Gender Wage Gap

Da Tematiche di genere.
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Il "gender wage gap" o gender pay gap, ovvero il divario salariale di genere, rappresenta una delle questioni più dibattute e complesse nel contesto del mercato del lavoro contemporaneo. Questo fenomeno si riferisce alla differenza di retribuzione che esiste tra uomini e donne, una realtà che evidenzia come, in media, le donne guadagnerebbero meno rispetto ai loro colleghi maschi. Tuttavia, è fondamentale riconoscere che il gender wage gap non è un concetto monolitico e si manifesta in varie forme e solo alcune di queste sono legate a discriminazione.

Al cuore di questa questione ci sono molteplici fattori che vanno oltre la semplice discriminazione diretta. Aspetti come le scelte formative, le responsabilità familiari, le aspirazioni professionali, la scelta di settori lavorativi e il tempo dedicato al lavoro contribuiscono a delineare questo divario. Ad esempio, le donne possono orientarsi verso settori meno remunerativi o ridurre l'orario di lavoro per motivi familiari, elementi che influiscono sulle statistiche salariali complessive.

Tipi di Gender Wage Gap[modifica | modifica sorgente]

Per analizzare in modo accurato il gender wage gap, è utile distinguere tra due tipologie principali:

  1. Il gender wage gap complessivo: questa forma globale del divario include una vasta gamma di fattori, da quelli individuali come scelte di carriera e responsabilità familiari. Pur essendo un indicatore utile delle disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro, non riflette necessariamente discriminazioni dirette sul posto di lavoro.
  2. Il gender wage gap a parità di condizioni: questa forma più specifica del divario considera le differenze di retribuzione tra uomini e donne nello stesso ruolo, con esperienza e orario di lavoro equivalenti. È questo confronto mirato che può rivelare discriminazioni dirette in termini di retribuzione.

In questo articolo, esploriamo le sfaccettature di entrambe le tipologie, cercando di comprendere meglio la natura e le cause di questo fenomeno. Attraverso un'analisi dettagliata, vogliamo contribuire alla discussione su come promuovere l'uguaglianza di genere e ridurre le disparità salariali nel mondo del lavoro.

Il divario salariale di genere complessivo[modifica | modifica sorgente]

Gender Wage Gap COMPLESSIVO - Women's Median Annual Earnings as a Percentage of Men's Median Annual Earnings for Full-Time, Year-Round Workers, 1960-2015Il divario salariale di genere complessivo, che incorpora una vasta gamma di fattori come le preferenze individuali, gli stereotipi di genere, e il numero di donne che scelgono di non partecipare alla forza lavoro, non è un indicatore delle discriminazioni di genere sul posto di lavoro. Infatti, questo tipo di divario aggrega vari elementi che influenzano le retribuzioni, rendendo difficile isolare effetti specifici. Nonostante ciò, è importante sottolineare che il divario salariale complessivo ha mostrato una tendenza al calo nel corso degli anni, indicando dei progressi verso una maggiore parità di genere nel mercato del lavoro.

Il gender wage gap di cui si parla di solito è quello complessivo, esso confronta la retribuzione di tutte le donne con quella di tutti gli uomini.

Non è quindi indicativo di una discriminazione diretta, ma piuttosto di dinamiche sociali più ampie. Ad esempio, le donne potrebbero orientarsi verso carriere meno pagate per conciliare lavoro e famiglia, o subire gli effetti di stereotipi di genere che ne influenzano le opportunità.

Inoltre questa misura aggregata non considera le differenze interne ai gruppi, ad esempio tra donne con o senza figli. Per valutare la parità di trattamento a parità di condizioni, è più accurato analizzare il divario a parità di ruolo, mansioni, esperienza.

Pertanto, sebbene il gender wage gap complessivo possa servire come indicatore macroeconomico del mercato del lavoro, non è sufficiente per identificare e comprendere le cause specifiche del divario salariale, o per evidenziare discriminazioni. Per capire se vi siano disparità a parità di condizioni, è essenziale analizzare il divario salariale "normalizzato".

Il divario salariale di genere a parità di condizioni[modifica | modifica sorgente]

Il "gender wage gap normalizzato" isola la differenza retributiva tra donne e uomini a parità di ruolo, competenze, esperienza e orario.

Neutralizzando variabili quali professione, istruzione e ore lavorate, questa analisi precisa quantifica il divario non spiegato da ragioni oggettive, rivelando potenziali discriminazioni.

Secondo diversi studi, a parità di condizioni esiste un residual wage gap del 5-8% tra generi, attribuibile a bias culturali, differenze legate alla personalità e differenze di genere difficili da misurare (in seguito lo spieghiamo meglio).

Ricerche evidenziano che, nonostante questi fattori, persiste un divario salariale "in spiegato" di circa il 6-8%, cioè una differenza di retribuzione tra uomini e donne a parità di lavoro, responsabilità e ore lavorate.

Strumentalizzazioni mediatiche[modifica | modifica sorgente]

I media tendono a mistificare il "gender wage gap" complessivo, presentandolo come prova diretta di discriminazione sul lavoro senza spiegarlo né contestualizzarlo.

Ma, come già detto, questo valore include: scelte formative (si veda la predilezione per le STEM), carichi familiari, professioni. I media non distinguendo dal gap a parità di ruolo, alimentano l’equivoco che le differenze retributive dipendano direttamente dal genere. Queste distorsioni sono fuorvianti e ostacolano la comprensione del problema e l’identificazione di soluzioni efficaci. È responsabilità dei media restituire la complessità del fenomeno, spiegando che il pay gap complessivo deriva da una combinazione di fattori. Solo informando in modo corretto e approfondito l’opinione pubblica si può contribuire utilmente al dibattito sulla parità di genere.

Le cause del Gender Wage Gap complessivo e le sue cause[modifica | modifica sorgente]

Il divario salariale di genere, che rappresenta la differenza di retribuzione tra uomini e donne, è un fenomeno complesso ed è generalmente attribuito a una combinazione di vari fattori. Contrariamente a molte semplificazioni diffuse, non può essere esclusivamente ridotto a una questione di discriminazione diretta da parte dei datori di lavoro.

I fattori che contribuiscono al divario salariale di genere possono includere:

  • La maternità: le donne con figli tendono ad avere stipendi inferiori rispetto a quelle senza figli (vedi sotto).
  • Scelte e preferenze individuali: le donne potrebbero scegliere lavori con orari più flessibili o meno remunerativi per conciliare meglio le esigenze lavorative e familiari.
  • Caratteristiche personali: certi tratti della personalità possono influenzare le negoziazioni salariali e le scelte di carriera.
  • Discriminazione e pregiudizi: le donne possono essere viste come meno adatte a certi ruoli lavorativi o a ruoli di leadership, portando a stipendi più bassi.

Attribuire il gender wage gap esclusivamente alla discriminazione dei datori di lavoro è una semplificazione e non rappresenta la realtà. È un'analisi parziale e fuorviante che rischia di portare a soluzioni disfunzionali.

Il ruolo della maternità nel Gender Wage Gap[modifica | modifica sorgente]

La maternità è uno dei fattori più rilevanti nell'analisi del divario salariale di genere. Secondo diverse ricerche, la nascita del primo figlio segna spesso un calo significativo nelle entrate delle donne, fenomeno che non si riscontra tra gli uomini. Questo calo si traduce in una riduzione cumulativa delle entrate nel corso della carriera, creando un cosiddetto "penalty of motherhood", o "penalità della maternità"[1].

In pratica, le donne che diventano madri tendono a guadagnare meno rispetto alle donne senza figli. Questo può essere attribuito a vari motivi, tra cui la necessità di tempo per la cura dei figli, l'adattamento a lavori con orari più flessibili o meno retribuiti, o l'eventuale interruzione temporanea della carriera.

Uno studio condotto in Danimarca, un paese con una generosa politica di congedo parentale, ha rilevato che nonostante i vantaggi sociali, il divario salariale di genere rimane quasi identico a quello degli Stati Uniti, paese dove le donne non hanno garanzie di congedo di maternità pagato. Questo suggerisce che la maternità è un fattore determinante nel divario salariale di genere, indipendentemente dalle politiche di sostegno sociale.

Il fenomeno della "penalità della maternità": questo grafico mostra le diverse traiettorie di guadagno tra donne con figli e donne senza figli. Nonostante politiche sociali favorevoli, le madri tendono a guadagnare significativamente meno rispetto alle donne senza figli.
L'alto costo dell'assistenza all'infanzia costringe molte madri occidentali a uscire dal mondo del lavoro nei primi anni di vita dei loro figli. Questo fenomeno contribuisce in modo significativo alla "penalità della maternità", che si manifesta con l'allontanamento dal mercato del lavoro o la riduzione dell'orario di lavoro delle madri. Questa tendenza è particolarmente evidente nei paesi ad alto reddito, dove il divario di genere nell'occupazione è maggiormente influenzato dalla maternità rispetto al matrimonio.Il grafico mostra come, nei paesi con un reddito pro capite più alto, quasi tutte le differenze di genere nella partecipazione alla forza lavoro emergono dopo la nascita dei figli. Questo suggerisce che, mentre nei paesi più poveri le donne spesso lasciano il lavoro in seguito al matrimonio, nei paesi più ricchi la permanenza nel lavoro è interrotta o ridotta dopo la maternità, in parte a causa degli elevati costi dell'assistenza all'infanzia. Per un'analisi dettagliata dell'impatto che la genitorialità ha sulla carriera delle madri in vari paesi, si può esplorare l'interattivo fornito da The Economist, che esamina come la maternità influisce sulla carriera femminile a livello globale. Questi approfondimenti sono accessibili tramite il link nella biografia dell'articolo fonte del grafico: How motherhood hurts careers.

Il concetto di "penalità della maternità" è ormai consolidato negli studi sul divario salariale di genere. Si tratta di un fenomeno per il quale le donne che diventano madri subiscono una riduzione dei loro guadagni rispetto alle donne che non hanno figli. In molti casi, questa differenza può ammontare fino al 20% dei guadagni complessivi nel corso della carriera. Questa tendenza persistente evidenzia la necessità di politiche e soluzioni più efficaci per affrontare e mitigare l'impatto della maternità sul divario salariale di genere. L'articolo di riferimento, per approfondire questo tema, e da cui sono tratti dati e immagini, è il seguente: "A stunning chart shows the true cause of the gender wage gap". Vox. February 19, 2018. Retrieved July 10, 2023.

Aggiornamento 2024 - da un'articolo dell'Economist[modifica | modifica sorgente]

Gli autori dell’articolo menzionato hanno condotto uno studio[2] che ha coinvolto 134 paesi, rappresentanti il 95% della popolazione mondiale. Utilizzando dati provenienti da diverse fonti, hanno esaminato l’effetto della maternità sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Ecco alcuni punti chiave:

  1. Penalizzazione della maternità: Gli autori definiscono la “penalizzazione della maternità” come la quantità media con cui la probabilità di impiego di una donna diminuisce durante i dieci anni successivi al parto. Questo declino è osservato in quasi tutti i paesi analizzati.
  2. Confronto tra madri e padri: Gli studiosi hanno confrontato le madri con i padri e con persone senza figli, considerando variabili come età, istruzione, stato civile e altro. Hanno scoperto che la partecipazione delle donne al mercato del lavoro diminuisce dopo la nascita di un figlio.
  3. Costi della cura dei figli: I costi della cura dei figli possono rappresentare un ostacolo significativo al lavoro per le donne. In alcuni paesi, come gli Stati Uniti, l’Irlanda e la Nuova Zelanda, i costi della cura dei figli rappresentano una parte maggiore del reddito netto familiare rispetto ad altri paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).
  4. Impatto globale: Questo studio fornisce una panoramica globale dell’impatto della maternità sulle carriere delle donne, evidenziando sfide comuni e differenze regionali.

Questo studio ha creato un atlante mondiale delle penalizzazioni legate alla maternità nell’occupazione, utilizzando dati micro provenienti da 134 paesi. La stima delle penalizzazioni legate alla maternità si basa su studi di eventi pseudo-eventi relativi alla nascita del primo figlio, utilizzando dati trasversali. Questi studi pseudo-eventi sono stati convalidati rispetto a studi di eventi reali utilizzando dati panel per un sottoinsieme di paesi. La maggior parte dei paesi mostra chiare e consistenti penalizzazioni legate alla maternità: uomini e donne seguono tendenze parallele prima della genitorialità, ma divergono nettamente e persistentemente dopo la genitorialità. Sebbene questo modello sia pervasivo, esiste un’enorme variazione nell’entità degli effetti tra le diverse regioni del mondo. La frazione di disuguaglianza di genere spiegata dalle penalizzazioni legate alla maternità varia sistematicamente con lo sviluppo economico e i proxy per la trasformazione strutturale. A livelli bassi di sviluppo, le penalizzazioni legate alla maternità rappresentano una minima parte della disuguaglianza di genere. Ma man mano che le economie si sviluppano, i redditi aumentano e il mercato del lavoro passa dall’agricoltura di sussistenza al lavoro salariato nell’industria e nei servizi, le penalizzazioni legate alla maternità diventano il principale fattore di disuguaglianza di genere. Poiché la genitorialità è spesso legata al matrimonio, abbiamo anche indagato l’esistenza di penalizzazioni legate al matrimonio nell’occupazione femminile. In generale, le donne sperimentano sia penalizzazioni legate al matrimonio che alla maternità, ma la loro importanza relativa dipende dallo sviluppo economico. Il processo di sviluppo è associato a una sostituzione delle penalizzazioni legate al matrimonio con quelle legate alla maternità, con le prime che gradualmente convergono a zero


Partecipazione femminile al mercato del lavoro in Italia[modifica | modifica sorgente]

In Italia, la partecipazione femminile al mercato del lavoro è notevolmente inferiore rispetto ad altri paesi dell'Unione Europea. Uno studio di Randstad Research ha rivelato che il 43% delle donne italiane tra i 30 e i 69 anni non lavora né è in cerca di un impiego. Questa percentuale supera notevolmente la media europea del 32%. Questa differenza può essere attribuita a vari fattori, tra cui le barriere culturali che dissuadono le donne dal cercare lavoro, la mancanza di servizi di assistenza all'infanzia accessibili e convenienti che complicano la conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari, e la presenza di discriminazioni di genere nell'accesso alle opportunità di lavoro. Il governo italiano e vari stakeholder stanno lavorando per affrontare queste sfide e aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Il divario salariale di genere a parità di condizioni[modifica | modifica sorgente]

In precedenza, abbiamo esaminato il gender wage gap complessivo, una misura grezza che confronta i salari medi di uomini e donne senza tener conto di fattori come tipo di impiego, ore lavorate, istruzione ed esperienza. Ora, è importante esplorare il gender wage gap normalizzato. Questa misura affina l'analisi confrontando i guadagni a parità di lavoro, lavoro, istruzione, anni di esperienza lavorativa. In questo modo, si cerca di capire se esiste una disparità salariale tra uomini e donne che svolgono funzioni simili e possiedono qualifiche comparabili.

Gap salariale "non spiegato" e presunta discriminazione[modifica | modifica sorgente]

Anche dopo aver normalizzato il gender wage gap, permane un "gap salariale non spiegato". Questo divario, che si aggira intorno al 5 - 8%, rimane dopo aver considerato ruolo, mansioni e ore lavorative. Inizialmente si pensava che questo fenomeno suggerisse l'esistenza di una discriminazione di genere e pregiudizi nei luoghi di lavoro. Tuttavia studi successivi (che presenteremo dopo, suggeriscono una spiegazione diversa)

Sottorappresentazione delle Donne nelle Posizioni di Leadership[modifica | modifica sorgente]

Un altro fattore significativo è la sottorappresentazione delle donne in ruoli dirigenziali, dove solo il 26% delle posizioni è occupato da donne. Questa assenza limita l'accesso delle donne a ruoli ad alto reddito, contribuendo al divario salariale.

Impatto dell'Ingresso delle Donne in Professioni Dominanti Maschili sui Salari[modifica | modifica sorgente]

Studi, come quello di Levanon et al. (2009), mostrano che quando le donne entrano in campi lavorativi precedentemente dominati dagli uomini, i salari medi per quelle professioni tendono a diminuire. Questo suggerisce che la valutazione del lavoro può essere influenzata dal genere dei lavoratori.

Secondo l'AAUW, esiste una differenza residuale nei guadagni tra laureati maschi e laureate femmine, sia immediatamente dopo la laurea sia a distanza di dieci anni. Questi dati evidenziano come il divario salariale possa persistere e persino aumentare nel tempo.

Un rapporto del 2016 dell'AAUW, per esempio, evidenzia che nel 2015 le donne occupavano solo il 26% delle posizioni dirigenziali nel settore privato, con donne di colore che avevano particolari difficoltà a ricoprire tali posizioni. Allo stesso modo, uno studio su 50 anni di dati sul lavoro negli Stati Uniti ha rivelato che quando le donne entrano in una professione precedentemente dominata dagli uomini, i salari medi per quella professione tendono a diminuire (Levanon et al., 2009). Un altro studio, condotto dall'AAUW, ha rilevato una differenza residuale del 7% tra i guadagni dei laureati maschi e delle laureate femmine un anno dopo la laurea. Questo divario è salito al 12% 10 anni dopo la laurea (AAUW, 2012; AAUW Educational Foundation, 2007)[3].

Assertività nelle Trattative Salariali e Differenze di Genere nelle Aspettative sul Posto di Lavoro: Studi ed Evidenze empiriche[modifica | modifica sorgente]

7. Conclusion The incorporation of personality traits into an analysis of wage determinants enriches the capacity of economic models to explain heterogeneous variation among individuals and, when adding a gender lens to this variation, uncover previously unrecognized factors behind the gender pay gap. Our analysis shows that men generally display higher levels of the personality traits that connote a stronger sense of confidence in their capabilities and a stronger focus on their own agenda: higher hope for success, weaker fear of failure, and lower agreeableness (akin to stronger self-centredness). All of these traits are positively associated with earnings. The only trait found to give women a wage advantage is their higher level of conscientiousness, which could suggest that women tend to rely on demonstrating their proficiency in their existing job role-moreso than putting themselves forward for even more challenging roles-as the mechanism to climb the pay ladder. This paper's findings should trigger closer scrutiny of the personal characteristics of the individual worker that enter into an employer's job recruitment and remuneration decisions. Employers should be prompted to evaluate whether higher levels of confidence necessarily justify higher wages, or whether they might be relying on confidence as a proxy for a worker's true capability and productive value. Above all, this paper should trigger a more perceptive awareness of the ways in which the personality attributes of men and women tend to differ, and how these differences matter for critical outcomes such as wages and workplace opportunities. Recognizing these points of difference is an essential step in the ongoing pursuit to address the inequalities that give rise to the gender pay gap.

Un recente studio fornisce approfondimenti cruciali su questo tema, esplorando come tratti personali diversi tra uomini e donne possano influenzare i risultati salariali.


Questo studio si concentra sull'incorporazione dei tratti della personalità nell'analisi dei determinanti salariali. I risultati rivelano che gli uomini tendono a esibire tratti associati a una maggiore fiducia nelle proprie capacità e a un focus più marcato sui propri obiettivi. Questi includono speranza di successo più elevata, minore paura del fallimento e una tendenza minore alla remissività, che può essere interpretata come un maggiore egoismo. Sorprendentemente, tutti questi tratti sono stati trovati positivamente correlati ai guadagni.

D'altra parte, l'unico tratto che sembra dare alle donne un vantaggio salariale è un livello più elevato di coscienziosità. Questo potrebbe indicare che le donne tendono a fare affidamento su dimostrare la propria competenza nel proprio ruolo di lavoro attuale, piuttosto che proporsi per ruoli più impegnativi, come meccanismo per avanzare nella scala retributiva.

Studio: Il Ruolo dei Tratti di Personalità nei Determinanti Salariali[modifica | modifica sorgente]

7. Conclusione L'incorporazione dei tratti della personalità in un'analisi dei determinanti salariali arricchisce la capacità dei modelli economici di spiegare la variazione eterogenea tra individui e, aggiungendo una lente di genere a questa variazione, scopre fattori precedentemente non riconosciuti dietro il divario retributivo di genere. La nostra analisi mostra che gli uomini generalmente mostrano livelli più elevati dei tratti della personalità che denotano un senso più forte di fiducia nelle proprie capacità e un focus più forte sulla propria agenda: maggiore speranza di successo, minore paura del fallimento e minore remissività (simile a un egoismo più forte). Tutti questi tratti sono positivamente associati ai guadagni. L'unico tratto che si è scoperto dare alle donne un vantaggio salariale è il loro livello più elevato di coscienziosità, il che potrebbe suggerire che le donne tendono a fare affidamento sul dimostrare la loro competenza nel loro ruolo di lavoro esistente - più che proporsi per ruoli ancora più impegnativi - come meccanismo per scalare la scala retributiva. I risultati di questo documento dovrebbero innescare un esame più attento delle caratteristiche personali del singolo lavoratore che entrano nelle decisioni di assunzione e retribuzione del datore di lavoro. I datori di lavoro dovrebbero essere sollecitati a valutare se livelli più elevati di fiducia giustifichino necessariamente salari più alti, o se potrebbero fare affidamento sulla fiducia come indicatore delle reali capacità e del valore produttivo di un lavoratore. Soprattutto, questo documento dovrebbe innescare una consapevolezza più percettiva dei modi in cui gli attributi della personalità di uomini e donne tendono a differire e di come queste differenze contano per esiti critici come stipendi e opportunità di lavoro. Riconoscere questi punti di differenza è un passo essenziale nel perseguimento in corso per affrontare le disuguaglianze che danno origine al divario retributivo di genere.

Le donne hanno un'autostima più bassa?[modifica | modifica sorgente]

La risposta breve è: sì. Lo sviluppo dell'autostima è influenzato da genere, età e cultura. Studi tradizionali, focalizzati su campioni occidentali, hanno rivelato che l'autostima aumenta con l'età e tende ad essere più alta negli uomini. Un'analisi cross-culturale di Wiebke Bleidorn e il suo team su oltre 985.000 partecipanti di 48 paesi ha scoperto che:

  • in tutte le nazioni le femmine hanno un'autostima più bassa dei maschi.
  • nei paesi sviluppati e individualisti, le donne hanno un'autostima proporzionalmente più bassa rispetto alle donne di paesi meno sviluppati.

La ricerca suggerisce che l'autostima è influenzata da una combinazione di fattori biologici, di genere e culturali. Ulteriori studi sono necessari per comprendere meglio questi processi. Hanno reso disponibile anche un sito web interattivo per esplorare tali risultati.

Opinioni / approfondimento[modifica | modifica sorgente]

Ad approfondimento di questo proponiamo uno scambio di opinioni tra i tre interlocutori, di cui due donne, mette in luce come sia necessaria una certa assertività per ottenere un aumento di stipendio. Tuttavia, emerge anche una tendenza tra le donne a desistere più facilmente o a possedere aspettative meno aggressive. In altre parole, le donne sembrano più inclini a cercare un equilibrio tra le esigenze personali e professionali, spesso risultando meno propense a rivendicare energicamente i propri diritti sul posto di lavoro. Questo può tradursi in un approccio più moderato alle trattative salariali, il che potrebbe contribuire al persistente divario retributivo tra i generi.

  • Ragazza1: Semplicemente perché gli uomini si fanno più spesso avanti per richiedere un aumento rispetto alle donne.
  • Ragazza2: mah, io quando lo chiesi mi risposero che non serviva averlo perché ero donna, mentre gli uomini dovevano portare avanti “la famiglia”, io potevo farmi mantenere “per davvero” da un uomo, non dal mio lavoro.
  • Ragazza1: eh quello è un caso di un coglione. Nella fabbrica dove lavoro io ragionano in modo simile, tipo "siccome sei donna a casa hai anche altro da fare quindi ti facciamo fare lavori meno faticosi, mentre gli uomini a casa non fanno niente quindi possono faticare qua"
  • Ragazzo: Il fatto è che anche con noi inventano mille mila scuse. Io per ottenere aumenti ho sempre fatto colloqui altrove, minacciato di licenziarmi e.. in alcuni casi mi sono licenziato davvero e trasferito all'estero. E io sono un dilettante al confronto di un mio amico, lui non è che gli aumenti glieli concedono, se li prende! È brutto, ingiusto, ma è così. È una guerra..

Il ruolo delle preferenze: le ragazze sono intimorite dalle materie STEM[modifica | modifica sorgente]

La 27ora riporta che: Il 54% delle ragazze è incuriosita dalle materie scientifiche ma non si ritiene adatta a una carriera in quell’ambito. I pregiudizi, così, si trasformano in barriere[5].

Altri studi e articoli da classificare[modifica | modifica sorgente]

Leggendo altri studi risulta che ancora non siamo alla perfetta parità..

Opinioni varie[modifica | modifica sorgente]

Contributo di un avvocato del lavoro (ES)[modifica | modifica sorgente]

Sunto: Stando alla mia esperienza di avvocato del lavoro le donne non chiedono tanto una parità salariale, ma anche una parità relazionale, poiché spesso vengono sottovalutate sul posto di lavoro. L'autore sottolinea che le statistiche sul gap salariale spesso non tengono conto delle mansioni e delle condizioni di lavoro, e quindi risultano inutili e parziali.

Versione lunga:

È innegabile che negli ultimi anni vi sia stato un impegno per una maggiore protezione delle donne sul posto di lavoro. Durante il mio percorso di studi in diritto del lavoro, analizzando numerosi casi e sviluppando una sensibilità acuta ai problemi inerenti a questa disciplina, ho osservato che le donne non chiedono solo parità salariale, ma aspirano a qualcosa di molto più radicale.

Il divario salariale di genere è stato ampiamente affrontato, sottolineando che le differenze salariali tra uomini e donne sono ormai considerate un mito. Le analisi delle retribuzioni di diverse figure professionali - dirigenti, responsabili, ecc. - hanno dimostrato che non esistono disparità salariali significative, e che in molti casi le donne guadagnano persino di più.

Trovo poco costruttivo discutere del divario salariale a parità di mansioni, soprattutto nelle società private, dove lo stipendio è determinato dai compiti individuali e tenendo conto delle condizioni economiche dell'azienda, pertanto è normale che vi siano differenze di stipendio tra figure professionali nello stesso settore.

Come ho già sottolineato in precedenza, le statistiche che mostrano un divario salariale tra uomini e donne non confrontano gli stipendi di uomini e donne che svolgono la stessa mansione con le stesse condizioni, benefici aggiuntivi, bonus di produzione, ecc. Piuttosto, prendono in esame il reddito medio annuale di un campione di uomini e donne che svolgono mansioni diverse, portando a risultati distorti e parziali.

In base alla mia analisi di diversi casi sul posto di lavoro, ho constatato che le donne chiedono una parità di trattamento più che una parità economica. In molti dei casi che ho esaminato, le donne in posizioni di leadership o manageriali sono frequentemente vittime di molestie, sia velate che esplicite, quasi a denigrare il loro valore professionale, come se il loro sesso prevalga sul loro ruolo lavorativo.

Questo comportamento è spesso insostenibile e comprensibilmente così. Le donne godono di alcuni privilegi sul lavoro, come permessi e congedi, che sono stati in parte bilanciati dall'introduzione del congedo parentale per il padre in sostituzione di quello della madre in caso di maternità, sebbene tale pratica incontri ancora resistenze da parte dei datori di lavoro.

Nonostante questi privilegi, c'è una carenza fondamentale: il riconoscimento professionale e il rispetto per la propria figura di riferimento, soprattutto se si tratta di una donna.

A mio avviso, è su questo che dovremmo concentrarci attualmente.

Come ottenere aumenti[modifica | modifica sorgente]

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Vedi anche[modifica | modifica sorgente]

Note[modifica | modifica sorgente]

  1. "A stunning chart shows the true cause of the gender wage gap". Vox. February 19, 2018. Retrieved July 10, 2023.
  2. Kleven, Henrik; Landais, Camille; Leite-Mariante, Gabriel (2023-09-01). "The Child Penalty Atlas". doi:10.3386/w31649. {{cite journal}}: Cite journal requires |journal= (help)
  3. Vedi Gender Wage Gap/Studio1
  4. (EN) Leonora Risse, Lisa Farrell, Tim R L Fry, Personality and pay: do gender gaps in confidence explain gender gaps in wages? [Personalità e salario: i divari di genere nella fiducia spiegano i divari salariali di genere?] (PDF), su Oxford Economic Papers, Oxford Academic, 28 Giugno 2018, pp. 919–949.
    «Questo studio esplora se i modelli di genere nelle tratti di personalità contribuiscano al divario salariale di genere, concentrandosi su tratti che riflettono la fiducia di un individuo nel prendere una sfida. Utilizzando dati salariali del 2013 dall'indagine Household, Income and Labour Dynamics in Australia (HILDA), il modello di decomposizione Oaxaca–Blinder rivela che la maggiore speranza di successo degli uomini, la minore paura del fallimento e la minore amabilità contribuiscono al divario salariale di genere.»
    «Questo studio esplora se i modelli di genere nelle tratti di personalità contribuiscano al divario salariale di genere, concentrandosi su tratti che riflettono la fiducia di un individuo nel prendere una sfida. Utilizzando dati salariali del 2013 dall'indagine Household, Income and Labour Dynamics in Australia (HILDA), il modello di decomposizione Oaxaca–Blinder rivela che la maggiore speranza di successo degli uomini, la minore paura del fallimento e la minore amabilità contribuiscono al divario salariale di genere.»
  5. Le ragazze e la matematica: quello scalino che rimane da superare