Introduzione al problema speciale sulla politica dell'identità: differenze tra le versioni

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= An Introduction to the Special Issue on Identity Politics =
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Birkbeck, University of London | 2 King’s College London | 3 Independent Researcher | 4 London School of Economics
Birkbeck, University of London | 2 King’s College London | 3 Independent Researcher | 4 London School of Economics
; <nowiki>Data pubblicazione: 30 Luglio 2018</nowiki>
; <nowiki>Data pubblicazione: 30 Luglio 2018</nowiki>
== Riassunto per punti (in inglese) ==
'''Paper originale:''' https://brill.com/view/journals/hima/26/2/article-p3_1.xml
[https://share.summari.com/an-introduction-to-the-special-issue-on-identity-politics?utm_source=Webapp https://share.summari.com/an-introduction-to-the-special-issue-on-identity-politics]
 
'''Riassunto per punti (in inglese):''' [https://share.summari.com/an-introduction-to-the-special-issue-on-identity-politics?utm_source=Webapp https://share.summari.com/an-introduction-to-the-special-issue-on-identity-politics]
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== Abstract ==
== Abstract ==
Questo numero speciale risponde ai dibattiti in corso su quella che è stata definita "politica dell'identità". Il nostro obiettivo è quello di intervenire in quelle che sono le questioni dirimenti per la sinistra di oggi. In particolare, desideriamo provocare un'ulteriore conversazione interrogativa, ma cameratesca, che lavori per rompere il cuneo tra il volgare economicismo e il volgare culturalismo. In modo critico, sosteniamo che proprio come tutte le categorie identitarie sono spazialmente e temporalmente contingenti - socialmente costruite, ma naturalizzate - così lo è anche questa attuale biforcazione tra "politica di classe" e "politica dell'identità". In definitiva, chiediamo di abbracciare intellettualmente e organizzativamente la complessità dell'identità così come si presenta nelle condizioni contemporanee, essendo un principio organizzativo centrale del capitalismo così come funziona oggi, un paradigma attraverso il quale la lotta di sinistra può essere organizzata e intorno al quale - e tuttavia con il riconoscimento della necessità di storicizzare, e infine abolire, queste categorie insieme al capitalismo stesso.
Questo numero speciale risponde ai dibattiti in corso su quella che è stata definita "'''politica dell'identità'''". Il nostro obiettivo è quello di intervenire in quelle che sono le questioni dirimenti per la sinistra di oggi. In particolare, desideriamo provocare un'ulteriore conversazione interrogativa, ma cameratesca, che lavori per rompere il cuneo tra il volgare economicismo e il volgare culturalismo. In modo critico, sosteniamo che proprio come tutte le categorie identitarie sono spazialmente e temporalmente contingenti - socialmente costruite, ma naturalizzate - così lo è anche questa attuale biforcazione tra "politica di classe" e "politica dell'identità". In definitiva, chiediamo di abbracciare intellettualmente e organizzativamente la complessità dell'identità così come si presenta nelle condizioni contemporanee, essendo un principio organizzativo centrale del capitalismo così come funziona oggi, un paradigma attraverso il quale la lotta di sinistra può essere organizzata e intorno al quale - e tuttavia con il riconoscimento della necessità di storicizzare, e infine abolire, queste categorie insieme al capitalismo stesso.
== Parole chiave ==
== Parole chiave ==
politica dell'identità; economismo; classe; internazionalismo; culturalismo; identitario; razza; genere
politica dell'identità; economismo; classe; internazionalismo; culturalismo; identitario; razza; genere
== Articolo ==
== Articolo ==
Il 2017 è stato, per molti versi, l'anno in cui i dibattiti sulle politiche identitarie sono arrivati al culmine. Non più esclusivamente oggetto di fango all'interno della sinistra, l'artificiosa opposizione tra "politica di classe" e "politica dell'identità" è riemersa nel linguaggio politico e mediatico mainstream. Dopo aver sbagliato clamorosamente due degli shock politici più significativi del decennio in Occidente - la Brexit e l'elezione di Donald Trump - le testate si sono affrettate a dare la colpa dell'ascesa dell'estrema destra alla schiacciante egemonia del "politicamente corretto". Questo quadro discorsivo avrebbe messo da parte la cosiddetta "classe operaia bianca" nei suoi disperati ed emulativi tentativi di fare appello alle donne, alle persone di colore e ad altre comunità emarginate.
Il 2017 è stato, per molti versi, l'anno in cui i ''dibattiti sulle politiche identitarie'' sono arrivati al culmine. Non più esclusivamente oggetto di fango all'interno della sinistra, l'artificiosa opposizione tra "politica di classe" e "politica dell'identità" è riemersa nel linguaggio politico e mediatico mainstream. Dopo aver sbagliato clamorosamente due degli shock politici più significativi del decennio in Occidente - la Brexit e l'elezione di Donald Trump - <u>le testate si sono affrettate a dare la colpa dell'ascesa dell'estrema destra alla schiacciante egemonia del "politicamente corretto"</u>. Questa narrazione avrebbe messo da parte la cosiddetta "classe operaia bianca" nei suoi disperati tentativi di fare appello alle donne, alle persone di colore e ad altre comunità emarginate.
 
Nonostante gli interessi categoricamente borghesi alla base delle campagne britanniche "Leave" e "Remain" e il fatto che, ad esempio, gli americani a basso reddito avessero meno probabilità di votare per Trump rispetto alle classi superiori, entrambi i momenti sono stati prematuramente inquadrati come grida di vendetta da parte di uomini bianchi, appartenenti alla classe operaia: una categoria definita dalla classe oltre che dalla razza, e tuttavia espropriata non dal capitalismo ma da un'élite metropolitana multirazziale preoccupata di mostrare una tolleranza superficiale verso le identità minoritarie. Il nazionalista bianco ed ex capo stratega della Casa Bianca di Trump, Steve Bannon, ha ben sintetizzato questo quadro - e la sua efficacia per il suo progetto della cosiddetta "alt-right":<blockquote>I Democratici - più parlano di politica dell'identità, più li ho in pugno.... voglio che parlino di razzismo ogni giorno. Se la sinistra si concentra sulla razza e sull'identità e noi puntiamo sul nazionalismo economico, possiamo schiacciare i Democratici.</blockquote>In effetti, l'impostazione diventa insostenibile per qualsiasi progetto di sinistra serio e completo. Le lotte delle marginalità razziali, di genere e sessuali si collocano in opposizione all'espropriazione economica - che a sua volta è vissuta esclusivamente dai bianchi, in particolare dagli uomini bianchi, che curiosamente non sono essi stessi coinvolti in una politica di formazione dell'identità. In un ulteriore sforzo di immaginazione, la radice di questa espropriazione economica non si trova nelle condizioni strutturali del capitale, ma nell'ingiusto sperpero di risorse per i meno meritevoli - per i migranti, le persone di colore e le persone queer. In quanto tale, la resistenza a questa espropriazione economica non risiede nello smantellamento del capitalismo, ma nell'intensificazione della sua violenza razziale e di genere: più incarcerazioni, più detenzioni e più ostentazioni scioviniste. La logica implicita è che maggiore è l'espropriazione dell'Altro razziale e di genere, più alto è il mucchio di scarti sotto il tavolo della classe capitalista. <u>Questa strategia distrugge di fatto tutti i motivi di solidarietà e resistenza anticapitalista di massa.</u>
L'impulso originario per questo numero speciale, che cerca di intervenire esplicitamente in questo contesto discorsivo contraddittorio, è arrivato alla fine del 2015, prima dei suddetti sconvolgimenti politici. <u>È nato in risposta alla continua interiorizzazione di questi termini da parte della sinistra e al ciclo di auto-sconfitta a cui stava portando</u>. Infatti, proprio come tutte le categorie identitarie sono spazialmente e temporalmente contingenti - socialmente costruite, ma naturalizzate - così lo è anche l'attuale biforcazione tra "politica di classe" e "politica dell'identità". Questa opposizione è essa stessa un'innovazione costruita, naturalizzata e - cosa fondamentale - efficace delle molte incarnazioni della destra.  


Nonostante gli interessi categoricamente borghesi alla base delle campagne britanniche "Leave" e "Remain" e il fatto che, ad esempio, gli americani a basso reddito avessero meno probabilità di votare per Trump rispetto alle classi superiori1 , entrambi i momenti sono stati prematuramente inquadrati come grida di vendetta da parte di uomini bianchi, appartenenti alla classe operaia: una categoria definita dalla classe oltre che dalla razza, e tuttavia espropriata non dal capitalismo ma da un'élite metropolitana multirazziale preoccupata di mostrare una tolleranza superficiale verso le identità minoritarie. Il nazionalista bianco ed ex capo stratega della Casa Bianca di Trump, Steve Bannon, ha ben sintetizzato questo quadro - e la sua efficacia per il suo progetto della cosiddetta "alt-right":<blockquote>I Democratici - più parlano di politica dell'identità, più li ho in pugno.... voglio che parlino di razzismo ogni giorno. Se la sinistra si concentra sulla razza e sull'identità e noi puntiamo sul nazionalismo economico, possiamo schiacciare i Democratici.</blockquote>In effetti, l'impostazione diventa insostenibile per qualsiasi progetto di sinistra serio e completo. Le lotte delle marginalità razziali, di genere e sessuali si collocano in opposizione all'espropriazione economica - che a sua volta è vissuta esclusivamente dai bianchi, in particolare dagli uomini bianchi, che curiosamente non sono essi stessi coinvolti in una politica di formazione dell'identità. In un ulteriore sforzo di immaginazione, la radice di questa espropriazione economica non si trova nelle condizioni strutturali del capitale, ma nell'ingiusto sperpero di risorse per i meno meritevoli - per i migranti, le persone di colore e le persone queer. In quanto tale, la resistenza a questa espropriazione economica non risiede nello smantellamento del capitalismo, ma nell'intensificazione della sua violenza razziale e di genere: più incarcerazioni, più detenzioni e più ostentazioni scioviniste. La logica implicita è che maggiore è l'espropriazione dell'Altro razziale e di genere, più alto è il mucchio di scarti sotto il tavolo della classe capitalista. Questa strategia distrugge di fatto tutti i motivi di solidarietà e resistenza anticapitalista di massa.
Ci è parso chiaro che l'incapacità della sinistra di articolare una storia convincente e rigorosa della formazione dell'identità e, per estensione, dell'oppressione identitaria come radicata nelle dinamiche capitalistiche, ha lasciato un pericoloso vuoto esplicativo. Inoltre, ha creato una cultura organizzativa di politica posizionale e individualizzata che ha '''precluso la possibilità di una cooperazione''' ad ampio raggio - una necessità nella lotta contro il capitale nella sua forma contemporanea. Se solo il personale può essere politico, allora la solidarietà cessa di essere desiderabile, per non dire realizzabile.
L'impulso originario per questo numero speciale, che cerca di intervenire esplicitamente in questo contesto discorsivo contraddittorio, è arrivato alla fine del 2015, prima dei suddetti sconvolgimenti politici. È nato in risposta alla continua interiorizzazione di questi termini da parte della sinistra e al ciclo di auto-sconfitta a cui stava portando. Infatti, proprio come tutte le categorie identitarie sono spazialmente e temporalmente contingenti - socialmente costruite, ma naturalizzate - così lo è anche l'attuale biforcazione tra "politica di classe" e "politica dell'identità". Questa opposizione è essa stessa un'innovazione costruita, naturalizzata e - cosa fondamentale - efficace delle molte incarnazioni della destra. Ci è parso chiaro che l'incapacità della sinistra di articolare una storia convincente e rigorosa della formazione dell'identità e, per estensione, dell'oppressione identitaria come radicata nelle dinamiche capitalistiche, ha lasciato un pericoloso vuoto esplicativo. Inoltre, ha creato una cultura organizzativa di politica posizionale e individualizzata che ha precluso la possibilità di una cooperazione ad ampio raggio - una necessità nella lotta contro il capitale nella sua forma contemporanea. Se solo il personale può essere politico, allora la solidarietà cessa di essere desiderabile, per non dire realizzabile.


Affrontare questa mistificazione della politica di formazione dell'identità, della politica del capitale e della loro reciproca costituzione, è un luogo di intervento urgente per i marxisti di oggi. Come dimostrano molti dei contributi di questo numero speciale, c'è stata una fondamentale concessione ideologica nel discorso sul ruolo e la natura dell'identità: di cosa stiamo parlando quando parliamo di identità. I capitoli di Chi-Chi Shi e Annie Olaloku-Teriba, in particolare, dimostrano con eleganza come la sinistra abbia abrogato la nozione di identità come materialmente radicata e contingente al contesto storico e geografico. Al suo posto, vediamo l'accettazione egemonica di un'alternativa intrinsecamente reazionaria: quella che percepisce la razza, il genere e la sessualità come essenze care, che si autoformano e si autogiustificano. Questa concessione non solo ha rafforzato il binomio classe/identità, ma ha portato a un'immaginazione politica soffocata, in cui la politica basata sull'identità può essere concettualizzata solo all'interno di una logica liberal-capitalista. L'accettazione e la valorizzazione della propria identità come punto di partenza e di arrivo della politica ci lascia con la diversificazione all'interno delle strutture di potere contemporanee come unico obiettivo concepibile. Gli spazi di organizzazione basati sull'identità sono diventati fini a se stessi, invece di essere visti come parte del lavoro di costruzione di una solidarietà significativa e costruttiva tra gruppi oppressi. A sua volta, l'esplorazione della propria identità personale non è più l'inizio di un'esplorazione teorica più profonda dell'oppressione e delle strategie di resistenza, ma il progetto politico tout court.
Affrontare questa mistificazione della politica di formazione dell'identità, della politica del capitale e della loro reciproca costituzione, è un luogo di intervento urgente per i marxisti di oggi. Come dimostrano molti dei contributi di questo numero speciale, c'è stata una fondamentale concessione ideologica nel discorso sul ruolo e la natura dell'identità: di cosa stiamo parlando quando parliamo di identità. I capitoli di Chi-Chi Shi e Annie Olaloku-Teriba, in particolare, dimostrano con eleganza come la sinistra abbia abrogato la nozione di identità come materialmente radicata e contingente al contesto storico e geografico. Al suo posto, vediamo l'accettazione egemonica di un'alternativa intrinsecamente reazionaria: quella che percepisce la razza, il genere e la sessualità come essenze care, che si autoformano e si autogiustificano. Questa concessione non solo ha rafforzato il binomio classe/identità, ma ha portato a un'immaginazione politica soffocata, in cui la politica basata sull'identità può essere concettualizzata solo all'interno di una logica liberal-capitalista. L'accettazione e la valorizzazione della propria identità come punto di partenza e di arrivo della politica ci lascia con la diversificazione all'interno delle strutture di potere contemporanee come unico obiettivo concepibile. Gli spazi di organizzazione basati sull'identità sono diventati fini a se stessi, invece di essere visti come parte del lavoro di costruzione di una solidarietà significativa e costruttiva tra gruppi oppressi. A sua volta, l'esplorazione della propria identità personale non è più l'inizio di un'esplorazione teorica più profonda dell'oppressione e delle strategie di resistenza, ma il progetto politico tout court.
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Al di là del contesto anglo-americano in cui si collocano i redattori di questo speciale, la politica dell'identità è stata mobilitata anche nel mondo post-coloniale. In India, la politica identitaria del nazionalismo indù è andata oltre, rafforzando il capitalismo neocoloniale e reprimendo le masse più oscure. Mentre il BJP sposa un nazionalismo che, come spesso sostiene, è anti-coloniale, nel suo richiamo a una cultura indù pre-coloniale ha di fatto reinserito il neoliberismo. Costruendo una politica identitaria, ha imposto un curriculum scolastico che promuove il sanscrito, ma anche la letteratura dell'organizzazione induista-nazionalista Rashtriya Swayamsevak Sangh e un patriottico "Studi sulla Difesa" usato per legittimare le riforme del BJP.
Al di là del contesto anglo-americano in cui si collocano i redattori di questo speciale, la politica dell'identità è stata mobilitata anche nel mondo post-coloniale. In India, la politica identitaria del nazionalismo indù è andata oltre, rafforzando il capitalismo neocoloniale e reprimendo le masse più oscure. Mentre il BJP sposa un nazionalismo che, come spesso sostiene, è anti-coloniale, nel suo richiamo a una cultura indù pre-coloniale ha di fatto reinserito il neoliberismo. Costruendo una politica identitaria, ha imposto un curriculum scolastico che promuove il sanscrito, ma anche la letteratura dell'organizzazione induista-nazionalista Rashtriya Swayamsevak Sangh e un patriottico "Studi sulla Difesa" usato per legittimare le riforme del BJP.


In Sudafrica, come scrive Richard Pithouse, la politica dell'identità è continuamente mobilitata per promuovere un capitalismo nero che ha lasciato la grande maggioranza dei sudafricani neri impoveriti come durante l'apartheid. Il passaggio dell'ANC a un capitalismo neocoloniale è stato mascherato con una retorica che sostiene un capitalismo nero. Frantz Fanon si è confrontato con le insidie dello Stato post-coloniale, in quanto la borghesia nera ha servito gli ex padroni coloniali, manifestandosi nella presenza duratura del capitale monopolistico bianco in Sudafrica. Come dice Paul Gilroy, l'antirazzismo ci prescrive un pio rituale in cui siamo sempre d'accordo sul fatto che la "razza" è inventata, ma poi ci viene richiesto di rinviare alla sua incorporazione nel mondo e di accettare che la richiesta di giustizia ci impone comunque di entrare nelle arene politiche che essa contribuisce a delimitare.
In Sudafrica, come scrive Richard Pithouse, la politica dell'identità è continuamente mobilitata per promuovere un capitalismo nero che ha lasciato la grande maggioranza dei sudafricani neri impoveriti come durante l'[[apartheid]]. Il passaggio dell'ANC a un capitalismo neocoloniale è stato mascherato con una retorica che sostiene un capitalismo nero. Frantz Fanon si è confrontato con le insidie dello Stato post-coloniale, in quanto la borghesia nera ha servito gli ex padroni coloniali, manifestandosi nella presenza duratura del capitale monopolistico bianco in Sudafrica. Come dice Paul Gilroy, l'antirazzismo ci prescrive un pio rituale in cui siamo sempre d'accordo sul fatto che la "razza" è inventata, ma poi ci viene richiesto di rinviare alla sua incorporazione nel mondo e di accettare che la richiesta di giustizia ci impone comunque di entrare nelle arene politiche che essa contribuisce a delimitare.


Tuttavia, nel tentativo di superare tale contraddizione, egli afferma che l'identità dovrebbe essere la base della nostra politica, non la politica in sé. È quindi l'essere razzializzati come neri, e tutto ciò che ne consegue, a fornire la base per la politica radicale antirazzista, anticapitalista e antimperialista dei movimenti sociali in Sudafrica e in molti altri contesti postcoloniali. Navigare in questo dispiegamento strategico dell'identità è urgente sia nei mondi sottosviluppati che in quelli sovrasviluppati.
Tuttavia, nel tentativo di superare tale contraddizione, egli afferma che l'identità dovrebbe essere la base della nostra politica, non la politica in sé. È quindi l'essere razzializzati come neri, e tutto ciò che ne consegue, a fornire la base per la politica radicale antirazzista, anticapitalista e antimperialista dei movimenti sociali in Sudafrica e in molti altri contesti postcoloniali. Navigare in questo dispiegamento strategico dell'identità è urgente sia nei mondi sottosviluppati che in quelli sovrasviluppati.
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Qui, le identità differenziali vengono continuamente moltiplicate, appiattite e naturalizzate in nome della rappresentazione e del riconoscimento - un processo che sacrifica la profondità analitica per un'inutile forma di ampiezza. Il risultato di questa cultura politica, organizzata apparentemente in opposizione a questi sistemi di oppressione, è quello di rendere più durature queste relazioni sociali. Guardando alle eredità dei nostri punti più forti nella storia - dalle Pantere Nere, a Fanon, alle interrogazioni radicali queer sul genere - ci troviamo in una lunga tradizione di riconciliazione tra il materiale e il simbolico come componenti inestricabili dell'oppressione oggi.
Qui, le identità differenziali vengono continuamente moltiplicate, appiattite e naturalizzate in nome della rappresentazione e del riconoscimento - un processo che sacrifica la profondità analitica per un'inutile forma di ampiezza. Il risultato di questa cultura politica, organizzata apparentemente in opposizione a questi sistemi di oppressione, è quello di rendere più durature queste relazioni sociali. Guardando alle eredità dei nostri punti più forti nella storia - dalle Pantere Nere, a Fanon, alle interrogazioni radicali queer sul genere - ci troviamo in una lunga tradizione di riconciliazione tra il materiale e il simbolico come componenti inestricabili dell'oppressione oggi.
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