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Capro espiatorio, autonarrazioni senza contraddittorio e gogna pubblica
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==Cosa ci insegna la legge== La responsabilità penale è ovviamente diversa da quella politica, civile, morale, ma credo che ogni giorno sui social, prima di partire col linciaggio, dovremmo ispirarci ai principi del diritto di procedura penale: regole uguali per tutti, diritto alla difesa e presunzione d’innocenza. Partiamo dal '''primo principio'''. Come cittadini, sappiamo (o possiamo sapere) esattamente quali siano le regole che dobbiamo rispettare all’interno dello stato in cui ci muoviamo. Sono regole scritte nel codice penale. Dicono cosa non dobbiamo fare e qual è la pena che potremmo pagare se trasgrediamo. «Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno.» Punto. Non una parola di più. Le regole sono chiare, e si applicano a tutti, senza differenza di censo, reddito, età, genere. Nelle gogne mediatiche, purtroppo, c’è questa cosa: le regole non sono né chiare né uguali per tutti. Ti puoi ritrovare linciato, licenziato o deriso e non sapere mai qual è l’esatta regola morale, sociale o civile che hai infranto. Provate a fare questo esercizio. Pensate a una delle tante polemiche da ventiquattro ore che avete visto sui social e provate a riassumere con una precisione degna del codice penale la regola che la persona al centro della polemica avrebbe infranto. Attenzione, non basta dire «Ha offeso Tizio» (sentirsi offesi non significa automaticamente avere ragione), «Non doveva dire quelle parole» (chi lo stabilisce cosa possiamo dire e cosa no?) oppure «Ha sbagliato tono» (non siete voi a stabilire qual è il tono giusto). Usate una formula impersonale, universale, e soprattutto il più possibile priva di interpretazioni: che sia cioè il meno equivocabile e soggettiva possibile, che valga in ogni luogo e momento. Se non la trovate, fermatevi un attimo prima di partecipare al linciaggio. '''Secondo principio''' che esiste in una democrazia ma non sempre nelle gogne social: il principio del diritto alla difesa, o al giusto processo. «Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale.» Fantastico, cristallino. Il processo deve essere un dibattito tra pari, in cui l’accusato può parlare ogni volta che vuole e dare la sua versione per sostenere la sua innocenza. Alla fine, ci sarà un giudice terzo che valuterà le fonti, la loro credibilità, ragionerà indipendentemente e deciderà in un senso o nell’altro. Il processo è pubblico proprio perché ogni persona deve poter entrare liberamente in aula e poter vigilare sulla sua correttezza. Sui social, la condizione di parità assoluta non esiste ormai da un pezzo: per un malinteso senso di giustizia o empatia, tendiamo a credere a prescindere alla presunta vittima o alla persona che si è sentita offesa, assumendo ogni sua parola come certa e sufficiente alla condanna dell’altro. La cui versione dei fatti troppo spesso è l’ultima cosa che vogliamo ascoltare. Perché forse, intimamente, sappiamo che quella sua versione andrà a complicare la vicenda, e la vita è già abbastanza complicata, per questa polemica ci bastano le nostre battute. Comprensibile. Ma vi posso assicurare che il lavoro di raccolta delle voci e fonti diverse (da utente può bastare una ricerca su Google, o il clic di un link, non ci vuole molto) è un esercizio che – se coltivato – vi renderà la vita ancora più divertente, e vi farà scoprire mondi finora inesplorati. Oltreché rendervi anche più positivi nei confronti della vita: gli stronzi messi alla gogna, una volta approfonditi i casi, non sono quasi mai così stronzi. Da qui, '''l’ultimo principio''', forse il prerequisito di tutti gli altri: la presunzione d’innocenza. Dice che insomma qualcuno è innocente fino a prova contraria. Concetto semplice eppure complicatissimo da fare proprio. So benissimo che la liceità o la moralità di un certo comportamento spesso non ha nulla a che vedere con la sua rilevanza penale. Ma il principio resta: è l’accusa (cioè i linciatori) che dovrà preoccuparsi di dimostrare la colpevolezza di un linciato, mica il contrario. Nelle gogne è come se il processo si invertisse, sempre per quel fatto di non avere alcun dubbio. Prima condanniamo il malcapitato. Poi, se quello dimostrerà che ci siamo sbagliati, magari equivocando le sue parole o i suoi comportamenti, tanto meglio. Noi ce ne saremo già dimenticati, presi da un’altra polemica. __NOINDICE__ [[Categoria:Cancel Culture]] [[Categoria:Polarizzazione]]
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