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Introduzione al problema speciale sulla politica dell'identità
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== Articolo == Il 2017 è stato, per molti versi, l'anno in cui i ''dibattiti sulle politiche identitarie'' sono arrivati al culmine. Non più esclusivamente oggetto di fango all'interno della sinistra, l'artificiosa opposizione tra "politica di classe" e "politica dell'identità" è riemersa nel linguaggio politico e mediatico mainstream. Dopo aver sbagliato clamorosamente due degli shock politici più significativi del decennio in Occidente - la Brexit e l'elezione di Donald Trump - <u>le testate si sono affrettate a dare la colpa dell'ascesa dell'estrema destra alla schiacciante egemonia del "politicamente corretto"</u>. Questa narrazione avrebbe messo da parte la cosiddetta "classe operaia bianca" nei suoi disperati tentativi di fare appello alle donne, alle persone di colore e ad altre comunità emarginate. Nonostante gli interessi categoricamente borghesi alla base delle campagne britanniche "Leave" e "Remain" e il fatto che, ad esempio, gli americani a basso reddito avessero meno probabilità di votare per Trump rispetto alle classi superiori, entrambi i momenti sono stati prematuramente inquadrati come grida di vendetta da parte di uomini bianchi, appartenenti alla classe operaia: una categoria definita dalla classe oltre che dalla razza, e tuttavia espropriata non dal capitalismo ma da un'élite metropolitana multirazziale preoccupata di mostrare una tolleranza superficiale verso le identità minoritarie. Il nazionalista bianco ed ex capo stratega della Casa Bianca di Trump, Steve Bannon, ha ben sintetizzato questo quadro - e la sua efficacia per il suo progetto della cosiddetta "alt-right":<blockquote>I Democratici - più parlano di politica dell'identità, più li ho in pugno.... voglio che parlino di razzismo ogni giorno. Se la sinistra si concentra sulla razza e sull'identità e noi puntiamo sul nazionalismo economico, possiamo schiacciare i Democratici.</blockquote>In effetti, l'impostazione diventa insostenibile per qualsiasi progetto di sinistra serio e completo. Le lotte delle marginalità razziali, di genere e sessuali si collocano in opposizione all'espropriazione economica - che a sua volta è vissuta esclusivamente dai bianchi, in particolare dagli uomini bianchi, che curiosamente non sono essi stessi coinvolti in una politica di formazione dell'identità. In un ulteriore sforzo di immaginazione, la radice di questa espropriazione economica non si trova nelle condizioni strutturali del capitale, ma nell'ingiusto sperpero di risorse per i meno meritevoli - per i migranti, le persone di colore e le persone queer. In quanto tale, la resistenza a questa espropriazione economica non risiede nello smantellamento del capitalismo, ma nell'intensificazione della sua violenza razziale e di genere: più incarcerazioni, più detenzioni e più ostentazioni scioviniste. La logica implicita è che maggiore è l'espropriazione dell'Altro razziale e di genere, più alto è il mucchio di scarti sotto il tavolo della classe capitalista. <u>Questa strategia distrugge di fatto tutti i motivi di solidarietà e resistenza anticapitalista di massa.</u> L'impulso originario per questo numero speciale, che cerca di intervenire esplicitamente in questo contesto discorsivo contraddittorio, è arrivato alla fine del 2015, prima dei suddetti sconvolgimenti politici. <u>È nato in risposta alla continua interiorizzazione di questi termini da parte della sinistra e al ciclo di auto-sconfitta a cui stava portando</u>. Infatti, proprio come tutte le categorie identitarie sono spazialmente e temporalmente contingenti - socialmente costruite, ma naturalizzate - così lo è anche l'attuale biforcazione tra "politica di classe" e "politica dell'identità". Questa opposizione è essa stessa un'innovazione costruita, naturalizzata e - cosa fondamentale - efficace delle molte incarnazioni della destra. Ci è parso chiaro che l'incapacità della sinistra di articolare una storia convincente e rigorosa della formazione dell'identità e, per estensione, dell'oppressione identitaria come radicata nelle dinamiche capitalistiche, ha lasciato un pericoloso vuoto esplicativo. Inoltre, ha creato una cultura organizzativa di politica posizionale e individualizzata che ha '''precluso la possibilità di una cooperazione''' ad ampio raggio - una necessità nella lotta contro il capitale nella sua forma contemporanea. Se solo il personale può essere politico, allora la solidarietà cessa di essere desiderabile, per non dire realizzabile. Affrontare questa mistificazione della politica di formazione dell'identità, della politica del capitale e della loro reciproca costituzione, è un luogo di intervento urgente per i marxisti di oggi. Come dimostrano molti dei contributi di questo numero speciale, c'è stata una fondamentale concessione ideologica nel discorso sul ruolo e la natura dell'identità: di cosa stiamo parlando quando parliamo di identità. I capitoli di Chi-Chi Shi e Annie Olaloku-Teriba, in particolare, dimostrano con eleganza come la sinistra abbia abrogato la nozione di identità come materialmente radicata e contingente al contesto storico e geografico. Al suo posto, vediamo l'accettazione egemonica di un'alternativa intrinsecamente reazionaria: quella che percepisce la razza, il genere e la sessualità come essenze care, che si autoformano e si autogiustificano. Questa concessione non solo ha rafforzato il binomio classe/identità, ma ha portato a un'immaginazione politica soffocata, in cui la politica basata sull'identità può essere concettualizzata solo all'interno di una logica liberal-capitalista. L'accettazione e la valorizzazione della propria identità come punto di partenza e di arrivo della politica ci lascia con la diversificazione all'interno delle strutture di potere contemporanee come unico obiettivo concepibile. Gli spazi di organizzazione basati sull'identità sono diventati fini a se stessi, invece di essere visti come parte del lavoro di costruzione di una solidarietà significativa e costruttiva tra gruppi oppressi. A sua volta, l'esplorazione della propria identità personale non è più l'inizio di un'esplorazione teorica più profonda dell'oppressione e delle strategie di resistenza, ma il progetto politico tout court. Una forma di politica dell'identità che ha sempre messo a dura prova i movimenti di resistenza - che nasconde le sue radici nelle dinamiche storiche del potere dietro una nebbia di contraddizione e omogeneizzazione - è quindi emersa come dominante. Questo numero speciale si propone di analizzare questo fenomeno e di iniziare a delineare una comprensione alternativa dell'identità e del suo rapporto con l'economia politica. In particolare, l'obiettivo è quello di farlo in un modo che possa essere efficacemente all'altezza delle sfide del mondo contemporaneo. Si chiede: come possiamo iniziare a comprendere identità come quella razziale non solo - per estendere la formulazione di Stuart Hall - come una "modalità" in cui la classe, e quindi il capitalismo, è "vissuta", ma anche come una modalità attraverso la quale il suo potere è continuamente fatto e rifatto? E soprattutto, come possiamo utilizzare queste formulazioni teoriche come principio guida delle nostre strategie organizzative?
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