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Episodio agenzia delle entrate e tribunali[modifica | modifica sorgente]

Titolo: Un'odissea con l'Agenzia delle Entrate: dal rimborso negato all'assoluzione finale

L'ingiunzione fiscale inaspettata

Durante il mio incontro con un amico, ex presidente della società X, mi ha raccontato un'esperienza sorprendente che ha vissuto durante il suo mandato. L'Agenzia delle Entrate gli ha notificato un'ingiunzione di pagamento di circa 20.000 euro per contributi arretrati risalenti a 4-5 anni prima, quando era ancora in carica l'amministrazione precedente. Questa situazione gli sembrava alquanto strana, considerando che la società X era una realtà consolidata, quindi ha deciso di affidarsi a un commercialista per condurre un'indagine accurata.

La ricerca dei documenti smarriti

Prima di iniziare il controllo, è stato necessario affrontare un ostacolo: i documenti dell'amministrazione precedente erano conservati in formato cartaceo e, a causa di un trasloco aziendale, erano finiti in un vasto archivio. Trovare i documenti richiesti ha richiesto un notevole sforzo e tempo.

La risposta dell'Agenzia delle Entrate

Dopo aver presentato le ricevute dei pagamenti effettuati, l'Agenzia delle Entrate ha revocato l'ingiunzione di pagamento, dimostrando che i contributi erano stati correttamente saldati. Tuttavia, a distanza di pochi mesi, è accaduto nuovamente: un'altra richiesta di pagamento di circa 6.000 euro è stata notificata. Questa situazione si è ripetuta per una terza volta, generando un'ulteriore somma di denaro da versare. Nonostante le sollecitazioni, l'Agenzia delle Entrate non ha fornito alcuna risposta.

Una protesta contro l'Agenzia delle Entrate

Stanco di questa situazione, il mio amico ha deciso di scrivere una PEC di protesta alla sede centrale dell'Agenzia delle Entrate, esprimendo la sua frustrazione nei confronti della gestione inefficiente dell'agenzia.

L'ingiunzione fiscale milionaria e le accuse di evasione

Dopo alcuni anni, l'Agenzia delle Entrate ha notificato una nuova ingiunzione di pagamento, questa volta per un importo di 1,9 milioni di euro. L'accusa rivolta era l'evasione di 600.000 euro di IVA durante l'amministrazione precedente. Ciò ha lasciato perplesso il mio amico, poiché non era chiaro come si fosse passati da una cifra relativamente piccola a una così ingente.

L'incertezza e il consiglio ambiguo

Le persone attorno a lui hanno suggerito di richiedere un piano di rateizzazione in cinque anni, iniziando a pagare le prime rate e cercando nel frattempo di dimostrare la sua innocenza. Tuttavia, lui si è rifiutato di pagare qualcosa che non riteneva dovuto.

La causa penale e la confisca dei beni

Nonostante la sua decisione di non pagare, l'Agenzia delle Entrate ha intrapreso un'azione legale nei suoi confronti, aumentando l'importo richiesto a 3 milioni di euro. Questo ha trasformato il processo in un procedimento penale, con il rischio di gravi conseguenze personali. La situazione si è ulteriormente complicata quando è stata compilata un'inventario dei suoi beni, incluso immobili e veicoli, in vista di un'eventuale confisca.

L'interrogatorio in tribunale

Durante l'interrogatorio in tribunale, sia lui che i dipendenti dell'Agenzia delle Entrate sono stati sottoposti a un intenso interrogatorio. L'interrogatorio è stato particolarmente pesante per entrambe le parti, ma l'Agenzia delle Entrate è apparsa in cattiva luce, avendo ammesso di non essere a conoscenza di una specifica esenzione che avrebbe eliminato l'obbligo di pagare l'IVA.

L'assoluzione e i costi legali

Infine, dopo un lungo processo legale, il mio amico ha ottenuto un'assoluzione con formula piena in quanto il fatto contestato era infondato. Nonostante questa vittoria, è stato richiesto un onorario legale di 13.000 euro. Inoltre, non è riuscito a ottenere il rimborso previsto per le spese legali, poiché la legge che prevedeva tale risarcimento non era ancora stata attuata entro i tempi previsti.

La mancata attuazione della legge sul rimborso

Nonostante l'esito favorevole del processo, la mancata attuazione della legge sul rimborso delle spese legali ha impedito al mio amico di ottenere il dovuto risarcimento. Questa mancanza di provvedimenti ha sollevato interrogativi sul sistema e sulle tutele delle persone ingiustamente accusate.


Episodio giornalista denunciata per diffamazione[modifica | modifica sorgente]

Riportiamo un pezzo tratto dall'articolo La Casellati perse la causa: ma spinse la giornalista disoccupata a pagare le spese legali

La storia l’ha raccontata nel 2016 il Mattino di Padova con l’articolo che riportiamo e prima, nel gennaio 2014, l’aveva denunciata anche Ossigeno, ossia l’associazione che da anni denuncia le minacce e le pressioni cui giornalisti che minacciano la libertà di stampa.

La copertina del libro non ha un grande appeal, ma l’interno è polvere da sparo. Si intitola «Io non taccio» e racconta otto storie di ordinaria fatica giornalistica. Di quel giornalismo cosiddetto d’inchiesta, che spesso è solo il tentativo onesto di descrivere la realtà quando ci si imbatte in potentati costruiti utilizzando le istituzioni.

Incarichi pubblici sfruttati come proprietà privata, posizioni di rilievo sociale ottenute con il voto ma usate a beneficio di chi le occupa e di pochi ammanicati, a spese degli ignari elettori. I potenti non gradiscono mai che se ne parli. Di qualunque partito siano, qualunque formazione culturale abbiano, è l’unica pubblicità che odiano.

Per stroncarla non esitano a intimidire, minacciare. Non querelano neanche più davanti al giudice penale. Pretendono direttamente i danni in sede civile, secondo l’impostazione teorizzata negli anni Novanta da Massimo D’Alema. Non certo l’unico.


Nel Veneto Lia Sartori amava ripetere: «I giornalisti bisogna denunciarli, anche perché non hanno i soldi per pagarsi l’avvocato». È vero. Per il giornalista paga l’azienda, sempre se non scompare prima del processo, come è accaduto a Padova in uno degli otto casi narrati nel libro, intitolato «Gli intoccabili della città del Santo».


Tutti conoscono la senatrice M. E. Casellati, ma pochi conoscono Roberta Polese, una giornalista padovana che ha passato l'inferno per aver fatto il suo lavoro.

La giornalista si chiama Roberta Polese, lavorava come cronista di giudiziaria per «Il Padova», quotidiano gratuito del gruppo Epolis che ha chiuso nel settembre 2010.

Riportiamo parte dell'articolo “Il diritto di cronaca e le spese legali” pubblicato su Il mattino di Padova

“Poche settimane prima, il 19 luglio 2010, Roberta scrive un articolo intitolato «Arpav, scoperto l'uomo ombra, boss dei computer con parenti vip». Questo signore è Marco Serpilli, lavora a San Servolo, alla Venice International University che ha ottenuto dall'Arpav, agenzia della Regione Veneto, una consulenza di 250.000 euro per cambiare il sistema informatico.

Costo 715.000 euro.

Più la consulenza fanno 965.000 euro, tutti a carico delle casse pubbliche.

Il sospetto dei pm padovani Federica Baccaglini e Paolo Luca, che indagano sulla vicenda, è che il cambio del sistema informatico non fosse necessario all'Arpav, ma sia servito solo per affidare la consulenza.[...]

Si dà il caso che Serpilli sia il marito di Ludovica Casellati, figlia della senatrice di Forza Italia Elisabetta Casellati”.

Già famosa [si riferisce alla senatrice] perché da sottosegretario alla sanità nel 2005 aveva assunto la stessa Ludovica [ndr la figlia] nella segreteria del ministero, con uno stipendio di 60.000 euro l'anno. «Quasi il doppio di quanto guadagna un funzionario ministeriale del 9° livello con 15 anni di anzianità», scrisse Gian Antonio Stella.

Questi retroscena sono gossip o fanno parte della notizia?

Roberta Polese [ndr la giornalista] decide che trattandosi di soldi pubblici il collegamento Serpilli-Casellati non è faccenda privata e lo scrive.

Le casca il mondo addosso. Elisabetta Casellati la cita per danni, pretende 250.000 euro per l'onore infangato. Serpilli sostiene di c'entrare meno ancora, in quanto non direttamente indagato e querela per diffamazione.

Il gruppo Epolis ha chiuso. La Polese è aggredita in civile e in penale e deve reggere da sola, pagandosi gli avvocati. È disoccupata, ha un bambino piccolo, si gioca la casa dei genitori. E' disperata.

L'aiuto le arriva da una categoria che non fa spesso regali ed è bello scriverlo: due penalisti padovani, Giovanni Lamonica e Giuseppe Pavan, si offrono di difenderla gratis. Davanti al giudice civile l'assiste Luisa Miazzi, l'avvocato del sindacato giornalisti. Il 29 maggio 2013 la prima vittoria in sede penale (gup Domenica Gambardella), il 3 ottobre 2013 la seconda in civile (giudice Gianluca Bordon). Citare Serpilli e il rapporto di affinità con la senatrice Casellati faceva parte del diritto di cronaca, nessun illecito.

Elisabetta Casellati [ndr la senatrice] è condannata a pagare 8.250 euro di spese legali. Ma può fare ricorso e usa la minaccia per costringere la Polese a sobbarcarsi metà delle spese. Roberta, che ha vinto e ha solo un lavoro precario, per evitare l'appello che è un rischio si trova a dover pagare 4.125 euro all'illustre senatrice che ha perso. Può rifiutare e affrontare il secondo giudizio, ma due anni di angoscia l'hanno provata, non se la sente.

Risolve la situazione il sindacato giornalisti che nella gestione di Daniele Carlon e Massimo Zennaro si accolla i quattromila e rotti euro della Casellati.