Riflessione di Umberto Eco sull'interpretazione

Da Tematiche di genere.
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Da quel che ho capito io, il significato letterale (che lui chiama semantico o grammaticale) non può essere ignorato nemmeno per intenzione dell'autore. Nell'intervista che ho linkato ora nel post, dice che il testo ha un'intenzione sua, che prescinde da quella dell'autore. Per cui, giustificare un messaggio letteralmente violento con l'intenzione che l'autore si auto-attribuisce a posteriori non aggiunge nulla al dibattito.

In merito al libro "Odio gli Uomini", ho cercato opinioni sull'interpretazione di messaggi e testi e i suoi confini e ne ho trovata una di Umberto Eco che casserebbe quel titolo come un incitamento all'odio e non una provocazione.

La mia convinzione era che: un testo semanticamente violento scaturito da un'intenzione benevola è molto più pericoloso di un testo semanticamente benevolo proveniente da un'intenzione violenta. Diciamo che il primo sia minaccioso senza motivo e il secondo sia passivo-aggressivo. Ma, se sospinto e non soffocato, il messaggio minaccioso tende a sdoganare e diffondere la violenza anche negli intenti, e se accade ciò significa che non serve più un messaggio passivo-aggressivo per comunicare la stessa intenzione violenta. Non servirà nascondere la mano dopo aver lanciato il sasso, e ogni finestra rotta non è più un esercizio di retorica, ma diventa un'incitazione. Questo solo considerando l'intento dell'autore, ma un autore "incauto" può produrre gli stessi effetti nei lettori nel caso il messaggio apra a certe interpretazioni.

Ho letto un paragrafino di I limiti dell'interpretazione di Umberto Eco (dato che ho la soglia dell'attenzione di un criceto, ho scorso gli altri paragrafi ma o non li capivo o erano superflui per il tema) e incollo qui il suo punto di vista sull'interpretazione dei messaggi:

Anni fa Reagan, provando i microfoni prima di una conferenza stampa, aveva detto a un dipresso: “Fra pochi minuti darò l’ordine di bombardare la Russia.” (...) Pressato dai giornalisti, Reagan ha poi ammesso di aver scherzato: aveva detto quella frase ma non intendeva dire quello che essa significava. Quindi ogni destinatario che avesse creduto che la intentio auctoris coincidesse con la intentio operis si sarebbe sbagliato.

Reagan fu criticato, non solo perché aveva detto ciò che non intendeva dire (...), ma soprattutto perché, si era insinuato, dicendo quel che aveva detto, anche se poi aveva negato di aver avuto l’intenzione di dirlo, di fatto lo aveva detto, ovvero aveva delineato la possibilità che egli avrebbe potuto dirlo, avrebbe avuto il coraggio di dirlo e, per ragioni performative legate al suo ufficio, avrebbe avuto la potestà di farlo.

(...) il problema è tuttavia di stabilire ciò che si deve proteggere per aprire, non ciò che si deve aprire per proteggere. La mia opinione è che, per interpretare la storia di Reagan, sia pure nella sua versione narrativa [dare il beneficio di buone intenzioni], e per essere autorizzati a estrapolarne tutti i sensi possibili, occorre prima di tutto cogliere il fatto che il presidente degli USA ha detto – grammaticalmente parlando – che intendeva bombardare l’URSS. Se non si comprende questo non si comprenderebbe neppure che (non intendendo farlo, per sua ammissione) egli aveva scherzato.

In questo video Eco spiega anche come intenzione dell'autore e intenzione del testo siano separate.