La Costruzione Mediatica del 'No-Vax': Un'Analisi della Stigmatizzazione e della Diffamazione Collettiva

Da Tematiche di genere.
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Questo saggio affronta vari argomenti, tra cui:

  1. La costruzione mediatica del termine "No Vax": L'autore discute come il termine "No Vax", originariamente usato per descrivere le persone che si opponevano ai vaccini in generale, sia stato esteso per includere coloro che esitano a vaccinarsi contro il COVID-19.
  2. La stigmatizzazione dei "No Vax": L'autore esplora come i media e le istituzioni abbiano contribuito a creare un'immagine negativa dei "No Vax", dipingendoli come irrazionali, egoisti e una minaccia per la salute pubblica.
  3. Il ruolo dei "No Vax" come capro espiatorio: L'autore sostiene che i "No Vax" sono stati resi responsabili dei problemi del sistema sanitario e delle restrizioni governative, nonostante le prove contrarie.
  4. La disumanizzazione dei "No Vax": L'autore discute come i "No Vax" siano stati deprivati dei loro diritti e trattati come inferiori, sia moralmente che mentalmente.
  5. La resistenza al vaccinarsi: L'autore esplora le diverse motivazioni che portano le persone a resistere ai vaccini COVID-19, sottolineando che queste decisioni sono spesso basate su condizioni personali e preoccupazioni legittime.
  6. La critica alla risposta della classe medica: L'autore critica l'atteggiamento del ceto medico nei confronti dei "No Vax", sostenendo che le loro preoccupazioni sono state spesso sottovalutate o ignorate.
  7. Il confronto con eventi storici: L'autore traccia paralleli tra la situazione attuale e eventi storici in cui gruppi di persone sono stati stigmatizzati e usati come capri espiatori.
  8. Testimonianze personali: L'autore presenta una serie di testimonianze personali di persone etichettate come "No Vax", evidenziando le loro esperienze e le loro motivazioni.

Identikit del No-Vax o del come costruire un capro espiatorio[modifica | modifica sorgente]

Di Andrea Zhok.

Tra le operazioni più sconcertanti avvenute in questi ultimi mesi si distingue per infamia la costruzione mediatica della categoria “No Vax”, che è stata estesa fino ad abbracciare tutti coloro i quali sono restii a sottoporre sé o i propri figli alle attuali inoculazioni anti-Covid.

Ora, la categoria “No Vax” era emersa in passato con riferimento a vaccini tradizionali, e, a torto o a ragione, era stata utilizzata dai media per identificare individui genericamente avversi alla pratica della vaccinazione in quanto tale. Essendo difficilmente dubitabile che varie vaccinazioni in passato, a partire dall’antivaiolosa, abbiano dato un importante contributo alla salute pubblica, si è costruita così un’idea del “No Vax” come un soggetto irrazionale, che si muove secondo un’agenda antiscientifica.

Nella fase più recente è avvenuto un salto di qualità nell’utilizzo della categoria, che si è trasformata in un termine pesantemente denigratorio e sprezzante, rivolto a persone che a questo punto non erano semplicemente definite dalla loro “ignoranza” ed “antiscientificità”, ma anche dal loro “egoismo”, perché, si diceva: non vaccinandosi mettevano a repentaglio l’immunità di gregge; o non vaccinandosi avrebbero diffuso il virus; o non vaccinandosi avrebbero occupato le terapie intensive. Che la prospettiva dell’immunità di gregge sia svanita da tempo, che anche i vaccinati diffondano il virus, e che anche i vaccinati occupino letti di terapia intensiva sono fatti che non sembrano aver sortito alcun effetto sull’opinione pubblica, la quale, aizzata quotidianamente, ha creato uno stigma feroce nei confronti dei non vaccinati, secondo il classico canone dell’“untore”.

La dinamica che si è avviata, e che è sostenuta costantemente in maniera incredibilmente irresponsabile da istituzioni e media, è quella della costruzione di un “nemico interno”, ritenuto moralmente inferiore, e dunque atto a fare da capro espiatorio dei mali del paese.

Il sistema sanitario collassava prima del Covid (ci sono i titoli dei giornali a ricordacelo, dove si lamentava il rinvio di operazioni programmate durante i picchi dell’influenza stagionale), tuttavia se oggi a due anni da inizio pandemia, il sistema sanitario fa acqua da tutte la parti, questo non è colpa di mancati investimenti, ma dei No Vax.

Lo stato ha deciso restrizioni che si sono spesso dimostrate inutili, danneggiando così l’economia e limitando la libertà delle persone; dopo due anni, con il 77% della popolazione vaccinata (87% dei vaccinabili) decisioni statali sempre identiche a sé stesse, dalle mascherine all’aperto alle classi in quarantena, alla minaccia dell’ennesimo lockdown a capocchia, sono ora, grazie al cielo, colpa dei No Vax.

Possiamo essere fiduciosi che quando i consumi riprenderanno a stagnare in presenza di un’inflazione esogena (dovuta all’aumento dei costi dell’energia), anche questo riuscirà ad essere imputato e scaricato sui renitenti al vaccino, sui dissenzienti, senza i quali saremmo ritornati ad una dorata normalità, che assume sempre di più i tratti di una mitica età dell’oro.

Di fronte a una refrattarietà al vaccino che viene presentata come una sorta di follia, una pazza e irrazionale sfiducia nella Scienza, si moltiplicano le descrizioni dei No Vax come un gruppo a parte. Come si sente risuonare in molte parole anche ai massimi livelli, essi non sono più cittadini come gli altri. Troviamo sui giornali “identikit dei No Vax” dove si va da condanne morali (egoisti) e peana sulla loro ignoranza, ad esplicite istanze di psichiatrizzazione.

Quest’ultimo passo è particolarmente significativo: trattando il soggetto dissenziente come un soggetto da indagare sotto il profilo della terapia psicologica o della psichiatria, ora esso non è più considerato una persona autonoma, ma diventa un oggetto di studio, non è più un soggetto mosso dalle proprie ragioni, ma un oggetto che reagisce a cause interne, da disinnescare. Nella concettualità moderna, questa è la mossa finale nella costruzione di un gruppo destinato a divenire un capro espiatorio: i suoi partecipanti vengono separati dall’umanità ordinaria, vengono disumanizzati. O vengono disumanizzati in termini morali (si sprecano le invettive, le espressioni di disgusto, le minacce anche da parte di personaggi prominenti), o vengono disumanizzati in termini mentali (non sono davvero padroni delle proprie azioni, ma vittime di pulsioni oscure, pregiudizi o distorsioni cognitive; sono malati che non sanno di saperlo e che, a maggior ragione, meritano un trattamento sanitario obbligatorio.)

Le analogie di questa dinamica psicologica con eventi drammatici del ventesimo secolo, eventi che ritenevamo superati per sempre, è sorprendente, come è sorprendente che gente che fa a gara a darsi reciprocamente medaglie di antifascismo non lo veda minimamente. È ovvio che contesti e premesse sono diverse, lo sono sempre, visto che la storia non si ripete mai identica. Però questo non deve distogliere lo sguardo dalle analogie. Quando in questi casi sento brandeggiare l’argomento che in quei tempi bui si parlava di pregiudizi irrazionali, come il “razzismo”, mentre oggi è la Scienza a parlare contro l’Irrazionalità, non posso che ricordare sommessamente che il “Manifesto della Razza” del 1938 venne firmato da alcuni tra i più eminenti scienziati dell’epoca, che nelle università c’erano cattedre di “scienze della razza”, e che il “razzismo scientifico” è scomparso solo con gli esiti della seconda guerra mondiale.

Tutti sono dei fuoriclasse quando si tratta di formulare giudizi a babbo morto, e a ballare sulla tomba del nemico sconfitto. Il problema è capire le cose quando ti stanno davanti agli occhi, non quando ti vengono date premasticate in un libro di storia. È del tutto ovvio, e del tutto sterile, rimarcare che le cose ad un secolo di distanza sono diverse. Il punto è vedere la pericolosità di ciò che è simile, soprattutto quando la similitudine tocca punti cruciali nella costruzione del giudizio pubblico.

La dinamica in cui una parte della popolazione:

  1. viene deprivata selettivamente di diritti primari,
  2. viene descritta come moralmente o mentalmente inferiore, e
  3. viene utilizzata come capro espiatorio dei problemi di una società, questa dinamica è inconfondibile e pericolosissima.

Ecco, fatte queste premesse, ciò che credo sia necessario ora fare, prima che sia troppo tardi, se non lo è già, è capire che la costruzione dell’immagine del No Vax nel contesto attuale è un gravissimo falso, è letteralmente una forma di diffamazione collettiva ai danni di una minoranza, che in seguito a questa diffamazione viene offesa, discriminata, e sottoposta ad una pressione psicologica ai limiti della tollerabilità.

Le motivazioni che portano e che hanno portato molti milioni di persone a resistere alle attuali inoculazioni sono motivazioni molteplici, incardinate in una miriade di condizioni personali, motivazioni che avremmo dovuto avere la capacità di rispettare, non essendo direttamente accessibili agli altri. Il fatto che invece di fare lo sforzo di ascoltare le ragioni, i timori, i dubbi motivati degli altri, invece che prendersene cura, sia stata adottata “nel nome dell’emergenza” una risoluzione bellica del tipo amico-nemico, dove chi non si trova dalla parte degli ossequianti e degli ottemperanti va stigmatizzato, disprezzato e punito, questo è un fatto di gravità inaudita.

Per rendere in qualche modo visibile a tutti quelli che si sono esibiti in questi mesi in giudizi sprezzanti e aggressivi verso una minoranza, e per sperare che abbiano modo di ravvedersi (e anche, diciamolo, di vergognarsi), ho raccolto un po’ di testimonianze di persone che vengono etichettate come No Vax in quanto sono restie ad accogliere le attuali inoculazioni. Mi sono arrivate in poche ore una quantità ingestibile di storie personali. Ne ho escluso quelle ovvie (per dire, che donne in gravidanza siano restie a vaccinarsi con un prodotto poco testato e senza casistica specifica è ovvio per chiunque abbia una coscienza, e ad altri non sono interessato a rivolgermi). Ne presento qui di seguito solo una ventina, perché alla fin fine cambia la forma del dubbio, cambia il problema personale, cambia la motivazione scientifica, ma resta una struttura di fondo. C’è una ricorsività legata a condizioni di salute che presentano incognite, e rispetto a cui non esistono studi disponibili. Dai casi che ho avuto modo di leggere l’atteggiamento ricorrente del ceto medico è stato quello di una sottovalutazione forfettaria: grandi pacche sulle spalle basate sul nulla, e spesso motivate in termini burocratici.

Quello che resta come retrogusto è un kafkiano senso di impotenza di fronte ad una forma di bullismo di stato che nessuno credeva possibile.