Evitamento esperienziale

Da Tematiche di genere.
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Fonte: Mindfulness & Acceptance in psicoterapia: la terza generazione della Terapia Cognitivo-Comportamentale A cura di Francesco Bulli e Gabriele Melli Eclipsi

«Una delle conseguenze cliniche maggiormente rilevanti della fusione con le proprie esperienze interne è rappresentata dall’insieme di strategie cognitive e comportamentali mirate a cambiarne la forma o la frequenza (Hayes, Wilson, Gifford, Follette & Strosahl, 1996). Questo è ciò che s’intende con il concetto di evitamento esperienziale.

Hayes et al. (1996) hanno affermato che l’evitamento esperienziale contribuisca allo sviluppo e al mantenimento di molte forme psicopatologiche. Certe esperienze interne, che includono emozioni (ad esempio, ansia, tristezza, paura), pensieri (“Non vado bene”) e sensazioni fisiologiche (come, ad esempio, l’accelerazione del battito cardiaco o il rossore nel volto) possono essere giudicate come patologiche e talmente minacciose da rendere inevitabile il tentativo di liberarsene ad ogni costo.

Molteplici sono i motivi che spingono le persone a voler cambiare le proprie esperienze interne indesiderate e a mettere in atto l’evitamento esperienziale. Il primo è di natura culturale. La società occidentale, infatti, supporta l’idea che la felicità sia più facilmente raggiungibile attraverso l’evitamento della sofferenza e che i tentativi di attuare un controllo nei confronti[1] delle proprie esperienze interne siano altamente desiderabili. Così, l’evitamento è appreso e incoraggiato da diverse fonti nella storia di vita di ciascun individuo (Hayes et al., 1999). Del resto, esercitare intenzionalmente un controllo sul proprio comportamento e sull’ambiente è spesso identificato con la risoluzione del problema. Pensiamo a un qualcosa dell’ambiente esterno che non ci piace (ad esempio, la nostra auto dopo essere stata incidentata); in tal caso, è possibile modificare la situazione (riparando l’auto o comprandone una nuova) al fine di renderla maggiormente in linea con quanto da noi desiderato. È ragionevole attendersi, dunque, che una norma fortemente rinforzata nel mondo esterno, come nell’esempio precedente, possa estendersi, tramite un processo di generalizzazione, anche agli eventi interni ed è possibile che, in alcuni casi, gli sforzi nel controllo delle proprie esperienze interne abbiano anche successo. Pensiamo, ad esempio, a come le tecniche di rilassamento o i farmaci ansiolitici possono ridurre la propria ansia a breve termine. Tuttavia, il tentativo costante di controllare i pensieri negativi, le emozioni, le sensazioni fisiologiche e le immagini spiacevoli, per quanto altamente apprezzato e rinforzato nella nostra cultura, spesso si accompagna a un aumento paradossale in termini di sofferenza psicologica (Gross & Levenson, 1997; Purdon, 1999; Roemer & Borkovec, 1994; Wegner, 1994).

Il tentativo di controllo dei pensieri, per esempio, è una delle strategie disfunzionali che accompagna alcune forme di Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Capita, infatti, che alcuni individui lamentino, con costante preoccupazione, uno scarso controllo sui propri processi cognitivi, riferendo che pensieri, immagini o impulsi insensati e orribili s’impongono alla coscienza contro la propria volontà. Le idee relative al funzionamento mentale, per cui si ritiene di dover avere un controllo assoluto sui propri processi psichici, non soltanto fanno sì che il paziente ossessivo giudichi le proprie esperienze interne come fortemente patologiche, attivando un’evidente serie di preoccupazioni, ma comportano anche dei continui sforzi per allontanare i pensieri intrusivi, innescando un circolo vizioso. Infatti, il tentativo di tenere lontano dalla propria coscienza un pensiero, paradossalmente, non fa altro che incrementarne la presenza (Salkovskis, Richards & Forrester, 1995) e ciò produce ulteriori tentativi di neutralizzazione dello stesso, in un circolo senza fine a cui generalmente si associa una forte componente ansiosa (Lorenzini & Sassaroli, 2000).

Un secondo motivo per cui le risposte di evitamento esperienziale si mantengono nel tempo sta nel processo di condizionamento operante, in base al quale esse sono negativamente rinforzate da un’immediata riduzione delle emozioni negative, rendendone più probabile l’emissione in futuro.

Gli sforzi per attuare l’evitamento esperienziale, inoltre, sono giustificati dalla relazione di fusione con le nostre esperienze interne; se, infatti, l’emozione di ansia è considerata la prova di un disastro imminente e le sensazioni e i pensieri negativi vengono assunti come indicatori di realtà, sarà molto alta la motivazione a evitarli. Se, invece, fosse possibile percepire queste esperienze come qualcosa di sgradevole, ma insignificante e transitorio, l’impulso a evitarle diminuirebbe d’intensità.

È possibile, infine, che vi siano anche fattori individuali, sociali o relazionali che rendono gli individui particolarmente vulnerabili all’evitamento esperienziale. Differenze di temperamento in termini di inibizione comportamentale (Kagan, 1989) o di neuroticismo (Eysenck, 1967, 1981) possono influenzare la frequenza e l’intensità con cui certe emozioni vengono sperimentate, riducendone potenzialmente la tollerabilità da parte dell’individuo. Linehan (1993a) ha parlato di differenze individuali nella vulnerabilità emotiva e nella capacità di regolazione delle emozioni. Per vulnerabilità ci si riferisce a quei fattori biologici e temperamentali che influenzano la tendenza a reagire in modo intenso e rapido di fronte a stimoli emotivi anche minimi. Per disregolazione, invece, ci si riferisce all’incapacità, quando si attiva un’emozione, di compiere le operazioni necessarie per ridurne l’intensità e ritornare al tono emotivo di base.

L’evitamento esperienziale, comunque, sebbene giustificabile in base a tutte le motivazioni sopra citate, è profondamente disfunzionale e, tra le altre cose, porta anche a trascurare il valore informativo e il ruolo delle emozioni nei processi di conoscenza. Le nostre risposte emozionali, infatti, ci permettono di conoscere ciò che accade, ponendoci direttamente a contatto con ciò che desideriamo, con ciò che valutiamo importante. Gli sforzi per liberarsi dagli eventi interni che elicitano una risposta negativa comportano inevitabilmente un restringimento significativo del repertorio comportamentale del soggetto, con relativa riduzione della qualità di vita, che costituisce l’ultimo elemento del modello di concettualizzazione degli approcci di terza generazione.»

  1. Aggiungerei anche i tentativi di controllo degli altri