Whashing e Brand activism

Da Tematiche di genere.
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Dalla Croce Rossa al brand activism

Effetto Greta

Ogni anno l’agenzia di comunicazione Edelman intervista migliaia di persone in giro per il mondo chiedendo loro di chi si fidino di più per risolvere i problemi del mondo. Il mondo delle aziende è ritenuto più affidabile di quello politico in diciotto nazioni su ventisette. Nel 2005, un professore di scienze sociali di Harvard condusse un esperimento in un negozio di prodotti casalinghi di New York, dove erano esposte due marche di asciugamani in vendita, entrambe composte da cotone organico. Dentro l’etichetta, si leggeva come quel particolare asciugamano fosse stato «prodotto in condizioni di lavoro dignitose, in un ambiente di lavoro sicuro e salutare», ecc.

ecc. Nel primo mese, con i prezzi invariati, le vendite del gruppo di asciugamani con l’etichetta "virtuosa" salirono dell’11%. Il secondo mese, il professore alzò il prezzo degli asciugamani virtuosi del 10%. Bene, le vendite non solo non diminuirono, ma crebbero di un ulteriore 20%, generando un aumento del guadagno del 62%.

Il terzo mese alzò ancora il prezzo, di un altro 20%, e notò un ulteriore aumento delle vendite del 4%. Esperimenti simili mostrarono una crescita delle vendite di alcuni dentifrici e shampoo collegati a qualche tipo di causa sociale rispettivamente del 28% e del 74% rispetto alla concorrenza. Gli investimenti delle aziende per compensare le emissioni di CO2 salgono del 156% anno su anno. La percentuale di americani consapevoli del cambiamento climatico schizza al 75%, il dato più alto di tutti i tempi.

Personalmente sono un po’ diffidente sull’intensità del virtuosismo climatico della nuova generazione consegnataci ogni giorno dai sondaggi d’opinione. Rivolgendosi alla Generazione Z, il comico americano fa notare quella che definisce una dissonanza cognitiva tra l’autonarrazione della Gen Z "impegnata" e i suoi comportamenti. «Greta magari sarà la "coscienza" della sua generazione, ma non è certo la sua rappresentante. Greta ha tredici milioni di follower su Instagram, Kylie Jenner ne ha duecentosettantanove. »

Adorano Kylie Jenner, che abbraccia e mostra uno stile di vita che è l’opposto di quello carbon neutral . « Fino ad allora, smettetela di continuare ad accusare la vecchia generazione e di considerarvi meglio di noi. » Le parole di Bill Maher vanno prese ovviamente nel suo stile ironico e iperbolico. È una paura più quotidiana e frustrante.

Uno stillicidio continuo, che provoca negatività, rabbia e soprattutto risentimento verso il mondo degli adulti. L’arma comunicativa di Greta, quella che fa breccia nel movimento, è la rabbia giovanile. La rabbia è più che comprensibile, specie per una storia trentennale di annunci in parte disattesi o di accordi non vincolanti. C’è però sempre un ulteriore grado di complessità, a cui non dobbiamo mai rinunciare nelle nostre discussioni e mobilitazioni online.

Uno dei nemici della lotta al cambiamento climatico

Alden Wicker, giornalista specializzata nella moda sostenibile, disse: «Il consumo consapevole è una bugia. I piccoli passi dei consumatori consapevoli – riciclare, mangiare a km 0, comprare camicie di cotone organico anziché poliestere – non cambieranno il mondo». Wicker forse esagerò, ma cercava di sostenere il suo punto: «Prendere soltanto una serie di piccole decisioni di acquisto etiche, ignorando però al tempo stesso gli incentivi strutturali per aziende basate su business insostenibili, non cambierà il mondo così velocemente come vogliamo. Ci farà sentire soltanto meglio con noi stessi».

Per lei «il movimento della sostenibilità viene accusato di essere elitario, e quasi certamente lo è. Hai bisogno di un buon reddito per permetterti di fare acquisti etici [...] ti mette al riparo da accuse di ipocrisia. Ma non è un sostituto del cambiamento strutturale». Disfattismo? No. Per lei, ognuno di noi deve continuare a fare ciò che sente giusto. E anzi, un comportamento coscienzioso aiuterà sempre di più il cambiamento. «Ma per combattere il riscaldamento climatico, l’inquinamento e la distruzione della Terra dobbiamo prendere piuttosto i soldi, il tempo e l’energia che spendiamo per fare scelte prive di effetti concreti e investirli in qualcosa che importi veramente.» A livello globale, spiega, nel 2017 abbiamo speso 9,3 miliardi di dollari in prodotti di pulizia eco-compatibili. «Se avessimo speso appena un terzo di quei soldi per fare lobbying sui governi affinché mettessero al bando i prodotti chimici tossici da cui siamo così spaventati, forse avremmo fatto molti più progressi.»

Una delle voci più critiche nei confronti dell’attuale approccio alla crisi climatica è quella di Bjørn Lomborg. Non nega l’impatto climatico e i disastri a cui potrebbe portare la Terra, ma condanna quello che ritiene un allarmismo ingiustificato e le continue deadline sulla fine del mondo. Nel 2019 il principe Carlo, storicamente molto attento al cambiamento climatico, disse che avevamo appena diciotto mesi per risolvere il climate change o sarebbe stato troppo tardi. La questione, per Lomborg, è che l’allarmismo ambientale «ci fa ignorare altre sfide umanitarie» secondo lui più «urgenti e risolvibili», come la lotta alla malaria, all’Aids, alla fame nel mondo e i conflitti globali.

« Dobbiamo mettere da parte il panico, guardare alla scienza, affrontare l’economia e il problema razionalmente.» Per Lomborg la soluzione al climate change arriva da cambiamenti strutturali e più investimenti in ricerca e innovazione, più che da singole azioni personali o azioni "virtuose" promosse dai brand. Quando gli chiesero cosa si sarebbe impegnato a fare per la sostenibilità, promise che avrebbe staccato il caricatore del cellulare quando non in uso. Il caricamento del cellulare contribuirebbe a meno dell’1% dell’energia consumata da un cellulare. Il 99% viene dalla produzione del cellulare stesso, dal funzionamento dei centri dati e delle celle telefoniche a cui si appoggia.

Secondo caso, la decisione e l’invito di molti, tra cui Greta Thunberg, a non prendere più aerei. «Se da domani e fino al 2100 nessuno di noi prendesse più un aereo,» scrive Lomborg «l’aumento della temperatura sarebbe ridotto di appena 0,05 °C. Praticamente, equivarrebbe a ritardare il cambiamento climatico di meno di un anno rispetto al 2100». Il movimento ambientalista ha subito un impulso senza precedenti grazie a Greta e ai ragazzi della Generazione Z. Il movimento per la lotta al cambiamento climatico, che aveva piantato le sue basi più di cinquant’anni prima, negli anni Dieci del XXI secolo è stato pressoché ignorato nelle agende politiche.

«Non comprate questa giacca»

Per gli autori del libro New Power, due aziende che rappresentano più di tutte i nuovi modelli e strutture aziendali sono Airbnb e Patagonia. La seconda ha stretto un patto con i suoi clienti-utenti per promuovere cause come la lotta al cambiamento climatico e al consumismo esasperato. Potrebbe essere scambiata tanto per una media company, quanto per un partito politico, una comunità spirituale o un’associazione filantropica. La forza di una brand nation non si misura col numero dei suoi sostenitori ma tramite l’intensità e la lealtà con cui ogni consumatore condivide e crede nei valori dell’azienda.

Le categorie dell’attivismo dei brand sono sei, individuate dal padre del marketing moderno, Philip Kotler:

  • sociale (uguaglianza di genere, diritti Lgbtq+, lotta alle discriminazioni razziali);
  • ambientale (riscaldamento climatico e sostenibilità);
  • lavorativa (organizzazione aziendale, compensi);
  • politica (diritto di voto);
  • economica (politiche retributive)
  • giuridica (come le leggi sulle tasse o sulla cittadinanza).

Nike just did it

Kaepernick viene attaccato da Trump, non si vede rinnovato il contratto dai San Francisco 49ers e non viene preso da nessun’altra squadra. Nel 2018, ormai disoccupato, in causa con l’intera Nfl e in rotta con l’uomo più potente del mondo, viene scelto dalla Nike per uno spot rimasto nella storia. Nel giro di poche ore dalla pubblicazione della pubblicità sul profilo Twitter dello stesso Kaepernick, l’adv diventa virale, viene commentata in ogni trasmissione sportiva e divide gli appassionati. Nelle ventiquattro ore successive alla pubblicazione dell’adv, secondo Bloomberg l’azienda ottiene un’esposizione mediatica quantificabile in oltre quarantatré milioni di dollari.

Se prendiamo i consumatori Nike negli Usa, «due terzi di loro sono under 35». Possono permettersi un paio di Flyknit da centocinquanta dollari, probabilmente dispongono di un reddito medio-alto, ambiscono a vivere in città, alla ricchezza e al progresso. Progressista.» Quindi a favore di Kaepernick. » Su trentacinque miliardi di ricavi, ne restano appena cinque a rischio, ovvero quelli spesi da clienti Usa che potrebbero sentirsi offesi dalla campagna. »

«Realisticamente Nike ha rischiato solo due-tre miliardi di dollari.» Ha rischiato di alienarsi il 5-10% dei suoi clienti, rafforzando però la propria relazione con il restante 90-95%. » I consumatori più coscienziosi, dice, quelli con il più alto tenore di vita e capaci di orientare i propri acquisti, sono in fondo quelli più progressisti e attenti a determinati temi. » I patrioti «che hanno bruciato le loro Nike» sono quelli che forse «dovranno ricomprarsele a rate». » Quelli che possono permettersi di comprarsele, sono già contro il razzismo e per Colin Kaepernick. »

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Yep, occhio ai dettagli

Quando nel 2020 il Ceo di Goldman Sachs annuncia in pompa magna che la banca d’affari non lavorerà più con aziende che non abbiano almeno una donna nel loro consiglio d’amministrazione, da almeno un anno tutte le aziende dello Standard & Poor 500 hanno almeno una donna nel loro board. Tanto più che la nuova regola di Goldman Sachs riguarderà soltanto gli Stati Uniti e l’Europa. Farvi dimenticare le polemiche di qualche mese prima, quando Amazon aveva licenziato alcuni lavoratori che avevano osato parlare sui social media delle condizioni di lavoro nei magazzini della società». » » Il punto è che il mondo è complicato, con le sue differenze, i suoi valori, le sue suscettibilità e i suoi orrori. »

È ancora più complicato per il Ceo di un’azienda che deve soddisfare contemporaneamente le legittime aspettative degli azionisti sul fatturato e quelle dei suoi consumatori sui valori. » » Un colosso come la Disney, al momento di lanciare un prodotto dall’esperienza univoca come un cartone o un film, dovrà valutare attentamente le ragioni di opportunità di quel prodotto tanto in Francia quanto in Cina. » Nel 2016, quando con la sua Marvel Comics lavorava alla versione cinematografica del fumetto «Doctor Strange», si ritrovò davanti a un dilemma. » Tra i personaggi più amati del fumetto c’è infatti L’Antico, un monaco tibetano. »

» La Disney poteva aderire al fumetto e rinunciare al mercato cinese , oppure "ritoccare" il fumetto e conquistare quel mercato. »

Il limite del brand activism

Quei lavoratori fino ad allora fedeli alle loro aziende e convinti sostenitori della cultura aziendale vedono improvvisamente i propri dirigenti confrontarsi, se non ammiccare, con il nuovo presidente, l’uomo che rappresenta la distruzione di ogni loro valore. Nel 2018, quando i dipendenti Google scoprono che l’azienda avrebbe offerto una buonuscita da novanta milioni di dollari al cofondatore del software Android, Andy Rubin, accusato di violenza sessuale, in ventimila escono dai propri uffici di tutto il mondo e chiedono la fine delle disuguaglianze di genere e la pubblicazione di un rapporto sulle molestie sessuali in azienda. È la prima volta che i dipendenti di un colosso tech si ribellano apertamente contro la gestione interna della propria azienda. Come quando sempre Google licenzia l’ingegnere James Damore, in quello che a mio parere è a tutti gli effetti un caso di discriminazione politica.

Il buon James va ad ascoltare un meeting aziendale sulla diversity e l’inclusione in Google. Finito l’evento, gli organizzatori gli chiedono un feedback. Scrive una riflessione piuttosto lunga dal titolo «Le echo chamber ideologiche di Google» e la manda agli organizzatori. Dice che riconosce la discriminazione delle donne nel mondo tech, ma sostiene che le politiche di assunzione e promozione di Google sono tarate in maniera eccessiva rispetto a quello che sostengono altri paper psicologici a proposito delle differenze biologiche innate tra donne e uomini.

James è in fondo uno di quei liberali citati dall’«Economist», che vogliono sì pari opportunità ma non necessariamente pari risultati. «Il mio punto è semplicemente che abbiamo un’intolleranza per le idee e le prove che non confermano la nostra ideologia.» Dopo non aver ricevuto risposta dagli organizzatori del seminario, James condivide il suo memo nel gruppo dei dipendenti di Google. Molti dipendenti lo criticano, un altro spiffera il memo ai media, che lo pubblicano. Accusano il povero James di aver sostenuto che alcuni sono biologicamente meno adatti a determinati lavori .

Il management di Google li accontenta. Mette da parte ogni valore di diversity e inclusione e lascia a casa il ventottenne, senza che gli venga mossa un’accusa specifica. Diversity sì, ma non d’opinione. In fondo Google, con quel licenziamento, aveva provato il punto di James a proposito dell’intolleranza interna della stessa Google.

Attivismo o censura?

Con l’avvicinarsi delle elezioni 2020 e la nascita di nuovi movimenti , i dipendenti della Silicon Valley iniziano a protestare contro l’impatto che le aziende per cui lavorano possono avere sul mondo e sulla società. Centinaia di impiegati di Twitter e Facebook pressano per mesi i loro capi perché sospendano l’account di Donald Trump. E centinaia di lavoratori Amazon si rivolgono a Jeff Bezos perché spenga i server a cui si appoggia il social media Parler. È considerata alternativa a Twitter per le sue politiche meno rigide nella moderazione dei commenti.

In seguito alla rivolta avvenuta a Washington a inizio 2020, l’app viene bloccata dai Play Store di Google, sospesa dall’App Store di Apple, e vede i suoi server di Amazon Web Services bloccati dalla stessa Amazon. Hanno bruciato tutte le edicole per non fare uscire più nessun giornale. Esclusivamente per preferenze politiche, si sono sostituite al potere esecutivo e a quello giudiziario. Airbnb ha bannato Ronald Gaudier.

Autoproclamatosi "Proud Boy", aveva annunciato la sua partecipazione a un evento per Trump a Washington, e aveva invitato altre persone a unirsi a lui nel suo appartamento affittato su Airbnb. «Quando le società usano il loro potere sul mercato per stabilire delle regole sociali», ha scritto l’economista di Harvard Greg Mankiw «minano il diritto di altri cittadini di avere la propria voce in una democrazia.» Il rischio del corto circuito micidiale è un triangolo che comprende consumatori, aziende e azionisti. Questi ultimi, pur essendo dei geni del management, non sono necessariamente dotati di abilità e competenze per servire la società, non sono votati, non sono controllati e non hanno un contrappeso. Personalmente, credo sarebbe illusorio e forse ingiusto considerare le aziende come motore del cambiamento su temi sociali e civili.

Molto più probabilmente, le aziende potranno essere sempre più un riflettore e al massimo catalizzatore di cambiamenti che potrebbero essere invocati dai cittadini o dai loro dipendenti in determinate aree del mondo. Accompagneranno e amplificheranno determinate scelte e tendenze che noi stessi creeremo, sui social come nella vita reale. Ma difficilmente traineranno scelte in base a loro impeti di giustizia. Probabile che se domani dovessimo tutti tornare ad amare la plastica, molte aziende inizierebbero a commercializzare i loro prodotti in mega-confezioni di "pura, massiccia plastica".