Riassunto studio sulla rappresentazione dei femminicidi

Da Tematiche di genere.
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L’alfabeto della violenza. Lo spettacolo Doppio Taglio e le rappresentazioni del femminicidio nei media italiani.

La ricerca integrale è scaricabile a questo link

http://www.gendersexualityitaly.com/lalfabeto-della-violenza-doppio-taglio/

DOI: https://doi.org/10.15781/73es-jd69



Una ricerca nata nel 2007 a cura di Cristina Gamberi che poi è approdata in teatro nel 2014 con lo spettacolo Doppio Taglio[1] mostra come l’immagine del femminicidio resti, ad oggi, convenzionale e indifferenziata: copioni cristallizzati rimandano irrimediabilmente alla gerarchizzazione e alla standardizzazione del ruolo tra uomo e donna. L’autrice afferma infatti che:

“Sebbene negli ultimi anni il lavoro di giornaliste, attiviste, donne del mondo politico e della cultura e dei centri antiviolenza abbia contribuito a far entrare la violenza maschile contro le donne all’interno del dibattito pubblico, tuttavia continua a emergere una desolante quanto uniforme rappresentazione del femminicidio. […] Articoli, servizi televisivi, ma anche campagne di sensibilizzazione e discorsi pubblici, pur con le migliori intenzioni, attingono spesso a un repertorio comune”

Lo spettacolo affronta la tematica della violenza di genere disvelando alcuni meccanismi tossici attraverso i quali il racconto dei media può plasmare la nostra percezione del fatto, trasformando anche la più sincera condanna in un'arma, appunto, a “doppio taglio”.

Il paradosso mediatico è questo: i corpi giovani e martoriati delle vittime contribuiscono a oggettificare la figura femminile, erotizzandola e sottomettendola alla figura dell’aggressore che, invece, rimane nell’ombra dando valore all’irrapresentabilità maschile, fatta eccezione per gli aggressori stranieri, con chiare implicazioni xenofobe[2].

Altrettanto distorte sono le modalità comunicative con cui viene trasmesso il messaggio offrendo l’idea di un evento in ogni caso casuale, irrazionale e folle. Tutto questo, però, non combacia con quello che, invece, ci mostrano i dati statistici raccolti dai centri antiviolenza.

Più che di “cronaca nera”, quando si parla di violenza di genere, bisognerebbe mettere in luce tutta la situazione socioculturale in cui l’evento in sé si colloca: sistemi sociali fortemente segnati dalla percezione del femminile come subalterno e la legittimità dell’uso della violenza da parte degli uomini come risoluzione dei conflitti. Ciò che fino a un paio di decenni fa era considerata una forma di controllo dell’uomo sulla propria compagna, oggi, che la donna ha conquistato un’identità sociale ed economica più forte, viene etichettata come “violenza”.

L’egemonia maschile, insomma, inizia a vacillare, e questo viene avvertito come una minaccia.

L’autrice sottolinea l’importanza del ruolo che la scuola ha in tutto questo: trasmettere un messaggio di rispetto reciproco e della parità dei sessi in una relazione è fondamentale così come rivalutare in chiave critica gli eventi di cronaca nera.

Il suo attivismo in questo senso ha come obiettivo quello di trasformare rabbia, frustrazione e senso di impotenza in agire politico in senso trasformativo.

Gli estratti che seguiranno, tratti dalla rappresentazione teatrale, mostrano eventi che hanno portato l’autrice ad una riflessione critica sulla grammatica dell’immagine della violenza.  

Primo atto[modifica | modifica sorgente]

Si parte, nel primo atto, con l’analisi della storia di Marie Trintignant, anno 2003.

Marie Trintignant, attivista in cause pacifiste e femministe, muore dopo pochi giorni di coma dopo quello che la stampa italiana ha definito come “incidente”.

In realtà la donna è stata uccisa da Bertrand Cantant, suo compagno e cantante di un gruppo rock francese.

Entrambi molto lontani dall’immaginario collettivo di vittima e carnefice, la loro storia d’amore è stata raccontata come fosse il copione di Tristano e Isotta: amore impossibile ma indissolubile.

Il messaggio trasmesso dai media fu che la violenza non era stato un atto voluto, piuttosto un momento di irrazionalità estraneo all’uomo, discolpandolo.

Al contrario, Marie, fu descritta come l’eroina di una tragedia ottocentesca, con accenti posti sui suoi precedenti matrimoni e sui suoi quattro figli.

Cosa trapelava da tutto ciò? Una donna che se l’era andata a cercare con il suo ruolo di compagna “non canonica”?

Secondo atto[modifica | modifica sorgente]

Nel secondo atto l’autrice parla dell’omicidio di Barbara Cicioni, anno 2007. I media parlarono di: rapina in villa finita male, banda di criminali stranieri, donna in stato di gravidanza con altri figli, paesino umbro “tranquillo”. La verità, invece, si dimostrò essere ben altra. A ucciderla, infatti, fu proprio il marito, Roberto Spaccino.

Dalle prime immagini pubblicate lui appariva un uomo normalissimo, lei una donna dolce e quasi eterea.

Quello che poi emerse fu un quadro di violenze fisiche e psicologiche quotidiane, di cui, peraltro, il paese era a conoscenza: d’altronde alla donna è richiesta serietà e devozione, mentre l’uomo è libero di fare ciò che vuole.

“Come andrà a finire questa storia non interessa più i giornali e l'evoluzione della vicenda continuerà a essere pubblicata solo sulla quindicesima pagina della cronaca locale” scrive la Gamberi.

Movente dell’omicidio pare sia stato il sospetto del marito che il bambino nel grembo di Barbara non fosse il suo. E infatti, notizia del 4 giugno fu proprio l’esame del DNA del feto di Barbara, notizia che gelò il sangue. Fu pubblicata forse per avvalorare la tesi del delitto di gelosia? Come se in questo modo potesse essere giustificato?

11 gennaio 2012 la sentenza della Cassazione condanna all’ergastolo Spaccino, ma il quotidiano umbro pone l’accento su di lui, sui figli che hanno “perso” la madre, ma non su Barbara, uccisa brutalmente sotto lo stesso tetto dei figli.

Terzo atto[modifica | modifica sorgente]

Nel terzo atto l’autrice pone l’accento sulle “vittime per bene e per male”.

Anche l’iconografia che rappresenta le vittime di violenza le rende figure stereotipate: donne giovani che si coprono il volto con le mani, nascoste in un angolo tra le mura domestiche.

“Sbagliato” asserisce l’autrice “perché purtroppo le statistiche ci dicono che la violenza sulle donne è trasversale per età e ceto”.

Questo ritratto della paura avrebbe mai il coraggio di denunciare?

Nelle immagini compare una parte del corpo scoperta, sinonimo di violabilità del corpo femminile, ma soprattutto i capelli arruffati e scompigliati, segno di sessualità e trasgressione. Altro elemento inquietante è caratterizzato dalla prospettiva con cui l’osservatore guarda la donna, che è la stessa del carnefice. Come si fa, chiede l’autrice, a far uscire le donne dal ruolo di vittime se si continuano a rappresentare in questo modo? E ancora, chiede Cristina, : “perché si sceglie di denunciare la violenza con immagini che la esprimono?”.

Immagine presa dallo studio

Per non parlare della “glamourizzazione e estetizzazione”: una patina da copertina associata a donne martoriate ha un gusto macabro.

Immagine presa dallo studio


Irrapresentabilità del maschile

Ancora, altro dato iconografico da rilevare è l’assenza dell’aggressore, come se fosse un affare solo femminile che quindi deresponsabilizza l’uomo, tranne nei casi in cui si tratti di uno straniero, rinsaldando il legame tra criminalità e immigrazione. Emblematico è il caso di Hiina Saalem, uccisa dal padre: si condanna la religione oscurantista e misogina, idealizzando quindi la superiorità e la libertà occidentale in cui ci sono gli “uomini buoni”.

Quarto atto[modifica | modifica sorgente]

Nel quarto atto l’autrice analizza la campagna di sensibilizzazione realizzata da una studentessa di Bologna, Sharie Lein Sangue, in cui, forse per la prima volta, viene rappresentato un uomo, con un volto, che sferra un pugno verso chi lo sta guardando mettendo finalmente l’osservatore nei panni della vittima. Sull’immagine compare, una domanda: “è lui il tuo principe azzurro?” proprio con i toni del blu. Questa domanda invita a riflettere, e non solo su relazioni passeggere, ma anche e soprattutto sui rapporti tra marito e moglie e tra colleghi di lavoro, con un velo di sarcasmo.


Note                                                                                                       [modifica | modifica sorgente]

  1. Lo spettacolo su RayPlay
  2. La xenofobia ("paura dello straniero"; composto da ξένος, xenos, "straniero" e φόβος, phobos, "paura")