponda a dinamiche codificabili e che l’agire violento sia piuttosto un atto contestuale e non mai il mero risultato di innati e incoercibili processi biochimici.

Come ben spiega e documenta nel suo libro, “La bestia dentro di noi. Smascherare l'aggressività” Adriano Zamperini, docente di Psicologia della violenza, di Psicologia del disagio sociale e di Relazioni interpersonali all’Università di Padova: «…non esiste una presunta molla aggressiva alla quale ascrivere le azioni violente verso gli altri e non esistono supporti empirici che possano dimostrarla».

L’errore è proprio quello di lavorare troppo spesso sulla categoria piuttosto che sulle persone.

A riprova di questo, se prendiamo in considerazione la teoria dell’apprendimento sociale, secondo la quale i comportamenti violenti sarebbero frutto di modelli educativi appresi, trasmessi a livello intergenerazionale, possiamo coglierne facilmente i limiti.

Una vasta letteratura scientifica dimostra innanzitutto che non tutti i bambini cresciuti con genitori violenti e/o che abbiano subito abusi divengano poi adulti violenti, ma neppure nel caso contrario (ovvero di bambini violenti con genitori violenti), si può escludere a priori la variabile che le cause della violenza siano correlate ad altri e diversi fattori ambientali sfavorevoli.

Tantomeno è impossibile pensare di non prendere in considerazione, nell’essere umano, i fattori soggettivi sia di rischio che di resilienza.

Una lettura esclusivamente sociologica, fondata soltanto sulla devianza, si traduce inevitabilmente in una forma vera e propria di “riduzionismo filosofico”, un grave problema ideologico che porta alla perdita della dimensione della complessità; l’individuo va compreso nel suo contesto e nella sua storia, e questo è terreno di specifica pertinenza della psicologia.

Non sono infatti concepibili modelli di intervento idonei ed efficaci sugli autori di violenza che non contemplino la variabile psicologica del fenomeno, la soggettività e il funzionamento della loro personalità.

Nel nostro Paese esiste una carenza profonda sull’intervento psicologico sul tema e, da questo punto di vista, quando si parla di relazioni maltrattanti, il cui meccanismo fondante è la distruzione dell’altro, occorre innanzitutto evidenziare che questo è assolutamente identico per uomo e donna.

Lo stesso termine violenza domestica, coniato negli anni ’70 e usato in modo generico dagli studiosi per indicare la violenza nella coppia matrimoniale, in cui la vittima era tipicamente la donna, oggigiorno viene utilizzato per designare qualsiasi atto di violenza tra partner, senza alcuna definizione a priori del genere dell’abusante e della vittima.

Altrettanto si può affermare per l’espressione Intimate Partner Violence (IPV), denominazione più recente, comparsa nel 2000 e maggiormente diffusa nella letteratura internazionale per connotare la violenza tra persone che abbiano, o abbiano avuto, una qualunque relazione intima (coniugi, fidanzati, partner occasionali, etc.). Ovviamente, al passo con i mutamenti sociali, non è più stato possibile concepire soltanto la coppia classica eterosessuale e la moglie tradizionalmente sposata quale esclusiva, possibile vittima dell’uomo.

Una lettura puntuale e profonda del comportamento violento, porta a identificarne le radici in due configurazioni relazionali tipiche e tra loro molto differenti, ovvero

  • all’interno di una situazione di conflittualità di coppia molto elevata, caratterizzata dall’incapacità di separarsi
  • oppure in una struttura di personalità dell’autore di violenza francamente patologica

Se nel primo caso è la relazione disperante l’elemento fondante del maltrattamento, relazione che genera sofferenza e nella quale la violenza diventa l’espressione difensiva disfunzionale da un dolore antico destabilizzante che si rivive,

Nel secondo caso si tratta generalmente di un grave disturbo della personalità caratterizzato, secondo una chiara definizione di Caretti e Craparo del 2010, «da una condizione di aggressività istintuale e dall’incapacità di stringere una relazione oggettuale basata sulla reciprocità e sulla corrispondenza delle comuni emozioni», che conduce il soggetto ad agire una violenza unilaterale indipendentemente dalla relazione con quello specifico partner.

In conclusione, la psicologia, che per suo intrinseco mandato mai prescinde dagli individui, dalle loro relazioni, dalla loro mente e dalle loro storie, non può che negare ogni e qualsiasi definizione e/o classificazione dell’atto violento che escluda un’accurata indagine del soggetto e delle circostanze.

Da ciò si evince definitivamente che l’essere umano di genere maschile nella sua generalità non umilia, picchia, o peggio ancora uccide il proprio partner poiché cela immancabilmente  in sé un maltrattante, ma questo può accadere e, purtroppo accade, in condizioni specifiche e talvolta estreme che sarebbe importante imparare a riconoscere a fini preventivi, proprio perché caratterizzate da segnali precisi e ricorrenti.

Attraverso una richiesta precoce di aiuto, la psicologia può efficacemente intervenire nello spezzare la spirale della relazione violenta, così contribuendo alla diminuzione degli episodi di maltrattamento spesso ad esito letale di cui oggi constatiamo la crescita esponenziale.»

È ora di porre fine all'isteria della "cultura dello stupro" (del Time)

Di seguito l'articolo tradotto: https://time.com/30545/its-time-to-end-rape-culture-hysteria/

"Lo stupro è americano come la torta di mele", afferma la blogger Jessica Valenti. Descrivono la nostra società come una “cultura dello stupro” in cui la violenza contro le donne è così normale, quasi invisibile. Film, riviste, moda, libri, musica, umorismo, persino Barbie - secondo le attiviste - cooperano nel trasmettere il messaggio che le donne sono lì per essere usate, abusate e sfruttate. Recentemente, la teoria della cultura dello stupro è migrata dagli angoli solitari della blogosfera femminista al mainstream. A gennaio, la Casa Bianca ha affermato che dobbiamo combattere lo stupro nel campus "[cambiando] una cultura di passività e tolleranza in questo paese, che troppo spesso permette a questo tipo di violenza di persistere".

Tolleranza per lo stupro? Lo stupro è un crimine orribile e gli stupratori sono disprezzati. Abbiamo leggi severe che gli americani vogliono vedere applicate. Sebbene lo stupro sia certamente un problema serio, non ci sono prove che sia considerato una norma culturale. L'America del ventunesimo secolo non ha una cultura dello stupro; quello che abbiamo è una lobby fuori controllo che conduce il pubblico e i nostri leader politici e educativi sulla strada sbagliata. La teoria della cultura dello stupro sta facendo poco per aiutare le vittime, ma il suo potere di avvelenare le menti delle giovani donne e portare ad ambienti ostili per i maschi innocenti è immenso.

Nei campus universitari, l'ossessione di eliminare la "cultura dello stupro" ha portato alla censura e all'isteria.

  • Alla Boston University, attivisti studenteschi hanno lanciato una petizione chiedendo la cancellazione di un concerto di Robin Thicke perché il testo della sua canzone di successo "Blurred Lines" avrebbe celebrato "il patriarcato sistemico e l'oppressione sessuale". (I testi potrebbero non essere esattamente piacevoli per molte donne, ma i testi delle canzoni non trasformano gli uomini in stupratori. Eppure, ridicolmente, la canzone è già stata bandita in più di 20 università britanniche.)
  • Gli attivisti di Wellesley hanno recentemente chiesto agli amministratori di rimuovere un statua di un uomo sonnambulo: l'immagine di un maschio quasi nudo potrebbe "innescare" ricordi di violenza sessuale per le vittime.
  • Nel frattempo, un numero crescente di giovani uomini si ritrovano accusati di stupro, nominati pubblicamente e portati davanti a comitati giudiziari del campus informati dalla teoria della cultura dello stupro. In tali tribunali il giusto processo è praticamente inesistente: colpevole perché accusato.
  • I teorici della cultura dello stupro respingono i critici che portano esempi di isteria e false accuse come "negazionisti dello stupro" e "apologisti dello stupro". Anche suggerire che si verificano false accuse, secondo gli attivisti, significa impegnarsi nel "colpevolizzare la vittima". Ma ora, i culturalisti dello stupro stanno affrontando un critico formidabile che anche loro troveranno difficile da respingere.

RAINN (Rae, Abuse & Incest National Network ) è la più grande e influente organizzazione americana contro la violenza sessuale. È la voce principale per la difesa delle vittime di aggressioni sessuali. In effetti, gli attivisti della cultura dello stupro citano abitualmente l'autorità di RAINN per sostenere la loro causa. Ma nelle recenti raccomandazioni di RAINN alla Task Force della Casa Bianca per proteggere gli studenti dalle aggressioni sessuali, ripudia la retorica del movimento contro la "cultura dello stupro":

RAINN esorta la Casa Bianca a "rimanere concentrata sulla vera causa del problema" e suggerisce un approccio su tre fronti per combattere lo stupro: responsabilizzare i membri della comunità attraverso l'educazione all'intervento degli astanti, utilizzando "messaggi di riduzione del rischio" per incoraggiare gli studenti ad aumentare il loro personale sicurezza e promuovere un'educazione più chiara su "dove si trova la 'linea di consenso'". Afferma inoltre che dovremmo trattare lo stupro come un crimine grave che è conferendo potere a forze dell'ordine addestrate piuttosto che a commissioni giudiziarie interne del campus.

RAINN è particolarmente critico nei confronti dell'idea che dobbiamo concentrarci sull'insegnare agli uomini a non stuprare - il segno distintivo dell'attivismo della cultura dello stupro. Poiché lo stupro esiste perché la nostra cultura lo perdona e lo normalizza, dicono gli attivisti, possiamo porre fine all'epidemia di violenza sessuale solo insegnando ai ragazzi a non stuprare.

Nessuno negherebbe che dovremmo insegnare ai ragazzi a rispettare le donne. Ma nel complesso, questo sta già accadendo. Quando gli uomini raggiungono il college, spiega RAINN, "la maggior parte degli studenti è stata esposta a 18 anni di messaggi di prevenzione, in una forma o nell'altra". La stragrande maggioranza degli uomini assorbe questi messaggi e considera lo stupro l'orribile crimine che è. Quindi gli sforzi per affrontare lo stupro devono concentrarsi sulla piccolissima parte della popolazione che "si è dimostrata immune da anni di messaggi di prevenzione". Dovrebbero non denigrare il ragazzo medio.

Incolpando la cosiddetta cultura dello stupro:

  • coinvolgiamo tutti gli uomini in un'atrocità sociale
  • banalizziamo le esperienze dei sopravvissuti
  • deviamo la colpa dagli stupratori veramente responsabili della violenza sessuale

RAINN spiega che la tendenza a concentrarsi sulla cultura dello stupro "ha l'effetto paradossale di rendere più difficile fermare la violenza sessuale, poiché rimuove l'attenzione dall'individuo in colpa e apparentemente mitiga la responsabilità personale per le proprie azioni".

Il panico morale per la "cultura dello stupro" non aiuta nessuno, men che meno le sopravvissute alle violenze sessuali.

I leader dei college, i gruppi di donne e la Casa Bianca hanno una scelta. Possono schierarsi con la polizia del pensiero della blogosfera femminista che dichiara guerra a Robin Thicke, Sports Illustrated Swimsuit Edition, statue maschili e Barbie. Oppure possono ascoltare il sano consiglio di RAINN.

Caroline Kitchens è assistente di ricerca presso l'American Enterprise Institute

Riassunto barbarabenedettelli.it Indagine femminicidi 2018

Barbara Benedettelli, nell'indagine che trovate qui linkata, fa un lavoro notevole sia nel linguaggio, sia per i dati che riporta.

Ci chiarisce che la definizione arcinota di femminicidio, ripresa anche da vari dizionari, è di Diana Russel[1]. E ci parla degli omicidi nelle Relazioni Interpersonali Significative (RIS).

Nell'incipit segnala un problema con i dati e invita ad uno studio privo di bias ideologici

"mostrare un quadro d'insieme delle morti violente causate da chi avrebbe dovuto proteggere, amare, o anche solo accompagnare per alcuni tratti il tortuoso cammino della vita.

Ed è anche un invito a osservare i fenomeni per quello che sono, senza mistificazioni e deviazioni culturali che non permettono di attuare politiche preventive corrette".

Questa indagine, che forse per la prima volta comprende le Vittime maschili e quelle femminili trattando i casi con gli stessi criteri di analisi, va vista come un punto di partenza che invita in primis le Istituzioni ad approfondire lo studio del fenomeno da una prospettiva allargata e non ideologica.

Quando in occasione del pamphlet 'Il maschicidio silenzioso' (Collana Fuori dal Coro in allegato a Il Giornale), poi in '50 Sfumature di violenza. Femminicidio e 1 maschicidio in Italia' (Cairo Editore), ho cominciato a osservare il fenomeno nel suo insieme, senza pregiudizi, senza discriminazioni di sorta verso chiunque, senza il condizionamento dell'ideologia.

E si pone domande interessanti:

  • perché, nonostante tutto quello che si è fatto negli ultimi anni per contrastare la violenza di genere
  • le donne ogni anno muoiono in media nello stesso numero?
  • Quali sono i criteri per rilevare i dati?
  • Cosa stiamo sbagliando?
  • Cosa ci manca per comprendere il fenomeno nella sua interezza?

Il tutto deve essere osservato e studiato senza veti ideologici, pregiudizi, narrazioni retoriche e monche che condizionano la percezione collettiva della realtà e impediscono di trovare il modo si “aggiustare ciò che si è rotto”: le relazioni affettive che diventano (o nascono) disfunzionali.

Secondo gli ultimi dati del Viminale nell'Italia del 2017 sono state uccise 355 persone, il numero più basso di sempre.

Stesso numero di vittime maschili e femminili

Di queste ben 236 sono state ammazzate in famiglia', in coppia, tra amici, vicini di casa, colleghi di lavoro: le vittime femminili sono 120, le vittime maschili sono 116, 120 se consideriamo anche i 4 italiani uccisi all'estero dalle loro partner.

E' quanto emerge dall'indagine Violenza domestica e di prossimità: i numeri oltre il genere, da me effettuata attraverso la ricerca dei fatti sulle testate web locali e nazionali tenendo conto non solo delle donne uccise, ma anche degli uomini. Mettendo insieme gli omicidi avvenuti nelle relazioni più significative si è rilevato che uomini e donne vengono uccisi nello stesso numero e spesso per le stesse ragioni. Però solo la Vittima femminile è al centro dell'attenzione sociale, politica e mediatica. Solo l'uccisione di una donna suscita sdegno, scandalo, orrore. Solo delle donne si pubblicano liste tragiche con nomi e cognomi.

Le donne sono oggettivamente le prime vittime in ambito di coppia, nel 2017 ne sono state uccise 66 dai partner contro 19 uomini uccisi dalle compagne (parliamo di omicidi). E questo giustifica in parte il maggior impegno nei confronti delle Vittime femminili. Ma è sbagliato osservare il fenomeno da un solo prisma, quello della cultura patriarcale. Prima di definirli femminicidi, bisognerebbe analizzare gli atti d’indagine e studiare le vite individuali dei protagonisti. Sono 42 i femminicidi dei 66 omicidi. Di 42 femminicidi 14 hanno visto autori stranieri (soprattutto nazionalità dove la cultura patriarcale è ancora forte), mentre quando a uccidere sono gli italiani spesso si sono tolti la vita. Un dato per nulla irrilevante al quale dare risposte che vanno oltre il teorema della cultura patriarcale.

Un'altra osservazione interessante che fa la Benedettelli è che se il femminicidio fosse un fenomeno culturale diventa difficile spiegare perché gli uomini uccidono di più in generale, mentre le donne uccidono solo all'interno della relazione, ne consegue che gli omicidi per il possesso sono la motivazione più frequente per gli omicidi compiuti dalle donne (pag. 3).

Gli enti raccolgono i numeri in modo scorretto

Senza indispensabili linee guida universali che permettono di intraprendere le migliori azioni preventive. A seconda dell'ente civile o istituzionale che raccoglie i dati, il numero delle donne vittime di “femminicidio” sale o scende arbitrariamente: 90, 114, 88, 140. E in tutti i casi questi numeri sono la somma di omicidi il cui rapporto vittima/carnefice e il movente con il femminicidio non hanno nulla a che fare: tra le Vittime di “femminicidio” per esempio vengono inserite donne uccise dai figli o dalle figlie per ragioni economiche o a causa di psicopatie; oppure da criminali che volevano rapinarle o da vicini/e di casa con i quali avevano cattivi rapporti; o da partner con gravi psicopatie. Tutti questi delitti hanno origini e dinamiche diverse delle quali è necessario tener conto. Chiamarli femminicidi (o femicidi) non permette di intervenire nel modo corretto quando non lo sono. Mettere tutto in un unico calderone è forse utile a creare un'allarme che permette di attuare politiche sociali a favore delle donne, in quanto “diverse”, e che con la prevenzione della violenza non c'entrano.[2]

La Benedettelli fa anche notare come "utilizzando gli identici criteri arbitrari utilizzati per rilevare i “femminicidi” anche per le vittime maschili emerge che gli uomini uccisi sono più delle donne: 133 i primi, 128 le seconde". L'autrice sottolinea come questo sia un "gioco di prestigio". Riguardo le modalità con cui le statistiche possono essere distorte è interessante la citazione "Se torturi i dati abbastanza, alla fine confesseranno quello che vuoi" di Darrell Huff.

Riassunto ilfattoquotidiano.it - l'insostenibile leggerezza del rapporto tra media e femminicidio

Sulle pagine de Il fatto quotidiano lo psicologo psicoterapeuta Mario De Maglie critica la leggerezza con cui le riviste trattano argomenti così delicati per fare clickbait. L'articolo è ben scritto, non aggiunge nulla di nuovo a livello di analisi sull'inconsistenza dei dati, ma è comunque utile per la parte di denuncia della stampa e attacco delle certezze e delle narrazioni opportunistiche. Clicca per leggere l'articolo sottolineato

Riassunto:

Un maschile fortemente sotto accusa può  faticare che rischia di:

1) non capire il grido di aiuto delle donne (non quello legato ai femminicidi, ma a tutte le tematiche di genere)

2) di arroccarsi su posizioni di chiusura (rendendo uno dei punti più critici delle questioni di genere, ossia il disinteresse maschile in proposito, ancora più critico).

Dobbiamo migliorare la qualità dei dati sul femminicidio in nostro possesso. Attualmente a farsi carico della loro raccolta sono i Centri Antiviolenza[3] e il sito Bollettino di Guerra e questa avviene attraverso la conta delle uccisioni di donne riportate dalla cronaca. Questa rilevazione è certamente indicativa di come la stampa tratti  la tematica, ma non è necessariamente coincidente con la sua effettiva realtà.

Il rapporto tra media e femminicidio può essere molto delicato, non di rado la cronaca ha i suoi vantaggi dall’esacerbare alcune realtà o dipingerle in modo da suscitare morbosità o banalizzazione. Se il contenuto è buono, ma non attira la notizia può anche passare in secondo piano, se il contenuto non è un granché, ma può essere presentato con modalità che suscitano una certa emotività, l’emotività vende.

Va analizzato quanto l’interesse dei media sia strumentale a creare e a cavalcare un’onda emotiva  per aumentare le copie da vendere o le visualizzazioni in rete. Un tipo di interesse di questa fatta non è che una forma di maltrattamento aggiuntivo, molto subdolo perché ben nascosto dietro una parvenza di una denuncia in aiuto delle donne,ed invece neanche morte possono trovare pace, sfruttate fino all’ultimo ed anche oltre.  Non interessa che la donna sia stata ammazzata, ma che la donna ammazzata faccia notizia.

Riassunti violenza-donne.blogspot.com

Riassunto articolo "Femminicidio" 2012: confermata finalità allarmistica...

Articolo appare affidabile ma in tono molto polemico.

Secondo l’analisi criminologica condotta sui 115 casi di omicidio[4] aventi come vittime una o più donne (per un totale di 119 vittime) commessi in Italia nel 2012, - ed indicati nel ddl 3390 (Serafini-PD) come prova di una presunta “emergenza femminicidio in Italia” (uccisione di una donna in quanto donna, compiuta da un uomo con l’implicita volontà di riaffermare un potere storicamente ineguale fra i Generi) -  ha portato ai risultati riportati sotto. A valle dell’analisi criminologica "solo" 61 delle 119 vittime risultano femminicidi evidenziando la presenza di errori grossolani di attribuzione:

15 casi: rilevazione incongrua rispetto alla tesi di "femminicidio" 19 casi: compiuti da soggetti incapaci d’intendere e di volere 23 casi: movente totalmente estraneo alla sfera relazionale/passionale (e dunque a presunte concezioni “patriarcali” sulle “ineguaglianze di Genere”) ed in particolare:
ed in particolare:
  • 1 caso: causa di morte ignota;
  • 1 caso: morte naturale;
  • 3 casi: suicidio;
  • 5 casi (6 vittime): autore/autrice ignoto/a
  • 3 casi: autrice donna (esecutrice materiale / mandante - unica / in concorso);
  • 1 caso: anno di commissione diverso dal 2012;
  • 1 caso: omicidio colposo/preterintenzionale;
  • 6 casi con movente economico-patrimoniale
  • 1 caso con movente di rancore maturato in ambito professionale, familiare-allargato, di vicinato
  • 7 casi di omicidio eutanasico
  • 8 casi per rapina o per procurarsi l’impunità da un reato comune
  • 1 caso: scriminante del grave e violento boicottaggio dell'insopprimibile funzione genitoriale

Nell'articolo violenza-donne.blogspot.com sottolinea che nello stesso anno, in Italia, sono stati 53 gli omicidi (consumati e tentati[5]) compiuti da donne a danno di uomini, di cui 35 per movente relazionale-passionale (8 consumati).

Nell'articolo vengono anche riportati in una tabella con 3 colonne tutti i casi di femminicidio, riportati dai mass-media, confermati dalle indagini come tali o meno.

PRESUNTI EPISODI DI “FEMMINICIDIO” secondo la stampa del mainstream

(listati in rosa quelli in cui risulta confermato il movente passionale-relazionale)

GIUDIZIO CRIMINOLOGICO E CLASSIFICAZIONE MOVENTE desumibili dalla stampa

Link che svela la natura di episodio/movente

(sfondo rosso per autore straniero con movente relazionale-passionale)

EPISODI DI “MASCHICIDIO”

(sfondo colorato per quelli con movente passionale-relazionale - in azzurro: consumato; in celeste: tentato)


Il blog sottolinea che i femminicidi vengono spesso presentati come un problema di educazione degli italiani, intrisi di cultura patriarcale del possesso, mentre l'analisi statistico-criminologica degli episodi di cronaca mostra che la propensione al femminicidio risulta caratteristica soprattutto degli immigrati e che, negli uomini italiani, è meno della metà degli stranieri[6] (il che è un dato notevole considerando che rappresentano solo il 10% della popolazione italiana).

Dallo stesso articolo viene anche ipotizzato tra le righe che le reali finalità dei politici potrebbero essere legate alla movimentazione degli 85 milioni di euro stanziati, che non andranno alle famiglie delle 53 donne, ma come previsto dal Capo VIII, art. 35 (qui riassunto) ai centri antiviolenza (che secondo la pagina stessa sono policitizzati) e a province, comuni ed enti vari.

Riassunto - articolo settembre 2014

Articolo appare affidabile ma in tono molto polemico.


Definizione di “femminicidio” secondo il ddl n. 724 (PD) del 29-05-2013 “Disposizioni per la promozione della soggettività femminile e per il contrasto al femminicidio”[7]:

Il concetto di femminicidio comprende, infatti, non solo l’uccisione di una donna in quanto donna, ma ogni atto violento o minaccia di violenza esercitato nei confronti di una donna in quanto donna, in ambito pubblico e/o privato, che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale o psicologico o sofferenza alla donna.

L'articolo si pone di verificare la validità di questo postulato circa le finalità dell'omicidio, poiché i femminicidi sono un fenomeno dalla prevalenza estremamente bassa, parliamo di 5 donne ogni milione all'anno. In medicina i sintomi più rari che vengono considerati un rischio sono intorno ad un caso ogni 10000. Per dimostrare l'esistenza di una matrice patriarcale di questi omicidi occorre una verifica statistica: pertanto, il concetto di "femminicidio", per essere confermato necessita dei seguenti elementi:

  1. che gli omicidi siano volontari. Non sono quindi ascrivibili a "femminicidio" le morti femminili dovute a:
    1. omicidio preterintenzionale (manca la volontà o questa era diretta ad altro fine);
    2. compiuto da persona incapace d'intendere e volere
  2. che l'atto di violenza sia fondato sul genere (in quanto donna), es. che l'atto di violenza si basi su un movente che sottenda la riaffermazione di una "relazione di potere storicamente ineguale fra donne e uomini", che releghi "la donna, in quanto donna, a un ruolo subordinato"[8].
    1. Es. di inclusione il delitto passionale (secondo l'articolo le cronache giudiziarie traboccano di questo tipo di omicidi commessi (ma, ovviamente, censurati in TV) da donne su uomini (qui 248 casi) o da donne su donne (qui 4 casi)).
    2. Es. di esclusione, ad esempio, l'omicidio eutanasico o pietatis causa (mosso non da sopraffazione, ma da empatia - a volte distorta o parossistica - verso la vittima affetta da malattia inguaribile), quasi sempre seguito da suicidio dell'autore; a volte coesistente con estrema precarietà economica (impossibilità, reale o percepita, per la famiglia, di “andare avanti”); anche nella declinazione del "suicidio assistito";
    3. Es. esclusione: movente economico-patrimoniale
    4. movente di rancore maturato in ambito professionale (rivalità per carriera, mobbing, ecc.), o in ambito familiare allargato (faida, nella quale si colpisce un membro qualunque della famiglia avversaria per colpire la famiglia nel suo insieme o per vendetta), o in ambito di vicinato: qualcuno potrebbe forse affermare che nell'arcinota "strage di Erba" i due coniugi assassini - il tassista Olindo e la moglie Rosa - fossero spinti da motivazioni diverse e sessualmente connotate?
    5. l'omicidio maturato come "danno collaterale" ad altro crimine comune: p. es. allo scopo di eliminare un testimone;


L'autore critica anche la presunta minorità sociale patita nel passato dalle donne. Spiega infatti che:

in quel passato, ai minori onori riconosciuti alla donna, corrispondevano minori oneri e maggiore protezione sociale, nonché deresponsabilizzazione penale.

Ancora oggi, il codice penale italiano riserva alla infanticida un "trattamento di favore": pena da 4 a 12 anni, rispetto ai 21 comminati all'uomo;

Inoltre il regime detentivo è, per la donna, un'eventualità meramente residuale, bastando la presenza di un figlio di età fino ai 10 anni per godere della detenzione domiciliare: beneficio, questo, negato ai padri, tranne che la madre del proprio figlio sia morta o assolutamente impossibilitata ad assistere la prole.

L'autore sottolinea anche che:

la relazione sentimentale (sia etero che omo-sessuale) racchiudono in sé un certo desiderio/bisogno di "controllo" sano sul partner , cui fa da contraltare la paura dell'abbandono: è una manifestazione di "potere", più o meno negoziabile all'interno della coppia, che si estrinseca nelle più disparate modalità - alcune di polarità maschile, altre di polarità femminile (ma tutte agibili da ciascun sesso) - lungo uno spettro che va dall'accudimento ricattatorio alla violenza psicologica, verbale, fisica; dal ricatto economico a quello sessuale, ecc. Nella donna, la volontà di controllo (che, evidentemente, non ha proprio nulla a che fare col patriarcato) è parimenti presente.

Dal punto di vista psicologico la riflessione è corretta: le emozioni come la gelosia, la rabbia, la tristezza sono tutte sane e funzionali, il problema nasce dagli eccessi. Individui in cui la gelosia è totalmente assente sono tutt'altro che funzionali, ad esempio quelli affetti da psicopatia[9]. Del resto milioni di persone, sia maschi che femmine, sono gelose, mentre i femminicidi sono 5 casi ogni milione di donne. Appare evidente che la gelosia da sola non sia certo il maggior predittore di un femminicidio.

L'articolo sottolinea come:

  • il presunto fenomeno "femminicidio" racchiude un enorme business. In ballo ci sono centinaia di stipendi; si pensi che il ddl 724/2013 (proponente: PD) comporta un finanziamento di 85 mln di euro all'anno (art. 34): verso le "Case delle donne".
  • Il personale di questi centri è interamente femminile, il che sarebbe illegale in quanto la discriminazione per sesso nell'assunzione del personale è vietata.
  • quasi nessuno dei "maschicidi" è stato raccontato in TV, né reti RAI né quelle Mediaset: quasi nessuno è passato nei TG o ha costituito ghiotta occasione per format di compiaciuto e morboso approfondimento (Quarto grado, Chi l'ha visto, ecc.); l'uomo in veste di vittima è pressoché indicibile, offuscherebbe le lamentele di pancia delle masse per le vittime rosa, la vulgata secondo cui "lei" può essere solo vittima, non carnefice; ed anzi, se proprio è indispensabile raccontare - per la loro enormità - tragedie con vittime maschili, queste le si "desessualizza", chiamandole non "uomini" ma "persone":

Note

  1. Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una 1 sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte. Femicidio l’omicidio per tale causa. Qui la definizione data da Diana Russel (www.dianarussel.com)
  2. Barbara Benedettelli - https://barbarabenedettelli.it/wp-content/uploads/2018/06/Indagine-completa-omicidi-nelle-Ris-i-numeri-oltre-il-genere-1.pdf, pag 3
  3. che hanno un conflitto di interessi a effettuare una raccolta dati corretta dato che i loro finanziamenti derivano dal sensazionalismo
  4. https://violenza-donne.blogspot.com/2013/04/femminicidio-2012-confermata-finalita.html
  5. Come fa notare violenza-donne, è il caso di ricordare che - a differenza di un omicidio colposo, preterintenzionale o compiuto da persona incapace d’intendere e volere - il tentato omicidio presuppone una lucida volontà di uccidere, che non raggiunge l'esito fatale unicamente per l'imperizia dell'autore/autrice.
  6. percentuale di stranieri sulla popolazione maschile italiana (censimento 2011 - tutte le classi d'età): 6,54% vittime femminili (movente relazionale-passionale) ascrivibili ad autore straniero: 14,7% https://violenza-donne.blogspot.com/2013/04/femminicidio-2012-confermata-finalita.html
  7. ddl n. 724 (PD) del 29-05-2013 “Disposizioni per la promozione della soggettività femminile e per il contrasto al femminicidio” http://www.senato.it/versionestampa/stampa.jsp?thispage
  8. (definizione della "violenza di genere" elaborata nella Conferenza di Pechino).
  9. Gli psicopatici non percepiscono le proprie emozioni come le persone normali: alcuni medici le hanno descritte come semplici “proto-emozioni” ovvero «primitive risposte alle esigenze immediate». https://it.wikipedia.org/wiki/Psicopatia#cite_note-Conscience-25