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Suffragio femminile in Italia
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===Dal fascismo al secondo dopoguerra=== Come prevedeva il Programma di San Sepolcro dei Fasci di combattimento, il diritto di voto doveva essere esteso alle donne. Mussolini inizialmente sembrava intenzionato a concedere questo diritto “cominciando dal campo amministrativo”<ref>{{Cita libro|cognome=Mussolini|nome=Benito|curatore=E. e D. Susmel|titolo=Opera Omnia|città=Firenze|anno=1951-1980|volume=19|pagine=215}}</ref>. Tuttavia l'intenzione si tradusse poi in un nulla di fatto con la riforma podestarile del 1926 e la riforma elettorale del [[1928]]. Anni dopo l'Italia prese parte alla [[seconda guerra mondiale]] e, com'era già successo durante la Grande Guerra, le donne dovettero rimpiazzare gli uomini. Questa volta però i convulsi avvenimenti degli ultimi due anni di guerra implicarono [[Storia delle donne nella Resistenza italiana|il loro coinvolgimento nella Resistenza]]. In questo clima, su iniziativa del [[Partito comunista]], nel novembre 1943 vennero fondati a Milano i Gruppi di Difesa della Donna e per l'Assistenza ai Volontari della Libertà: un'organizzazione costituita da donne che si univano per manifestare contro la guerra, assistere famiglie in difficoltà, supportare i partigiani.<ref name="DecrBon">{{cita libro| cognome=Galeotti| nome=Giulia | titolo=Storia del voto alle donne in Italia| editore=Biblink| città=Roma | anno=2006 | capitolo=Il decreto Bonomi}}</ref> Nel luglio 1944 i Gruppi di Difesa furono riconosciuti dal Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia e nello stesso anno il giornale ''Noi Donne'' dava voce alle pubblicazioni ufficiali. Nel mese di agosto i partiti capeggiati da [[Alcide De Gasperi]] ([[Democrazia Cristiana]]) e [[Palmiro Togliatti]] ([[Partito Comunista Italiano|Partito Comunista]]) si dimostrarono favorevoli alla questione dell'estensione del suffragio anche alle donne: fu così che prese forma il decreto De Gasperi-Togliatti, meglio conosciuto come decreto [[Ivanoe Bonomi|Bonomi]] dal nome del [[Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia]], oltreché ad interim [[Ministri dell'Interno del Regno d'Italia|Ministro dell'Interno]], che ricoprì la carica dal giugno [[1944]] al giugno del [[1945]]. Nel 1944 le donne ebbero diritto al voto, se capofamiglia, nella [[Repubblica partigiana della Carnia]]. La situazione per nulla rara all'epoca dei fatti visto che i mariti erano impegnati in guerra o in attività partigiane.<ref>{{Cita web|url=http://www.centrostudilucianoraimondi.it/verso-il-voto-alle-donne/|titolo=}}</ref><ref>{{Cita web|url=http://repubblicadellacarnia1944.uniud.it/la-storia.html|titolo=}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://www.anpiudine.org/la-repubblica-partigiana-della-carnia-e-dell-alto-friuli/|titolo=}}</ref> Nel mese di settembre del 1944, sempre per iniziativa del Partito comunista, a Roma venne fondata l'[[Unione Donne Italiane]], nella quale vennero inseriti i Gruppi di Difesa della Donna: questa macro-organizzazione avrebbe dovuto rendere unitaria la campagna per il raggiungimento dei diritti politici. L'UDI era però di ideali più tendenti verso sinistra, fu per questa ragione che [[Maria Rimoldi]], presidentessa delle donne cattoliche, propose di staccarvisi e dar vita a una nuova organizzazione di ispirazione cristiana: nasceva il Centro Italiano Femminile. Nell'ottobre 1944 la Commissione per il voto alle donne dell'UDI e altre associazioni presentarono al governo Bonomi un documento nel quale parlavano dell'inevitabilità di concedere il suffragio universale e verso la fine del mese sorse il Comitato Pro Voto, volto a far conquistare il diritto di voto alle donne e fare in modo che esse potessero ottenere cariche importanti nelle amministrazioni pubbliche e negli enti morali.<br /> Nel mese di novembre del 1944 UDI, CIF e altre organizzazioni commissionarono a [[Laura Lombardo Radice]] la scrittura di un opuscolo intitolato “Le donne italiane hanno diritto al voto”.<br /> Successivamente le rappresentanti del Comitato Pro Voto consegnarono una petizione al Governo di Liberazione Nazionale nella quale chiedevano che il diritto di votare e di essere elette venisse esteso alle donne per le successive elezioni amministrative. Il 20 gennaio 1945 Togliatti scrisse una lettera a De Gasperi nella quale affermava che fosse necessario porre la questione del voto alle donne nell'imminente consiglio dei ministri. A tale lettera De Gasperi rispose<ref name="DecrBon" />: “ho fatto più rapidamente ancora di quanto mi chiedi. Ho telefonato a Bonomi, preannunciandogli che lunedì sera o martedì mattina tu e io faremo un passo presso di lui per pregarlo di presentare nella prossima seduta un progetto per l'inclusione del voto femminile nelle liste delle prossime elezioni amministrative. Facesse intanto preparare il testo del decreto. Mi ha risposto affermativamente.”.<ref>{{cita libro| cognome=Spriano|nome=P.| titolo=Le passioni di un decennio 1946-1956|città=Milano| anno= 1986|pagine=69}}</ref><br /> Il 30 gennaio 1945 nella riunione del consiglio dei ministri, come ultimo argomento, si discuteva del voto alle donne. La questione fu esaminata con poca attenzione ma la maggioranza dei partiti (a esclusione di liberali, azionisti e repubblicani) si dimostrò favorevole all'estensione. Il 1 febbraio 1945 venne emanato il decreto legislativo luogotenenziale n. 23 che conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni<ref name="DecrBon" /><ref>{{cita web|url=http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1945/02/20/045U0023/sg| titolo= DECRETO LEGISLATIVO LUOGOTENENZIALE 1 febbraio 1945, n. 23| accesso=21 marzo 2017}}</ref>. Le uniche donne ad essere escluse erano citate nell'articolo 354 del regolamento per l'esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza<ref>{{cita web|url=http://legislature.camera.it/altre_sezionism/1653/5217/4691/album.asp?sezione=4| titolo=Decreto Legislativo luogotenenziale n.23: conferisce il voto alle donne| accesso=29 gennaio 2013}}</ref>: si trattava delle prostitute schedate che lavoravano al di fuori delle case dove era loro concesso di esercitare la professione. Il 21 ottobre 1945 [[papa Pio XII]], in presenza delle presidenti del CIF, si dimostrò favorevole al suffragio femminile affermando: “ogni donna, dunque, senza eccezione, ha, intendete bene, il dovere, lo stretto dovere di coscienza, di non rimanere assente, di entrare in azione [..] per contenere le correnti che minacciano il focolare, per combattere le dottrine che ne scalzano le fondamenta, per preparare, organizzare e compiere la sua restaurazione”. Con queste parole Pio XII, adeguatosi ai tempi, aveva interrotto la tradizione clericale in merito alla questione. Il decreto Bonomi tuttavia non faceva menzione dell'[[elettorato passivo]]: cioè della possibilità, per le donne, di essere votate. L'11 febbraio 1945 l'UDI compose un telegramma per Bonomi nel quale si richiedeva di sancire anche l'eleggibilità delle donne. Dovette trascorrere poco più di un anno prima che esse venissero accontentate e potessero godere dell'eleggibilità che veniva conferita alle italiane di almeno 25 anni dal decreto n. 74 datato 10 marzo 1946: da questa data in poi le donne potevano considerarsi cittadine con pieni diritti.<br /> Le prime elezioni amministrative alle quali le donne furono chiamate a votare si svolsero a partire dal 10 marzo 1946 in 5 turni<ref name="VotDon">{{cita libro|cognome=Caciagli|nome=Mario|curatore=Marisa Ferrari Occhionero| titolo=Dal diritto di voto alla cittadinanza piena|editore=Casa editrice Università La Sapienza|città=Roma|anno=2008|pagine=53-61|capitolo=Il voto alle donne}}</ref>, mentre le prime elezioni politiche (svolte assieme al [[Referendum istituzionale del 1946|Referendum istituzionale monarchia-repubblica]]) si tennero il 2 giugno 1946.<ref name="DecrBon" /> La legge che consentiva elettorato attivo e passivo alle donne diede immediatamente i suoi frutti, infatti, già alle prime amministrative vi furono donne elette nelle amministrazioni locali, come [[Gigliola Valandro]] ([[Democrazia Cristiana]]) e [[Vittoria Marzolo Scimeni]] ([[Democrazia Cristiana|DC]]) a [[Padova]]<ref>[https://www.academia.edu/1331454/Le_donne_elette_nei_comuni_del_Veneto_dal_1946_ad_oggi._Analisi_di_una_rappresentanza_negata._Una_ricerca_in_fieri_Lorenza_Perini Lorenza Perini, ''Le donne elette nei comuni del Veneto dal 1946 ad oggi. Analisi di una rappresentanza negata. Una ricerca in fieri'']</ref> o [[Jolanda Baldassari]] (Democrazia Cristiana) e [[Liliana Vasumini Flamigni]] ([[Partito Comunista Italiano]]) a [[Forlì]]<ref>M. Viroli - G. Zelli, ''Personaggi di Forlì'', Il Ponte Vecchio, Cesena (Forlì) 2013, pp. 20-21.</ref>. Nello stesso anno furono anche elette le prime due donne sindaco: [[Ada Natali]] ([[Massa Fermana]]) e [[Ninetta Bartoli]] ([[Borutta]]). Alle elezioni del 2 giugno 1946 per l'elezione dei deputati dell'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]], le donne elette risulteranno 21;<ref>Su questo, si veda: [[Deputati dell'Assemblea Costituente (Italia)]].</ref> cinque di esse ([[Maria Federici]], [[Angela Gotelli]], [[Nilde Jotti]], [[Teresa Noce]], [[Lina Merlin]]), faranno parte della [[Commissione per la Costituzione]] incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione repubblicana. A conclusione di un travaglio durato oltre un secolo, la [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione italiana del 1948]] garantirà alle donne pari diritti e pari dignità sociale in ogni campo (articolo tre). In quel clima di soddisfazione la [[Acacia dealbata|mimosa]] venne associata per la prima volta ai festeggiamenti della Giornata internazionale della donna per merito di [[Teresa Mattei]].<ref name=DecrBon />, [[Teresa Noce]] e [[Rita Montagnana]], moglie di Palmiro Togliatti.
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