Giornalismo d'inchiesta, libro

Da Tematiche di genere.
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La copertina del libro non ha un grande appeal, ma l’interno è polvere da sparo. Si intitola «Io non taccio» e racconta otto storie di ordinaria fatica giornalistica. Di quel giornalismo cosiddetto d’inchiesta, che spesso è solo il tentativo onesto di descrivere la realtà quando ci si imbatte in potentati costruiti utilizzando le istituzioni.

Incarichi pubblici sfruttati come proprietà privata, posizioni di rilievo sociale ottenute con il voto ma usate a beneficio di chi le occupa e di pochi ammanicati, a spese degli ignari elettori. I potenti non gradiscono mai che se ne parli. Di qualunque partito siano, qualunque formazione culturale abbiano, è l’unica pubblicità che odiano.

Per stroncarla non esitano a intimidire, minacciare. Non querelano neanche più davanti al giudice penale. Pretendono direttamente i danni in sede civile, secondo l’impostazione teorizzata negli anni Novanta da Massimo D’Alema. Non certo l’unico.


Nel Veneto Lia Sartori amava ripetere: «I giornalisti bisogna denunciarli, anche perché non hanno i soldi per pagarsi l’avvocato». È vero. Per il giornalista paga l’azienda, sempre se non scompare prima del processo, come è accaduto a Padova in uno degli otto casi narrati nel libro, intitolato «Gli intoccabili della città del Santo».

La presentazione del libro è ripresa dall'articolo: qui lincato

Libertà di stampa[modifica | modifica sorgente]

Ossigeno, ossia l’associazione che da anni denuncia le minacce e le pressioni cui giornalisti che minacciano la libertà di stampa.