Viralità, Clickbait e FuckNews: differenze tra le versioni

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==Dal boom dei giornali online al crollo==
==Dal boom dei giornali online al crollo==
* Grazie a internet inizialmente ci fu un periodo di forte crescita delle testate online dei grandi («Time», «The New York Times», «National Geographic»), le stime parlavano di +1.000% di utenti l’anno. Questa bolla però durò poco, si dissolse nel 2001.  
* Grazie a internet inizialmente ci fu un periodo di forte crescita delle testate online dei grandi («Time», «The New York Times», «National Geographic»), le stime parlavano di +1.000% di utenti l’anno. Questa bolla però durò poco, si dissolse nel 2001.  
== Il primo caso di viralità ==
== Il primo caso di viralità ==
* Dalla fine di questo boom si passò ad un giornalismo più modesto a caccia di '''viralità'''. C'è un [[episodio singolo che può essere visto come simbolo dell'inizio della viralità]]. In breve uno sconosciuto, un certo Jonah Peretti, polemizzò contro la Nike sullo sfruttamento dei lavoratori, pubblicò le mail che divennero virali. <u>Nel giro di poche settimane, il thread venne letto da milioni di persone</u>.
* Dalla fine di questo boom si passò ad un giornalismo più modesto a caccia di '''viralità'''. C'è un [[episodio singolo che può essere visto come simbolo dell'inizio della viralità]]. In breve uno sconosciuto, un certo Jonah Peretti, polemizzò contro la Nike sullo sfruttamento dei lavoratori, pubblicò le mail che divennero virali. <u>Nel giro di poche settimane, il thread venne letto da milioni di persone</u>.
* Peretti si trovò in tv a dibattere dei diritti dei lavoratori con il capo delle relazioni pubbliche di Nike e lui in primis affermò: '''«Perché sono qui io, invece delle persone che hanno dedicato la vita a combattere per i diritti umani?»'''.  
* Peretti si trovò in tv a dibattere dei diritti dei lavoratori con il capo delle relazioni pubbliche di Nike e lui in primis affermò: '''«Perché sono qui io, invece delle persone che hanno dedicato la vita a combattere per i diritti umani?»'''.  
* L'insegnamento che se ne deduce è che nel mondo dei mass media non importa essere esperti o competenti circa un un determinato tema, ma far arrivare la battaglia a più persone possibile. '''«'''Pochissime battaglie verranno raccontate'''»''' - spiega Francesco Oggiano - '''«'''senza una storia appetibile, un protagonista carismatico o un antagonista intrigante.'''»'''
* L'insegnamento che se ne deduce è che nel mondo dei mass media non importa essere esperti o competenti circa un un determinato tema, ma far arrivare la battaglia a più persone possibile. '''«'''Pochissime battaglie verranno raccontate'''»''' - spiega Francesco Oggiano - '''«'''senza una storia appetibile, un protagonista carismatico o un antagonista intrigante.'''»'''
 
==Si cerca di replicare quel caso, si studiano le caratteristiche dei contenuti virali==
==Si cerca di replicare quel caso, si studiano le caratteristiche dei contenuti virali==
* Inizialmente la parola virale non veniva usata, Peretti parla di «media contagiosi»
* Inizialmente la parola virale non veniva usata, Peretti parla di «media contagiosi»
* Capisce che grazie sta nascendo un nuovo pubblico: gli impiegati annoiati al lavoro.
* Capisce che grazie sta nascendo un nuovo pubblico: gli impiegati annoiati al lavoro.
* Per essere contagioso, un progetto deve essere semplice, conciso: «la più semplice forma di un’idea» «spiegabile in massimo una frase».
* Per essere contagioso, un progetto deve essere semplice, conciso: «la più semplice forma di un’idea» «spiegabile in massimo una frase».
La ricerca della viralità viene <u>ingegnerizzata</u> con test A/B sempre più raffinati. Un contenuto può uscire contemporaneamente in decine di versioni diverse per vedere quali funzionano meglio: le immagini blu ottengono più like di quelle rosse; “questo“ o “questa“ (madre, padre, scoiattolo, ecc.) all’inizio di un titolo garantiscono più condivisioni.
La ricerca della viralità viene <u>ingegnerizzata</u> con test A/B sempre più raffinati. Un contenuto può uscire contemporaneamente in decine di versioni diverse per vedere quali funzionano meglio: le immagini blu ottengono più like di quelle rosse; “questo“ o “questa“ (madre, padre, scoiattolo, ecc.) all’inizio di un titolo garantiscono più condivisioni.
=== Le caratteristiche per rendere un contenuto virale sono: ===
=== Le caratteristiche per rendere un contenuto virale sono: ===
*Indignazione (vedi le mail con la Nike)
*Indignazione (vedi le mail con la Nike)
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Un altro [[Episodio virale The Dress|episodio divenuto virale è The Dress]], qui (clicca sul link) si notano altre caratteristiche utili a rendere un tema virale.
Un altro [[Episodio virale The Dress|episodio divenuto virale è The Dress]], qui (clicca sul link) si notano altre caratteristiche utili a rendere un tema virale.
== Produzione di contenuti virali su larga scala da parte dei giornalisti ==
== Produzione di contenuti virali su larga scala da parte dei giornalisti ==
Francesco Oggiano nel suo libro [https://www.amazon.it/SociAbility-social-cambiando-informarci-attivismo/dp/885544705X Sociability] ci parla del crollo della qualità dei contenuti giornalistici causata dalla necessità di una concorrenza di solo prezzo:<blockquote>Cinque minuti massimo. Il tempo di trovare un altro articolo – di un’altra testata italiana, magari scritto da un altro povero cristo dall’altra parte della città, che a sua volta l’aveva ricopiato da un altro – e “ricicciarlo”. Dicesi ricicciarlo: riscriverlo quel tanto che bastava da renderlo non imputabile di plagio e minimamente originale per l’algoritmo di Google News, sempre affamato di nuovi contenuti. Ecco perché, cari lettori, quando fate una ricerca su Google vi ritrovate vagonate di articoli tutti simili tra loro tipo “Come vedere la Juve in streaming” o “A che ora parla XY”.</blockquote>E di come questo processo di "adattamento<ref>Il termine adattarsi fa pensare proprio al senso Darwiniano della parola: survival of the fittest</ref> al mercato" non abbia comportato solo un aumento di contenuti scopiazzati, scritti senza approfondimento, ma un tentativo di "hackerare" l'interesse delle persone. Attraverso l'uso di titoli ad effetto (o clickbait<ref>la pratica di ingigantire e distorcere il lancio di un articolo in maniera sensazionalistica e volutamente ambigua, in modo che l’utente – timoroso di perdersi un contenuto decisivo – non possa resistere alla tentazione di cliccare.</ref>): "una didascalia sufficientemente intrigante e misteriosa, l’obiettivo è non rivelare né troppo né troppo poco del contenuto".<blockquote>Per anni in Italia, i maestri sono stati quelli di «Libero», i cui lanci ormai epici sono stati addirittura messi in una rassegna da «Vice». Due su tutti. Primo: foto sensuale di Francesca Immacolata Chaouqui, collaboratrice del Vaticano finita in uno scandalo. E il titolo: “Sberleffo della Papessa a Papa Bergoglio: ‘Buon natale, ca...’”. Percezione dell’articolo: ha scritto cazzo al papa. Realtà: i puntini di sospensione servivano a nascondere il più innocente messaggio “Buon Natale, capo”. Consiglio: i puntini di sospensione stanno al clickbaitista come il martello sta a Thor. Sono la sua arma principale, lo strumento micidiale per farvi abboccare. Quando li vedete, state all’erta. Secondo lancio mitologico: foto di Alberto Stasi – ragazzo condannato per il famigerato omicidio di Chiara Poggi che per anni ha riempito le cronache italiane – circondato dai carabinieri. E titolo sensazionalistico: “Clamorosa evasione dal carcere di Stasi”. Percezione: Stasi è fuggito. Realtà: l’evaso è tale «Predan Zonic, cinquantadue anni, origini serbe», il cui unico grado di relazione con la vicenda di Stasi è l’essere detenuto nello stesso carcere... “di Stasi”, a Bollate. Uso raffinatissimo e geniale di foto, parole e sintassi. Pensate se tutto quel talento del clickbaitista venisse valorizzato al servizio di compiti meno ingannevoli e più nobili.</blockquote>
Francesco Oggiano nel suo libro [https://www.amazon.it/SociAbility-social-cambiando-informarci-attivismo/dp/885544705X Sociability] ci parla del crollo della qualità dei contenuti giornalistici causata dalla necessità di una concorrenza di solo prezzo:<blockquote>Cinque minuti massimo. Il tempo di trovare un altro articolo – di un’altra testata italiana, magari scritto da un altro povero cristo dall’altra parte della città, che a sua volta l’aveva ricopiato da un altro – e “ricicciarlo”. Dicesi ricicciarlo: riscriverlo quel tanto che bastava da renderlo non imputabile di plagio e minimamente originale per l’algoritmo di Google News, sempre affamato di nuovi contenuti. Ecco perché, cari lettori, quando fate una ricerca su Google vi ritrovate vagonate di articoli tutti simili tra loro tipo “Come vedere la Juve in streaming” o “A che ora parla XY”.</blockquote>E di come questo processo di "adattamento<ref>Il termine adattarsi fa pensare proprio al senso Darwiniano della parola: survival of the fittest</ref> al mercato" non abbia comportato solo un aumento di contenuti scopiazzati, scritti senza approfondimento, ma un tentativo di "hackerare" l'interesse delle persone. Attraverso l'uso di titoli ad effetto (o clickbait<ref>la pratica di ingigantire e distorcere il lancio di un articolo in maniera sensazionalistica e volutamente ambigua, in modo che l’utente – timoroso di perdersi un contenuto decisivo – non possa resistere alla tentazione di cliccare.</ref>): "una didascalia sufficientemente intrigante e misteriosa, l’obiettivo è non rivelare né troppo né troppo poco del contenuto". Oggiano ci porta alcuni esempi delle prime testate online che ci hanno puntato sopra moltissimo<ref>''"Per anni in Italia, i maestri sono stati quelli di «Libero», i cui lanci ormai epici sono stati addirittura messi in una rassegna da «Vice». Due su tutti. Primo: foto sensuale di Francesca Immacolata Chaouqui, collaboratrice del Vaticano finita in uno scandalo. E il titolo: “Sberleffo della Papessa a Papa Bergoglio: ‘Buon natale, ca...’”. Percezione dell’articolo: ha scritto cazzo al papa. Realtà: i puntini di sospensione servivano a nascondere il più innocente messaggio “Buon Natale, capo”. Consiglio: i puntini di sospensione stanno al clickbaitista come il martello sta a Thor. Sono la sua arma principale, lo strumento micidiale per farvi abboccare. Quando li vedete, state all’erta. Secondo lancio mitologico: foto di Alberto Stasi – ragazzo condannato per il famigerato omicidio di Chiara Poggi che per anni ha riempito le cronache italiane – circondato dai carabinieri. E titolo sensazionalistico: “Clamorosa evasione dal carcere di Stasi”. Percezione: Stasi è fuggito. Realtà: l’evaso è tale «Predan Zonic, cinquantadue anni, origini serbe», il cui unico grado di relazione con la vicenda di Stasi è l’essere detenuto nello stesso carcere... “di Stasi”, a Bollate. Uso raffinatissimo e geniale di foto, parole e sintassi. Pensate se tutto quel talento del clickbaitista venisse valorizzato al servizio di compiti meno ingannevoli e più nobili."''</ref>.
==Prima vittima, la cura (nel senso di attenzione)==
==Conseguenze negative per i lettori==
Francesco afferma che qualcosa è sfuggito di mano e si persa l''''attenzione''' al testo, al contesto e al lettore.<blockquote>Abbiamo trasformato i giornali in “macchine sforna url”. Fabbriche di produzione di contenuti, ognuno privo di legami, analisi, letture e collegamenti con altre informazioni. Da leggere, consumare e abbandonare. Abbiamo tolto le storie dal contesto. Rinunciato a essere i curatori.</blockquote>
In seguito '''qualcosa è sfuggito di mano''' e '''si persa l'attenzione e la cura''' del testo, del contesto, del lettore:<blockquote>Abbiamo trasformato i giornali in “macchine sforna url”. Fabbriche di produzione di contenuti, ognuno privo di legami, analisi, letture e collegamenti con altre informazioni. Da leggere, consumare e abbandonare. Abbiamo tolto le storie dal contesto. Rinunciato a essere i curatori.</blockquote>
 


== Guadagni facili per editori, influencer ==
Giornalisti con spirito più imprenditoriale che molleranno la redazione per costruirsi il proprio progetto personale.
Giornalisti con spirito più imprenditoriale che molleranno la redazione per costruirsi il proprio progetto personale.
*Nel 2021 Casey Newton ha mollato la redazione di The Verge per farsi la sua newsletter personale, già nei primi mesi ha raccolto oltre duemila abbonati paganti: a dieci dollari ciascuno, fa ventimila dollari al mese.
*Nel 2021 Casey Newton ha mollato la redazione di The Verge per farsi la sua newsletter personale, già nei primi mesi ha raccolto oltre duemila abbonati paganti: a dieci dollari ciascuno, fa ventimila dollari al mese.
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*Azeem Azhar, ex corrispondente dell’«Economist», dice di guadagnare una cifra a sei zeri con la sua newsletter incentrata sul tech: «Non mi sono mai sentito così libero in venticinque anni di giornalismo».
*Azeem Azhar, ex corrispondente dell’«Economist», dice di guadagnare una cifra a sei zeri con la sua newsletter incentrata sul tech: «Non mi sono mai sentito così libero in venticinque anni di giornalismo».
*Andrew Sullivan, star del «New York Magazine», ha lasciato dopo alcune tensioni con l’editore e ha creato il suo prodotto, raccogliendo sessantamila lettori ancora prima di inviare la prima mail: «È meraviglioso scrivere solo per i propri lettori. È come tornare ai tempi dei blog». Ritorno al futuro.
*Andrew Sullivan, star del «New York Magazine», ha lasciato dopo alcune tensioni con l’editore e ha creato il suo prodotto, raccogliendo sessantamila lettori ancora prima di inviare la prima mail: «È meraviglioso scrivere solo per i propri lettori. È come tornare ai tempi dei blog». Ritorno al futuro.
Il trend è dovuto a un mercato sempre più in crisi (negli ultimi anni il numero dei giornalisti nelle redazioni USA si è dimezzato e durante la pandemia in almeno trentamila sono stati mandati a casa o hanno subito riduzioni di stipendio) ma anche a un nuovo sviluppo del rapporto tra lettori e autori
«Prima i lettori erano affezionati a una testata» ha spiegato Casey Newton. «Adesso seguono singoli scrittori, youtuber o podcaster. E iniziano a essere disposti a pagare per supportarli.»


Negli ultimi vent’anni noi giornalisti abbiamo usato inconsciamente e invano parole diverse per differenziare il giornalismo “vero” da quello che ci stava avvenendo attorno: i blogger sui blog, gli user-generated content sul web, gli youtuber su YouTube, i fotografi improvvisati su Instagram, gli influencer sui social. «La nostra ostilità verso quello che stava succedendo è comprensibile», ha scritto il Reynolds Journalism Institute «la nostra negazione no.»
== Com'è potuto accadere? ==
Da un lato crisi da parte degli editori:<blockquote>Il trend è dovuto a un mercato sempre più in crisi (negli ultimi anni il numero dei giornalisti nelle redazioni USA si è dimezzato e durante la pandemia in almeno trentamila sono stati mandati a casa o hanno subito riduzioni di stipendio) ma anche a un nuovo sviluppo del rapporto tra lettori e autori</blockquote>Dall'altro:<blockquote>«Prima i lettori erano affezionati a una testata» ha spiegato Casey Newton. «Adesso seguono singoli scrittori, youtuber o podcaster. E iniziano a essere disposti a pagare per supportarli.»
Negli ultimi vent’anni noi giornalisti abbiamo usato inconsciamente e invano parole diverse per differenziare il giornalismo “vero” da quello che ci stava avvenendo attorno: i blogger sui blog, gli user-generated content sul web, gli youtuber su YouTube, i fotografi improvvisati su Instagram, gli influencer sui social. «La nostra ostilità verso quello che stava succedendo è comprensibile», ha scritto il Reynolds Journalism Institute «la nostra negazione no.»</blockquote>Abbiamo solo perso un’occasione [...] «ci rifiutiamo di guardare la democratizzazione del mestiere avvenuta con la rete».


Abbiamo solo perso un’occasione [...] «ci rifiutiamo di guardare la democratizzazione del mestiere avvenuta con la rete». E con i social.
== Note ==
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Versione delle 11:00, 28 giu 2022

Dal boom dei giornali online al crollo

  • Grazie a internet inizialmente ci fu un periodo di forte crescita delle testate online dei grandi («Time», «The New York Times», «National Geographic»), le stime parlavano di +1.000% di utenti l’anno. Questa bolla però durò poco, si dissolse nel 2001.

Il primo caso di viralità

  • Dalla fine di questo boom si passò ad un giornalismo più modesto a caccia di viralità. C'è un episodio singolo che può essere visto come simbolo dell'inizio della viralità. In breve uno sconosciuto, un certo Jonah Peretti, polemizzò contro la Nike sullo sfruttamento dei lavoratori, pubblicò le mail che divennero virali. Nel giro di poche settimane, il thread venne letto da milioni di persone.
  • Peretti si trovò in tv a dibattere dei diritti dei lavoratori con il capo delle relazioni pubbliche di Nike e lui in primis affermò: «Perché sono qui io, invece delle persone che hanno dedicato la vita a combattere per i diritti umani?».
  • L'insegnamento che se ne deduce è che nel mondo dei mass media non importa essere esperti o competenti circa un un determinato tema, ma far arrivare la battaglia a più persone possibile. «Pochissime battaglie verranno raccontate» - spiega Francesco Oggiano - «senza una storia appetibile, un protagonista carismatico o un antagonista intrigante.»

Si cerca di replicare quel caso, si studiano le caratteristiche dei contenuti virali

  • Inizialmente la parola virale non veniva usata, Peretti parla di «media contagiosi»
  • Capisce che grazie sta nascendo un nuovo pubblico: gli impiegati annoiati al lavoro.
  • Per essere contagioso, un progetto deve essere semplice, conciso: «la più semplice forma di un’idea» «spiegabile in massimo una frase».

La ricerca della viralità viene ingegnerizzata con test A/B sempre più raffinati. Un contenuto può uscire contemporaneamente in decine di versioni diverse per vedere quali funzionano meglio: le immagini blu ottengono più like di quelle rosse; “questo“ o “questa“ (madre, padre, scoiattolo, ecc.) all’inizio di un titolo garantiscono più condivisioni.

Le caratteristiche per rendere un contenuto virale sono:

  • Indignazione (vedi le mail con la Nike)
  • Immedesimazione (vedi il numero per gli spasimanti indesiderati)
  • Divertimento (vedi il sito satirico sul razzismo)
  • Non conta l’oggetto dell’articolo ma l’emozione nel soggetto che lo legge.

Conta tanto le emozioni che un contenuto suscita ("Il contenuto diventa un carburante per le nostre conversazioni").

Un altro episodio divenuto virale è The Dress, qui (clicca sul link) si notano altre caratteristiche utili a rendere un tema virale.

Produzione di contenuti virali su larga scala da parte dei giornalisti

Francesco Oggiano nel suo libro Sociability ci parla del crollo della qualità dei contenuti giornalistici causata dalla necessità di una concorrenza di solo prezzo:

Cinque minuti massimo. Il tempo di trovare un altro articolo – di un’altra testata italiana, magari scritto da un altro povero cristo dall’altra parte della città, che a sua volta l’aveva ricopiato da un altro – e “ricicciarlo”. Dicesi ricicciarlo: riscriverlo quel tanto che bastava da renderlo non imputabile di plagio e minimamente originale per l’algoritmo di Google News, sempre affamato di nuovi contenuti. Ecco perché, cari lettori, quando fate una ricerca su Google vi ritrovate vagonate di articoli tutti simili tra loro tipo “Come vedere la Juve in streaming” o “A che ora parla XY”.

E di come questo processo di "adattamento[1] al mercato" non abbia comportato solo un aumento di contenuti scopiazzati, scritti senza approfondimento, ma un tentativo di "hackerare" l'interesse delle persone. Attraverso l'uso di titoli ad effetto (o clickbait[2]): "una didascalia sufficientemente intrigante e misteriosa, l’obiettivo è non rivelare né troppo né troppo poco del contenuto". Oggiano ci porta alcuni esempi delle prime testate online che ci hanno puntato sopra moltissimo[3].

Conseguenze negative per i lettori

In seguito qualcosa è sfuggito di mano e si persa l'attenzione e la cura del testo, del contesto, del lettore:

Abbiamo trasformato i giornali in “macchine sforna url”. Fabbriche di produzione di contenuti, ognuno privo di legami, analisi, letture e collegamenti con altre informazioni. Da leggere, consumare e abbandonare. Abbiamo tolto le storie dal contesto. Rinunciato a essere i curatori.

Guadagni facili per editori, influencer

Giornalisti con spirito più imprenditoriale che molleranno la redazione per costruirsi il proprio progetto personale.

  • Nel 2021 Casey Newton ha mollato la redazione di The Verge per farsi la sua newsletter personale, già nei primi mesi ha raccolto oltre duemila abbonati paganti: a dieci dollari ciascuno, fa ventimila dollari al mese.
  • Azeem Azhar, ex corrispondente dell’«Economist», dice di guadagnare una cifra a sei zeri con la sua newsletter incentrata sul tech: «Non mi sono mai sentito così libero in venticinque anni di giornalismo».
  • Andrew Sullivan, star del «New York Magazine», ha lasciato dopo alcune tensioni con l’editore e ha creato il suo prodotto, raccogliendo sessantamila lettori ancora prima di inviare la prima mail: «È meraviglioso scrivere solo per i propri lettori. È come tornare ai tempi dei blog». Ritorno al futuro.

Com'è potuto accadere?

Da un lato crisi da parte degli editori:

Il trend è dovuto a un mercato sempre più in crisi (negli ultimi anni il numero dei giornalisti nelle redazioni USA si è dimezzato e durante la pandemia in almeno trentamila sono stati mandati a casa o hanno subito riduzioni di stipendio) ma anche a un nuovo sviluppo del rapporto tra lettori e autori

Dall'altro:

«Prima i lettori erano affezionati a una testata» ha spiegato Casey Newton. «Adesso seguono singoli scrittori, youtuber o podcaster. E iniziano a essere disposti a pagare per supportarli.» Negli ultimi vent’anni noi giornalisti abbiamo usato inconsciamente e invano parole diverse per differenziare il giornalismo “vero” da quello che ci stava avvenendo attorno: i blogger sui blog, gli user-generated content sul web, gli youtuber su YouTube, i fotografi improvvisati su Instagram, gli influencer sui social. «La nostra ostilità verso quello che stava succedendo è comprensibile», ha scritto il Reynolds Journalism Institute «la nostra negazione no.»

Abbiamo solo perso un’occasione [...] «ci rifiutiamo di guardare la democratizzazione del mestiere avvenuta con la rete».

Note

  1. Il termine adattarsi fa pensare proprio al senso Darwiniano della parola: survival of the fittest
  2. la pratica di ingigantire e distorcere il lancio di un articolo in maniera sensazionalistica e volutamente ambigua, in modo che l’utente – timoroso di perdersi un contenuto decisivo – non possa resistere alla tentazione di cliccare.
  3. "Per anni in Italia, i maestri sono stati quelli di «Libero», i cui lanci ormai epici sono stati addirittura messi in una rassegna da «Vice». Due su tutti. Primo: foto sensuale di Francesca Immacolata Chaouqui, collaboratrice del Vaticano finita in uno scandalo. E il titolo: “Sberleffo della Papessa a Papa Bergoglio: ‘Buon natale, ca...’”. Percezione dell’articolo: ha scritto cazzo al papa. Realtà: i puntini di sospensione servivano a nascondere il più innocente messaggio “Buon Natale, capo”. Consiglio: i puntini di sospensione stanno al clickbaitista come il martello sta a Thor. Sono la sua arma principale, lo strumento micidiale per farvi abboccare. Quando li vedete, state all’erta. Secondo lancio mitologico: foto di Alberto Stasi – ragazzo condannato per il famigerato omicidio di Chiara Poggi che per anni ha riempito le cronache italiane – circondato dai carabinieri. E titolo sensazionalistico: “Clamorosa evasione dal carcere di Stasi”. Percezione: Stasi è fuggito. Realtà: l’evaso è tale «Predan Zonic, cinquantadue anni, origini serbe», il cui unico grado di relazione con la vicenda di Stasi è l’essere detenuto nello stesso carcere... “di Stasi”, a Bollate. Uso raffinatissimo e geniale di foto, parole e sintassi. Pensate se tutto quel talento del clickbaitista venisse valorizzato al servizio di compiti meno ingannevoli e più nobili."