Capro espiatorio, autonarrazioni senza contraddittorio e gogna pubblica: differenze tra le versioni

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==Origine del capro espiatorio==
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Nell’epoca antica, tra gli Ebrei, quando arrivava il giorno dell’espiazione, il sacerdote di una comunità prendeva un capro, lo caricava simbolicamente di tutti i peccati e le malefatte della stessa comunità e lo cacciava nel deserto: il capro espiatorio. Più tardi le città greche utilizzarono un metodo simile: quello del ''pharmakos'', “il maledetto”. Prendevano o compravano un uomo considerato particolarmente brutto o deforme e lo nutrivano a spese della città. Un giorno stabilito, lo scacciavano a pietrate e frustate. Come ha raccontato Isabel Wilkerson in ''Caste. The origins of our discontents'', era un modo per scaricare sull’“altro” tutti i peccati della città e per purificare tutti coloro che vi abitavano. Un emarginato, un deforme, un diverso era perfetta incarnazione del male, comoda rappresentazione di ogni sventura, visibile forma di ogni peccato e colpa. La sua espulsione, condotta nel più palese e rumoroso dei modi, era lo strumento che la comunità aveva per ritrovare la propria sicurezza, liberarsi dei propri peccati e tornare a immaginarsi libera da ogni imperfezione.
Nell’epoca antica, tra gli Ebrei, quando arrivava il giorno dell’espiazione, il sacerdote di una comunità prendeva un capro, lo caricava simbolicamente di tutti i peccati e le malefatte della stessa comunità e lo cacciava nel deserto: il capro espiatorio. Più tardi le città greche utilizzarono un metodo simile: quello del ''pharmakos'', “il maledetto”. Prendevano o compravano un uomo considerato particolarmente brutto o deforme e lo nutrivano a spese della città. Un giorno stabilito, lo scacciavano a pietrate e frustate. Come ha raccontato Isabel Wilkerson in ''Caste. The origins of our discontents'', era un modo per scaricare sull’“altro” tutti i peccati della città e per purificare tutti coloro che vi abitavano. Un emarginato, un deforme, un diverso era perfetta incarnazione del male, comoda rappresentazione di ogni sventura, visibile forma di ogni peccato e colpa. La sua espulsione, condotta nel più palese e rumoroso dei modi, era lo strumento che la comunità aveva per ritrovare la propria sicurezza, liberarsi dei propri peccati e tornare a immaginarsi libera da ogni imperfezione.


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Da qui, '''l’ultimo principio''', forse il prerequisito di tutti gli altri: la presunzione d’innocenza. Dice che insomma qualcuno è innocente fino a prova contraria. Concetto semplice eppure complicatissimo da fare proprio. So benissimo che la liceità o la moralità di un certo comportamento spesso non ha nulla a che vedere con la sua rilevanza penale. Ma il principio resta: è l’accusa (cioè i linciatori) che dovrà preoccuparsi di dimostrare la colpevolezza di un linciato, mica il contrario. Nelle gogne è come se il processo si invertisse, sempre per quel fatto di non avere alcun dubbio. Prima condanniamo il malcapitato. Poi, se quello dimostrerà che ci siamo sbagliati, magari equivocando le sue parole o i suoi comportamenti, tanto meglio. Noi ce ne saremo già dimenticati, presi da un’altra polemica.
Da qui, '''l’ultimo principio''', forse il prerequisito di tutti gli altri: la presunzione d’innocenza. Dice che insomma qualcuno è innocente fino a prova contraria. Concetto semplice eppure complicatissimo da fare proprio. So benissimo che la liceità o la moralità di un certo comportamento spesso non ha nulla a che vedere con la sua rilevanza penale. Ma il principio resta: è l’accusa (cioè i linciatori) che dovrà preoccuparsi di dimostrare la colpevolezza di un linciato, mica il contrario. Nelle gogne è come se il processo si invertisse, sempre per quel fatto di non avere alcun dubbio. Prima condanniamo il malcapitato. Poi, se quello dimostrerà che ci siamo sbagliati, magari equivocando le sue parole o i suoi comportamenti, tanto meglio. Noi ce ne saremo già dimenticati, presi da un’altra polemica.
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