Paura di scontentare il pubblico e conformismo

Da Tematiche di genere.
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Paura di scontentare il pubblico e conformismo sui social[modifica | modifica sorgente]

La pressione di scrivere contenuti che piacciono al pubblico, mirando a ottenere approvazione e condivisioni, piuttosto che aderire alla verità e all'onestà intellettuale. Il giornalista, con oltre dieci anni di esperienza, mette in luce come i nuovi mezzi di comunicazione, che dovrebbero teoricamente "liberare" i giornalisti, in realtà li sottopongano a un nuovo tipo di condizionamento più insidioso: quello del pubblico.

Oggiano invita a riflettere su quanto spesso anche noi pubblichiamo contenuti sui social media per ottenere like, senza considerare a fondo la loro validità o integrità. Questo comportamento, moltiplicato in un ambiente come una redazione, rappresenta per lui una delle più grandi sfide e critiche al rapporto tra giornalismo e social media nel nuovo millennio.

Pensateci: non è mai capitato anche a voi di pubblicare contenuti sul vostro profilo personale all’esclusivo scopo di ottenere like, nonostante in cuor vostro foste dubbiosi sulla reale validità e onestà intellettuale di quel contenuto? Magari era una polemica che non avevate approfondito, magari un personaggio finito in una shitstorm. Volevate solo aggiungere la vostra battutina, dare il vostro piccolo contributo: per sentirvi parte di un gruppo, ricevere approvazione, instaurare nuove relazioni o consolidarne di vecchie.

Il rischio del conformismo social è doppio: Contronarrazione affidata a pochissimi e Censura dal basso[modifica | modifica sorgente]

Da una parte, si osserva una tendenza crescente tra redazioni, giornalisti, intellettuali, autori e creator di diventare sempre più accomodanti verso le aspettative del pubblico, cercando di confermare e assecondare visioni del mondo prevalenti, piuttosto che presentare fatti e analisi che potrebbero sfidare o cambiare le convinzioni esistenti.

Dall'altra parte, emerge un gruppo di figure che possono essere descritte come intellettuali "non conformisti" o antisistema. Questi individui, spesso in disaccordo con le convenzioni e percezioni dominanti e visti come censurati dal sistema, trovano spazio nell'ambito dell'"intellectual dark web". Quest'area della rete, identificata in un'inchiesta del "New York Times", ospita pensatori - giornalisti, psicologi, filosofi - che, attraverso piattaforme come YouTube e Spotify, sono diventati influenti a livello globale. Tra di loro ci sono lo psicologo canadese Jordan Peterson, il polemista conservatore Ben Shapiro, le femministe Camille Paglia e Christina Hoff Sommers, il commentatore politico Dave Rubin e la scrittrice e attivista Ayaan Hirsi Ali.

In questo contesto abbiamo quindi una tendenza all'autocensura tra i giornalisti, con una crescente paura di esprimere opinioni impopolari nell'era del giornalismo social. Questa situazione porta a un evitamento di argomenti complessi o controversi per timore di perdere l'approvazione online, creando un fenomeno di "censura dal basso", dove la maggiore preoccupazione non è la censura imposta da autorità, ma il giudizio negativo e l'ostilità del pubblico sui social media.

Dall’altra, di avere appaltata una contronarrazione esclusivamente a figure più o meno “punk”, più o meno antisistema, e in rotta con il sistema da cui denunciano di essere stati censurati. In rete c’è chi parla addirittura di intellectual dark web: è quella parte di rete (così battezzata in un’inchiesta del «New York Times») che ospita contenuti audio/video di pensatori considerati “non allineati al pensiero dominante”.

Si tratta di una ventina di giornalisti, psicologi, filosofi che grazie a piattaforme come YouTube e Spotify si sono ritrovati a essere gli intellettuali più influenti al mondo, punto di riferimento educativo per milioni di ragazzi e ragazze occidentali.