Promessi sposi, episodio capponi: differenze tra le versioni

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Manzoni
L'epoca storica precisa e vera, in cui il Manzoni finge il suo romanzo svolgasi, ossia il '600 in quel di Lombardia, dopo l'opera semplificatrice e riordinatrice dei giureconsulti dell'impero romano d'oriente per iniziativa dell'imperatore Giustiniano, di cui il Dante scrisse, nel VI canto del Paradiso:


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''Cesare fui e son Iustinïano ''
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'' che, per voler del primo amor ch'i' sento ''
 
'' d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano ''
 
 
Avvenuta a partire dal 535 dopo Cristo con la pubblicazione del corpus iuris civilis, mostrò, specificatamente in quel secolo da quegli (Don Lisander) prescelto per narrarvi le storie di Renzo e Lucia, un dilagare, un'ipertrofia, una libido legiferandi, che, in ossequio al ben noto broccardo summum ius, summa ingiuria, rendeva ogni azione giuridica in cui entrassero giudici, avvocati e tribunali, un'avventura dall'iter mai omogeneo e uniforme in tutti i luoghi e in ogni corte. Ciò per la difformità tra leggi locali, norme a carattere permanente che confliggevano con, o si sovrapponevano a disposizioni temporanee ma tuttora in vigore perché mai abrogate, nonché ordinanze tra cui, i più furbi tra i giureconsulti (come era l'avvocato Azzeccagarbugli da cui lo scrittore fa recare Renzo coi suoi capponi), pescavano le più favorevoli ai loro clienti. I quali, se ricchi e potenti,  potevano permettersi di mantenerne stuoli che scartabellassero nel cumulo giurisprudenziale per vincere le cause, quando non potevano ricorrere apertamente alla corruzione, se poveri, viceversa, quali il succitato Lorenzo Tramaglino, o spesso le perdevano, o neanche le potevano principiare, stante il fatto che i legulei del tempo rifiutavano di mettersi contro il tale o talaltro signorotto.
 
Ma da quale causa si originava questa babelica congerie di norme spesso in conflitto contraddittorio fra di esse? Non poche di queste, in effetti, a ben considerare la questione, nascevano da quello che modernamente oggi chiameremmo interventismo dell'apparato statale. Il tentativo cioè, di regolare, o meglio, irreggimentare ogni aspetto della vita del cittadino nella sua sfera più privata. Questa straripante messe di carte giuridiche offriva, al contempo, un'arma alla gente per rivalersi di molte e diverse fattispecie di reato (nel penale) o illecito (nel civile) o di entrambe (utroque iure). Quale era l'effetto di tutto ciò? Che i sudditi (tali erano in effetti) si ritrovano spesso in conflitto tra loro (non potendo, come già accennato, il più delle volte procedere legalmente contro i potenti). I signori dell'epoca, dovevano essersi resi già da tempo conto della verità di quel motto antico attribuito a Filippo il Macedone:
 
διαίρει καὶ βασίλευε
 
Più universalmente conosciuto nella sua traduzione latina:
 
Dīvĭdĕ et ĭmpĕrā
 
Quia, ubi divisio, non unitas (est)
 
La quale unità, la compattezza, ben poteva riuscire pericolosa per un governo che non godesse i favori della popolazione. Invece, con l'impelagare le persone in guerricciole personali piccole e grandi, ci si garantiva, dando ai cittadini, sotto forma di leggi e leggine, per così dire, la stessa corda con cui si sarebbero impiccati, una relativa immunità dalle rivolte organizzate, essendo il popolo in tutt'altro affaccendato a battibeccare tra pari condizione, mentre i maggiorenti locali potevano così impunemente spadroneggiare.
 
A ciò doveva pensare parimenti il Manzoni, quando nel terzo capitolo de: I promessi sposi, scrive:
 
''"Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.”
''
== Le Grida e i Gridarii ==
Arrivati a questo punto, ci si potrebbe chiedere che fossero propriamente queste "grida" e perché avessero tal nome che il Manzoni riprende nella sua opera. Erano comunicazioni ufficiali con valore pieno di legge fatte dalle autorità al popolo. "Grida" si dicevano, perché, almeno inizialmente, "gridate" a voce da un pubblico ufficiale su piazza che prendeva l'appellativo di banditore.
 
Per uso e consumo dei giurisprudenti, (essendo il popolo in gran parte illetterato e anzi analfabeta del tutto), si cominciò, a partire da una data epoca, a cercare di raccogliere in delle pubblicazioni (di difficile reperimento e comunque non con poche spese ottenibili), la miriade di atti concernenti la legislazione locale. Questi, in Lombardia specificatamente, e nel tempo in cui il Manzoni calava le sue vicende romanzesche, vennero per l'appunto chiamati con il nome appellativo di "grida".
 
Esempio ne sono le collazioni quali questa:
 
Compendio di tutte le gride, et ordini publicati nella citta, & Stato di Milano. Nel governo dell'ill.mo et eccellentissimo don Carlo d'Aragon, duca di Terranuoua, &c. Gouernatore del detto Stato, & Capitan generale per Sua Maesta Catholica in Italia
 
Del 1609
 
Altre raccolte, rivelano, spesso, già nel titolo, l'influsso della dominazione spagnola, come gridarii del genere:
 
Deseoso el illustrissimo, y excellentissimo senor don Pedro de Toledo Ossorio ... solleuar en quanto pudiere los subditos de su magestad que en este Estado tiene, y poner freno a los desordenes que hasta aqui ha cometido la gente de guerra, tanto de a pie, come de a cauallo, q'en el re, fide, ademas de las gridas, y ordenes en esta materia publicados, las quales confirma en quanto no son contrarias a la presente, ha resuelto para mayor claridad de todos, y certeza de su buen zelo se publique el presente bando ...
 
Recante la data (testuale) 20 diziembre 1615

Versione delle 03:09, 9 gen 2022

L'epoca storica precisa e vera, in cui il Manzoni finge il suo romanzo svolgasi, ossia il '600 in quel di Lombardia, dopo l'opera semplificatrice e riordinatrice dei giureconsulti dell'impero romano d'oriente per iniziativa dell'imperatore Giustiniano, di cui il Dante scrisse, nel VI canto del Paradiso:


Cesare fui e son Iustinïano 

che, per voler del primo amor ch'i' sento

d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano 


‌ Avvenuta a partire dal 535 dopo Cristo con la pubblicazione del corpus iuris civilis, mostrò, specificatamente in quel secolo da quegli (Don Lisander) prescelto per narrarvi le storie di Renzo e Lucia, un dilagare, un'ipertrofia, una libido legiferandi, che, in ossequio al ben noto broccardo summum ius, summa ingiuria, rendeva ogni azione giuridica in cui entrassero giudici, avvocati e tribunali, un'avventura dall'iter mai omogeneo e uniforme in tutti i luoghi e in ogni corte. Ciò per la difformità tra leggi locali, norme a carattere permanente che confliggevano con, o si sovrapponevano a disposizioni temporanee ma tuttora in vigore perché mai abrogate, nonché ordinanze tra cui, i più furbi tra i giureconsulti (come era l'avvocato Azzeccagarbugli da cui lo scrittore fa recare Renzo coi suoi capponi), pescavano le più favorevoli ai loro clienti. I quali, se ricchi e potenti, potevano permettersi di mantenerne stuoli che scartabellassero nel cumulo giurisprudenziale per vincere le cause, quando non potevano ricorrere apertamente alla corruzione, se poveri, viceversa, quali il succitato Lorenzo Tramaglino, o spesso le perdevano, o neanche le potevano principiare, stante il fatto che i legulei del tempo rifiutavano di mettersi contro il tale o talaltro signorotto.

Ma da quale causa si originava questa babelica congerie di norme spesso in conflitto contraddittorio fra di esse? Non poche di queste, in effetti, a ben considerare la questione, nascevano da quello che modernamente oggi chiameremmo interventismo dell'apparato statale. Il tentativo cioè, di regolare, o meglio, irreggimentare ogni aspetto della vita del cittadino nella sua sfera più privata. Questa straripante messe di carte giuridiche offriva, al contempo, un'arma alla gente per rivalersi di molte e diverse fattispecie di reato (nel penale) o illecito (nel civile) o di entrambe (utroque iure). Quale era l'effetto di tutto ciò? Che i sudditi (tali erano in effetti) si ritrovano spesso in conflitto tra loro (non potendo, come già accennato, il più delle volte procedere legalmente contro i potenti). I signori dell'epoca, dovevano essersi resi già da tempo conto della verità di quel motto antico attribuito a Filippo il Macedone:

διαίρει καὶ βασίλευε

Più universalmente conosciuto nella sua traduzione latina:

Dīvĭdĕ et ĭmpĕrā

Quia, ubi divisio, non unitas (est)

La quale unità, la compattezza, ben poteva riuscire pericolosa per un governo che non godesse i favori della popolazione. Invece, con l'impelagare le persone in guerricciole personali piccole e grandi, ci si garantiva, dando ai cittadini, sotto forma di leggi e leggine, per così dire, la stessa corda con cui si sarebbero impiccati, una relativa immunità dalle rivolte organizzate, essendo il popolo in tutt'altro affaccendato a battibeccare tra pari condizione, mentre i maggiorenti locali potevano così impunemente spadroneggiare.

A ciò doveva pensare parimenti il Manzoni, quando nel terzo capitolo de: I promessi sposi, scrive:

"Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.”

Le Grida e i Gridarii

Arrivati a questo punto, ci si potrebbe chiedere che fossero propriamente queste "grida" e perché avessero tal nome che il Manzoni riprende nella sua opera. Erano comunicazioni ufficiali con valore pieno di legge fatte dalle autorità al popolo. "Grida" si dicevano, perché, almeno inizialmente, "gridate" a voce da un pubblico ufficiale su piazza che prendeva l'appellativo di banditore.

Per uso e consumo dei giurisprudenti, (essendo il popolo in gran parte illetterato e anzi analfabeta del tutto), si cominciò, a partire da una data epoca, a cercare di raccogliere in delle pubblicazioni (di difficile reperimento e comunque non con poche spese ottenibili), la miriade di atti concernenti la legislazione locale. Questi, in Lombardia specificatamente, e nel tempo in cui il Manzoni calava le sue vicende romanzesche, vennero per l'appunto chiamati con il nome appellativo di "grida".

Esempio ne sono le collazioni quali questa:

Compendio di tutte le gride, et ordini publicati nella citta, & Stato di Milano. Nel governo dell'ill.mo et eccellentissimo don Carlo d'Aragon, duca di Terranuoua, &c. Gouernatore del detto Stato, & Capitan generale per Sua Maesta Catholica in Italia

Del 1609

Altre raccolte, rivelano, spesso, già nel titolo, l'influsso della dominazione spagnola, come gridarii del genere:

Deseoso el illustrissimo, y excellentissimo senor don Pedro de Toledo Ossorio ... solleuar en quanto pudiere los subditos de su magestad que en este Estado tiene, y poner freno a los desordenes que hasta aqui ha cometido la gente de guerra, tanto de a pie, come de a cauallo, q'en el re, fide, ademas de las gridas, y ordenes en esta materia publicados, las quales confirma en quanto no son contrarias a la presente, ha resuelto para mayor claridad de todos, y certeza de su buen zelo se publique el presente bando ...

Recante la data (testuale) 20 diziembre 1615