Guerra in Ucraina, le riflessioni di Toni Capuozzo: differenze tra le versioni

Vai alla navigazione Vai alla ricerca
nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Riga 120: Riga 120:
* [https://www.ilgiornale.it/news/mondo/regia-dellincontro-russia-e-ucraina-ecco-chi-c-dietro-2013799.html Capuozzo: "Ecco chi c'è dietro l'incontro tra Russia e Ucraina"]
* [https://www.ilgiornale.it/news/mondo/regia-dellincontro-russia-e-ucraina-ecco-chi-c-dietro-2013799.html Capuozzo: "Ecco chi c'è dietro l'incontro tra Russia e Ucraina"]
* [https://www.ilgiornale.it/news/mondo/laffondo-capuozzo-sulla-guerra-ora-si-pu-fare-solo-cosa-2013752.html L'affondo di Capuozzo sulla guerra: "Ora si può fare solo una cosa..."]
* [https://www.ilgiornale.it/news/mondo/laffondo-capuozzo-sulla-guerra-ora-si-pu-fare-solo-cosa-2013752.html L'affondo di Capuozzo sulla guerra: "Ora si può fare solo una cosa..."]
== [https://www.facebook.com/dalvostroinviato/posts/496877475171831 Post del 28 Febbraio] ==
UNA COPERTA O UN PO’ DI BENZINA SUL FUOCO  ?
Stamattina si parlano. Non sono così ottimista. Immagino che la parte ucraina cercherà di non essere sbrigativa, perché ogni giorno in più di resistenza è un giorno vinto. Dall’altra parte i russi devono ottenere qualcosa presto, per la stessa opposta ragione. Hanno incontrato una resistenza più forte del previsto, e l’Occidente si è compattato, invece di dividersi. Possono i carri armati invertire il senso di marcia  ? Ho visto accanite discussioni sulle colpe, e non mi sembra più il momento. Ho ascoltato recriminazioni sul passato degli uni e degli altri: nessuno ha tutte le ragioni, nessuno ha tutti i torti. Ho sentito liti sull’indole di Putin, e non è quel che conta, adesso. Non è equidistanza, conta chi ha invaso, e iniziato una guerra: sono fatti. Ma conta come reagire. Mi sorprende che i leader europei, e in generale i media e i commentatori, non si siano buttati sull’arsenale della pace, che è fatto di soluzioni, di proposte, di mediazioni, di dilazioni, non di sola speranza. Si sono studiate sanzioni, si è fatta molta retorica sulla resistenza, si inviano armi. Non vorrei che a Washington qualcuno, ringalluzzito dalla tenuta dell’esercito e dei cittadini ucraini, pensasse che è l’occasione per far pagare l’azzardo a Putin, per farlo ritornare vinto a casa, a vedersela con un paese umiliato, con qualcuno che pensi di soppiantarlo. Certo, mi auguro che un giorno non lontanissimo anche la Russia trovi una sua democrazia, se lo vorranno i cittadini russi. Ma so bene che, davanti all’imbarazzo del vicolo cieco e al fantasma della sconfitta, Putin può essere tentato dal tanto peggio tanto meglio. Le donne che confezionano le molotov, i ragazzi che imbracciano i fucili, gli ucraini tutti che non siano davvero molto anziani non hanno visto una guerra, non ancora. La Russia di Putin ha usato solo una parte degli uomini schierati al confine, e solo una parte delle sue armi. Ho visto cento volte in televisione lo stesso grattacielo colpito da un missile, come una rarità. Vi ricordate Grozny ? Vi ricordate Aleppo ? Sapete cos’è non un missile balistico, ma un bombardamento aereo ? Putin vi sembra una belva ? Immaginatevi una belva ferita, senza i guardiani di una vera opposizione, un vero parlamento. Certo, possiamo incoraggiare gli ucraini seduti al tavolo, stamane, a non cedere in niente. Che devono solo chiedere il dietrofront dei russi, e rivendicare il diritto a entrare nella Nato, come la Macedonia o il Montenegro (è molto più facile entrare nella Nato che nell’Unione Europea, si). Possiamo pretendere che Putin si ammansisca, mandarlo a quel paese. Io non so quale sia il laccio emostatico, se si possa a quel tavolo impegnarsi a non entrare nella Nato e però avere subito il diritto indisturbato a entrare nell’Unione Europea. Non so cosa succederebbe se quattro o cinque dei premier combattenti a distanza delle capitali europee, Roma o Berlino, si dirigessero dopodomani a Kiev con il biglietto d ‘ingresso omaggio per gli ucraini nel parlamento di Bruxelles, scudi umani e politici della libertà fatta di diritti, non di missili puntati da una parte o dall’altra. Non so, non è il mio mestiere. Ma noto che non è neppure il mestiere delle cancellerie europee, e neanche delle forze politiche, tutte inadeguate al caso, sembrano in una campagna elettorale anche in questa vicenda più grande e più tragica. Trovo debole persino la voce dei leader religiosi, e di quelli morali. Quando ero ragazzo la chiamavamo “la cartolina”. Era la chiamata di leva, la chiamata alle armi. I postini sono indaffarati, in questi giorni.
Ricordatevi però che il 4 di febbraio Putin andò a Pechino e forse ricevette un via libera. Ricordatevi che il tavolo di questa mattina l’ha allestito la Cina, non le Nazioni Unite. Ricordatevi pure tutti i valori che volete, ma siate realisti. Sul fuoco si getta una coperta, lo si soffoca. Non benzina. Tra sconfiggere Putin ed evitare un conflitto mondiale, scelgo la seconda. La solidarietà migliore a chi in questa settimana è stato aggredito è fermare la guerra. Per discutere come ci si è arrivati, e i torti e le ragioni di un conflitto sordo iniziato otto anni fa, e della lunga marcia della Nato a est, per quello ci sarà tempo dopo.
Sono andato lungo, lo so. Però sto per tacere un po’. Oggi inizio a scendere nei Balcani a fare un piccolo lavoro cui tengo molto, a lungo rinviato per la pandemia. Poco computer e poco telefonino, dunque. Grazie per avermi seguito, apprezzato o criticato, ma sempre senza urlare. Arrivederci.
== [https://www.facebook.com/dalvostroinviato/posts/500583668134545 Post del 6 Marzo 2022] ==
ELOGIO DELLA RESA?
È domenica, nevica, e avrei voluto raccontarvi di questi giorni in Bosnia, a girare tra quel che resta di una guerra lontana. E invece mi torna in mente di quando ero un giovane inviato nelle rivoluzioni dell’America Latina, e non riuscivo a non sorprendermi della crudezza di una parola d’ordine diffusa: “Patria o muerte”. Veniva da un discorso di Fidel Castro nel 1960, ma assomigliava alle storie risorgimentali che mi avevano insegnato a scuola, a <u>un’ idea del sacrificio che mi pareva marmorea, retorica, e fuori dal mio tempo</u> (Non avresti combattuto il nazifascismo? Credo di sì, ma non è il mio tempo…). Mi è successo tante altre volte di chiedermi se avessero ragione quelli che si apprestavano, o almeno si dichiaravano pronti a morire per qualcosa, da Sarajevo a Gerusalemme, da Kabul a Mogadiscio, dalla Libia alla Siria. Sono uno che prova paura, ed evitavo di chiedermi se la mia distanza fosse viltà, o miseria di valori. Mi dicevo che morirei per salvare i miei figli, e la domanda successiva riapriva il problema:  dove arriverei per difendere i figli degli altri? So come me la cavavo: non morirei, ma neanche ucciderei in nome di una bandiera, in nome di un confine, non c’è nulla che valga la vita di un altro. Questa mia confusione ritorna, in questi giorni. Voglio confessarla semplicemente, come un pensiero banale.
Non mi sorprende la voglia di resistenza degli ucraini, anche se penso che la loro esperienza di guerra, prima, fosse solo la guerra sporca del Donbass. Non mi sorprende che <u>resistano con un orgoglio quasi commovente a un’aggressione</u>.


== [https://www.facebook.com/dalvostroinviato/posts/496877475171831 Post del 28 Febbraio] ==
<u>'''Mi sorprende il loro leader, che riscuote tanta ammirazione per un comportamento che ci sembra senza pari'''</u>, tra i politici nostri, e per la forza delle parole, delle espressioni, della barba trascurata e delle magliette da combattente. Un grande leader, per me, non è chi è pronto a morire. Questo dovrebbe essere il minimo sindacale. '''<u>Un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva. Ecco, a me pare che Zelensky lo stia accompagnando allo sbaraglio, sia pure in nome della dignità e della libertà e dell’autodifesa, tutte cause degnissime.</u>'''
UNA COPERTA O UN PO’ DI  BENZINA SUL FUOCO  ?


Stamattina si parlano. Non sono così ottimista. Immagino che la parte ucraina cercherà di non essere sbrigativa, perché ogni giorno in più di resistenza è un giorno vinto. Dall’altra parte i russi devono ottenere qualcosa presto, per la stessa opposta ragione. Hanno incontrato una resistenza più forte del previsto, e l’Occidente si è compattato, invece di dividersi. Possono i carri armati invertire il senso di marcia  ?  Ho visto accanite discussioni sulle colpe, e non mi sembra più il momento.  Ho ascoltato recriminazioni sul passato degli uni e degli altri: nessuno ha tutte le ragioni, nessuno ha tutti i torti. Ho sentito liti sull’indole di Putin, e non è quel che conta, adesso. Non è equidistanza, conta chi ha invaso, e iniziato una guerra: sono fatti.  Ma conta come reagire. Mi sorprende che i leader europei, e in generale i media e i commentatori, non si siano buttati sull’arsenale della pace, che è fatto di soluzioni, di proposte, di mediazioni, di dilazioni,  non di sola speranza. Si sono studiate sanzioni, si è fatta molta retorica sulla resistenza, si inviano armi. Non vorrei che a Washington qualcuno, ringalluzzito dalla tenuta dell’esercito e dei cittadini ucraini, pensasse che è l’occasione per far pagare l’azzardo a Putin,  per farlo ritornare vinto a casa, a vedersela con un paese umiliato, con qualcuno che pensi di soppiantarlo. Certo, mi auguro che un giorno non lontanissimo anche la Russia trovi una sua democrazia, se lo vorranno i cittadini russi. Ma so bene che, davanti all’imbarazzo del vicolo cieco e al fantasma della sconfitta, Putin può essere tentato dal tanto peggio tanto meglio.  Le donne che confezionano le molotov, i ragazzi che imbracciano i fucili, gli ucraini tutti che non siano davvero molto anziani non hanno visto una guerra, non ancora. La Russia di Putin ha usato solo una parte degli uomini schierati al confine, e solo una parte delle sue armi. Ho visto cento volte in televisione lo stesso grattacielo colpito da un missile, come una rarità. Vi ricordate Grozny ?  Vi ricordate Aleppo ? Sapete cos’è non un missile balistico, ma un bombardamento aereo ?  Putin vi sembra una belva ?  Immaginatevi una belva ferita, senza i guardiani di una vera opposizione, un vero parlamento.  Certo, possiamo incoraggiare  gli ucraini seduti al tavolo, stamane, a non cedere in niente. Che devono solo chiedere il dietrofront dei russi, e rivendicare il diritto a entrare nella Nato, come la Macedonia o il Montenegro (è molto più facile entrare nella Nato che nell’Unione Europea, si). Possiamo pretendere che Putin si ammansisca,  mandarlo a quel paese. Io non so quale sia il laccio emostatico, se si possa a quel tavolo impegnarsi a non entrare nella Nato e però avere subito il diritto indisturbato a entrare nell’Unione Europea. Non so cosa succederebbe se quattro o cinque dei premier combattenti a distanza delle capitali europee, Roma o Berlino, si dirigessero dopodomani a Kiev con il biglietto d ‘ingresso omaggio per gli ucraini nel parlamento di Bruxelles, scudi umani e politici della libertà fatta di diritti, non di missili puntati da una parte o dall’altra.  Non so, non è il mio mestiere. Ma noto che non è neppure il mestiere delle cancellerie europee, e neanche delle forze politiche, tutte inadeguate al caso,  sembrano in una campagna elettorale anche in questa vicenda più grande e più tragica. Trovo debole persino la voce dei leader religiosi, e di quelli morali. Quando ero ragazzo la chiamavamo  “la cartolina”. Era la chiamata di leva, la chiamata alle armi.  I postini sono indaffarati, in questi giorni.
E dunque mi sorprende ancora di più l’Occidente che lo spinge, lo arma, e in definitiva lo illude, perché non acconsente a dichiarare quella no fly zone che vorrebbe dire essere trascinati in guerra, come a Zelensky non dispiacerebbe. <u>E da questa comoda posizione però incita, fosse mai che la trappola diventi la tomba per Putin</u>: si chiamano '''<u>proxy war</u>''', <u>guerre per interposta persona</u>, che altri combattono in nome tuo. Se va bene, bene, abbiamo vinto. Se va male, che siano curdi o afghani, hanno perso loro.  


Ricordatevi però che il 4 di febbraio Putin andò a Pechino e forse ricevette un via libera. Ricordatevi che il tavolo di questa mattina l’ha allestito la Cina, non le Nazioni Unite. Ricordatevi pure tutti i valori che volete, ma siate realisti. Sul fuoco si getta una coperta, lo si soffoca. Non benzina. Tra sconfiggere Putin ed evitare un conflitto mondiale, scelgo la seconda. La solidarietà migliore  a chi in questa settimana è stato aggredito  è fermare la guerra. Per discutere come ci si è arrivati, e i torti e le ragioni di un conflitto sordo iniziato otto anni fa, e della lunga marcia della Nato a est, per quello  ci sarà tempo dopo.
In due parole: credo che sarebbe stato più sensato e utile mediare, provare non a sconfiggere Putin con il sedere degli altri, ma a fermarlo, a scombussolarne i piani. Cosa intendo? '''<u>Una resa dignitosa, una trattativa per cedere qualcosa ma non tutto, per raffreddare il conflitto, mettendo in campo caschi blu e osservatori, idee e prese di tempo. E invece vedo che piace l’eroismo, vedo che i nazionalismi non fanno più paura, che patria o morte torna di moda</u>''', dopo che anche i presidenti della Repubblica erano passati al termine “Paese”: piacciono le patrie altrui.  


Sono andato lungo, lo so. Però sto per tacere un po’.  Oggi inizio a scendere  nei Balcani a fare un piccolo lavoro cui tengo molto, a lungo rinviato per la pandemia.   Poco computer e poco telefonino, dunque. Grazie per avermi seguito, apprezzato o criticato, ma sempre senza urlare. Arrivederci.
No, si chiama de escalation: evitare che milioni debbano scappare. Evitare che migliaia debbano morire, salvare il salvabile, le idee e le persone che si fa in tempo a salvare. Però ormai lo scelgono loro. Per quel che riguarda noi, risparmiamoci almeno la retorica.

Menu di navigazione