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Suffragio femminile in Italia
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La storia del '''[[suffragio femminile]] in [[Italia]]''' ha origine nell'[[Ottocento]] e assume due forme: voto amministrativo (tutta la prima parte) e voto politico (vedi la seconda parte).<ref name="Votoam">{{cita libro| cognome=Galeotti| nome=Giulia | titolo=Storia del voto alle donne in Italia| editore=Biblink| città=Roma | anno= 2006 | capitolo=La sconfitta di Atena}}</ref> '''Nel 1928 ci fu la cancellazione totale del diritto di voto (maschile e femminile)''' e infine nel 1945 fu sancito il [[suffragio universale]]. Alcune donne in Lombardia e Veneto potevano eleggere ed essere elette (parliamo del 1850). Persero tale diritto con l'unità d'Italia. Nel 1861 le donne lombarde si batterono per ripristinare il diritto di voto perso con l'unità d'Italia. Nel corso degli anni diversi politici si batterono per ripristinare tale diritto (ci sono andati vicini parecchie volte). Dal 1890 al 1911 le prime vittorie anche grazie a ==Il voto amministrativo== ===Prima dell'unità d'Italia=== [[File:Plebiscito 1866 - Risultati Mantova.jpg|miniatura|destra|Il voto delle donne nel [[plebiscito del Veneto del 1866|plebiscito del 1866]] a Mantova]] In [[Lombardia]], che era sotto dominazione austriaca, le donne benestanti e amministratrici dei loro beni <u>potevano esprimere una loro preferenza elettorale</u> a livello locale attraverso un tutore e <u>in alcuni comuni potevano essere elette</u>.<ref name="Votoam" /> Nel [[Granducato di Toscana]] (1569 al 1859) e in [[Veneto]] le donne <u>partecipavano alle elezioni</u> di politica locale ma <u>non potevano essere elette</u>. In Toscana un decreto datato [[1849]] <u>sanciva il diritto di voto amministrativo per le donne attraverso una procura e dal [[1850]] anche tramite una scheda inviata al seggio con una busta sigillata</u>.<ref name="Votoam" /> In occasione del [[plebiscito del Veneto del 1866]], seppur non previsto, anche le donne vollero esprimere il proprio sostegno all'[[unità d'Italia]]<ref name="Biscaccia">{{cita libro|autore=[[Nicolò Biscaccia]]|titolo=Cronaca di Rovigo, 1866|p=93|url=https://books.google.it/books?id=jkk_AAAAYAAJ&pg=PA93}}</ref> e per questo inviarono diverse lettere di protesta a re [[Vittorio Emanuele II]], mentre a Mantova vennero raccolte in urne separate circa 2.000 schede<ref name="RisultatiMantova">Manifesto del 25 ottobre 1866 del Commissario del re, Guicciardi.</ref>. Nella stampa dell'epoca venne sottolineato il carattere patriottico di questa partecipazione, trascurando gli accenni di protesta (''l'amarezza e l'umiliazione'') e di rivendicazione del diritto di voto.<ref>{{cita libro|titolo=Donne sulla scena pubblica: società e politica in Veneto tra Sette e Ottocento|autore=N.M. Filippini|anno=2006|p=136|url=https://books.google.it/books?id=6ogFk1DYKdgC&pg=PA136}}</ref> ===Dal 1861 alla fine dell'Ottocento=== Con <u>l'avvento dell'Unità</u> i diritti di voto garantiti localmente vennero meno e <u>si diede per scontata l'esclusione delle donne dalla vita politica</u> dettata dalle tradizioni. Il [[Regno d'Italia]] ignorava la parte femminile che lo costituiva: per questo motivo <u>nel [[1861]] le donne lombarde</u>, definendosi con audacia “cittadine italiane”, <u>portarono alla [[Camera dei deputati del Regno d'Italia|Camera]] una [[petizione]] nella quale rivendicavano il diritto di voto che era in loro possesso prima dell'Unità e chiedevano che venisse esteso a tutto il paese</u>.<ref name="Votoam" /> Furono <u>numerosi i tentativi di ammettere le donne al voto</u> amministrativo immediatamente dopo l'Unità d'Italia: * ci furono i disegni di legge Minghetti, Ricasoli (del 13 marzo e 22 dicembre 1861) * quello del ministro dell'Interno [[Ubaldino Peruzzi]] del 5 marzo 1863<ref name="ItaLib">{{cita libro| cognome=Isastia| nome=Annamaria |curatore =Marisa Ferrari Occhionero| titolo=Dal diritto di voto alla cittadinanza piena| editore= Casa editrice Università La Sapienza| città=Roma | anno= 2008 pagine=31-51| capitolo=La battaglia per il voto nell'Italia liberale}}</ref> nel quale si <u>richiedeva l'estensione del diritto di voto per le</u> <u>contribuenti nubili o vedove</u>. * Nel 1865 <u>la questione si concludeva con il discorso</u>: “I nostri costumi non consentirebbero alla donna di frammettersi nel comizio degli elettori, per recare il suo voto”<ref name="ItaLib" />, e <u>la dichiarò anche non eleggibile</u> ponendola allo stesso livello di analfabeti, falliti, condannati * Nel [[1871]] e nel [[1876]] i ministri [[Giovanni Lanza|Lanza]] e [[Giovanni Nicotera|Nicotera]] <u>separatamente presentarono progetti di riforma elettorale</u> a livello amministrativo, i quali f<u>urono approvati con forti opposizioni ma vennero insabbiati</u> e non furono mai discussi in Senato. * Nel [[1877]] [[Benedetto Cairoli]] propose nuovamente l'estensione alle donne del diritto di voto amministrativo limitato<ref name="Votoam" /> Parallelamente gravava nel contesto politico la questione del suffragio universale maschile e [[Agostino Depretis]] (che guidava il governo dal 1876)<ref name="ItaLib" /> formulò due nuovi progetti di riforma elettorale a livello amministrativo. * Il primo, del maggio [[1880]] nel proponeva di estendere l'elettorato ai cittadini di entrambi i sessi e maggiorenni, non fu neanche preso in considerazione.<ref name="Votoam" /> Un tizio controbattè al progetto ribadendo la ''natura maschile del suffragio devota all'impegno civile e politico che si pone in antitesi con quella femminile che si occupa da sempre dell'educazione, della famiglia''.<ref name="ItaLib" /> * Il secondo progetto, datato [[1882]], sanciva l'estensione del diritto di voto agli alfabeti maggiorenni: tale progetto viene valutato negativamente.<ref name="Votoam" /> Motivazioni: affermò che non era conveniente né opportuno estendere questo diritto alle donne perché ''le tradizioni la vedevano ancora legata alla sfera privata''<ref name="ItaLib" />, di conseguenza Depretis non esitò a rinunciare alla questione del voto femminile<ref name="Votoam" />, ma ottenne un primo allargamento del suffragio maschile<ref name="ItaLib" />.<br />Il Congresso delle associazioni liberali monarchiche svoltosi nel [[1887]] fu teatro di una discussione sul voto femminile limitato e inviato tramite posta.<ref name="Votoam" /> ===Dal 1890 al fascismo=== La partecipazione delle donne alla vita politica era considerata incompatibile con la natura di quest'ultima, ma <u>per quanto riguardava il voto amministrativo locale l'opinione pubblica cominciava a fine secolo a recepire opinioni diverse</u>. La '''prima conquista''' in questo campo avvenne nel [[1890]]: la legge conferiva alle donne la <u>possibilità di votare e di essere votate nei consigli di amministrazione delle istituzioni di beneficenza</u>. Iniziava così il cammino che avrebbe portato le donne all'ottenimento del suffragio universale. '''Seguirono le leggi''': * 1893 che ammetteva le donne al voto nei collegi di probiviri chiamati a risolvere i conflitti di lavoro; * 1910 che conferiva alle donne la partecipazione elettorale nelle Camere di Commercio; * 1911 con la quale le donne potevano partecipare alle elezioni di organi dell'istruzione elementare e popolare.<ref name="Votoam" /> Nel 1907 [[Adelaide Coari]] presentò il suo "Programma minimo femminista" presso un congresso a Milano: tra le sue richieste figurava quella di concedere alla donna diritti, tra cui il diritto di voto amministrativo, che fino a quel momento erano negati.<ref name=ItaLib /><br />Apertura del fascismo Nel [[1922]] [[Benito Mussolini]] salì al governo. Egli, accolto da [[Margherita Ancona]] e [[Alice Schiavoni Bosio]], partecipò nel [[1923]] al IX Congresso della Federazione Internazionale Pro Suffragio e <u>promise di concedere il voto amministrativo alle Italiane a meno che non si verificassero imprevisti</u>, e rassicurò gli uomini parlando di “conseguenze benefiche” che sarebbero derivate dalla suddetta concessione. ''Tra l'altro Mussolini sottolineò l'atteggiamento pacato delle suffragette italiane, che reclamavano il diritto di voto senza aggressività''. Il 9 giugno dello stesso anno apparve il disegno di legge che prevedeva la concessione del voto amministrativo limitato, spettante alle eroine della Patria, alle madri o vedove di caduti in guerra, alle donne benestanti o istruite. <u>'''Il 22 novembre [[1925]] il [[fascismo]] fece entrare in vigore una legge che per la prima volta rendeva le italiane elettrici in ambito amministrativo.'''</u> Questa legge fu però resa inutile dalla riforma podestarile entrata in vigore pochi mesi dopo e precisamente in data 4 febbraio [[1926]]: così <u>'''ogni elettorato amministrativo locale veniva annullato'''</u> e si sostituiva al [[sindaco]] il [[podestà (fascismo)|podestà]] che <u>'''non era eletto dal popolo, ma nominato dal governo'''</u>.<ref name="Votoam" /> ==Il voto politico== ===Dall'unità d'Italia a fine Ottocento=== La battaglia delle donne per l'ottenimento del voto politico fu molto più lunga di quella che riguarda l'elettorato amministrativo ed ebbe inizio nell'Ottocento, quando l'<u>ideologia sansimonista divulgava le sue idee sull'[[emancipazione]] femminile.</u><ref name="TeoSuf">{{cita libro|cognome=Conti Odorisio|nome=Ginevra|curatore=Marisa Ferrari Occhionero|titolo=Dal diritto di voto alla cittadinanza piena|editore=Casa editrice Università La Sapienza|città=Roma|anno=2008|pagine=19-30| capitolo=Teorie suffragiste nell'Ottocento}}</ref> [[Giuseppe Mazzini|Giuseppe <u>Mazzini</u>]] conosceva l'ideologia sansimonista e <u>riteneva la donna “l'Angelo della famiglia</u>. Madre, sposa, sorella la donna è la carezza della vita, la soavità dell'affetto diffuso sulle sue fatiche, un riflesso sull'individuo della provvidenza amorevole che veglia sull'Umanità”<ref name="MazDoveri" />. <u>Da questo può sembrare che Mazzini esaltasse più che altro la figura della “madre educatrice”<ref name="TeoSuf" /> ma d'altra parte egli era convinto che gli uomini non avessero nessuna superiorità</u><ref name="MazDoveri">{{cita libro|cognome=Mazzini|nome=Giuseppe|titolo=Doveri dell'uomo| editore= Rizzoli | anno=2002|}}</ref> Insieme a Mazzini, un'altra figura di rilievo a '''favore dell'emancipazione femminile''' fu [[Salvatore Morelli|Salvatore <u>Morelli</u>]] (soprannominato “il deputato delle donne”). Nel <u>1867</u> Morelli presentò il primo disegno di legge che prevedeva la concessione del voto politico alle donne. <u>Egli proponeva la parificazione a livello giuridico tra maschi e femmine</u>: fu per questa ragione che tale progetto e anche un successivo del 1875 non furono presi in considerazione. Nel 1867 <u>Mazzini</u>, in una <u>lettera alla sua amica e suffragista</u> inglese Clementia Taylor, scriveva che “nulla si conquista, se non è meritato” e nello stesso anno in una lettera a Morelli affermava che i tempi non erano maturi. Non gli si poteva dar torto, perché <u>in Italia il movimento degli emancipazionisti era tutt'altro che coeso e '''donne che ne facevano parte non erano favorevoli a ottenere diritti politici'''</u>.<ref name="TeoSuf" /><br /> [[Image:Anna_Maria_Mozzoni.jpg|thumb|[[Anna Maria Mozzoni]]]] Passando al lato femminile, [[Anna Maria Mozzoni]] è considerata la più coerente sostenitrice del suffragio nell'Italia dell'Ottocento. Nella sua opera ''La donna e i rapporti sociali,'' del 1864, aveva scritto che la donna doveva “protestare contro la sua attuale condizione, invocare una riforma e chiedere […] ” tra l'altro che le fosse concesso almeno “il diritto elettorale” se non anche la possibilità di essere eletta<ref>{{cita web|url=http://www.intratext.com/IXT/ITA3001/_P1.HTM|titolo=La donna e i suoi rapporti sociali, di Anna Maria Mozzoni|accesso=26 gennaio 2013}}</ref>. Secondo la <u>scienza</u> del tempo uomini e donne erano diversi biologicamente: la <u>donna</u> veniva <u>considerata instabile a causa dei suoi cicli quindi il suo senso di giustizia veniva compromesso e non era considerato affidabile</u>. La Mozzoni rifiutava questa convinzione sostenendo che dare voce agli interessi femminili fosse l'unica maniera per fare dell'Italia una società moderna.<ref name="TeoSuf" /><br /> Nel 1877 dopo il secondo fallimento di Morelli, la Mozzoni intervenne nel dibattito con una petizione (la prima nel suo genere) per il voto politico alle donne nella quale affermava: <blockquote>“Ora questa massa di cittadini che ha diritti e doveri, bisogni ed interessi, censo e capacità, non ha presso il corpo legislativo nessuna legale rappresentanza, sicché l'eco della sua vita non vi penetra che di straforo e vi è ascoltata a malapena.[...] trovandoci noi [donne], perciò, al giorno d'oggi, alla eguale portata intellettuale di una quantità di elettori [uomini] che il legislatore dichiara capaci, stimiamo che nulla costi acché venga a noi pure accordato il voto politico, senza del quale i nostri interessi non sono tutelati ed i nostri bisogni rimangono ignoti.”.<ref>{{cita web|url=http://www.intratext.com/IXT/ITA3001/_P6.HTM|titolo=Petizione per il voto politico alle donne, di Anna Maria Mozzoni|accesso=26 gennaio 2013}}</ref> </blockquote>La petizione della Mozzoni aprì nel 1877 un dibattito alla Camera che venne ripreso nel 1883 e si concluse in un nulla di fatto.<ref name="ItaLib" /><br /> In una conferenza a Bologna del 1890 Anna Maria Mozzoni espresse nuovamente tutto il suo dissenso verso uno stato che esercitava la giustizia, ma in modo sbilanciato in quanto sosteneva i diritti solo di una parte di esso cioè quella maschile. Inoltre affermò di essere stufa delle “accuse di codardia, d'inferiorità intellettuale, di mancanza di senso giuridico, di incapacità in una grande quantità di cose”. <u>La Mozzoni continuò poi dicendo: "siamo rientrate in noi stesse, abbiamo esaminato i nostri pregi ed i nostri difetti e ci siamo permesse di esaminarvi anche voi, spogli del diritto divino, che è scaduto affatto nella nostra opinione ed abbiamo trovato che la nostra ragione procede al par della vostra con la forma sillogistica; che i problemi che travagliano la vostra coscienza, sono gli stessi che turbano la nostra; che la libertà che voi amate, l'amiamo anche noi; che i mezzi coi quali voi conquistaste la vostra, furono indicati dagli stessi principii che debbono rivendicare la nostra".<ref>{{cita web|url=http://www.intratext.com/IXT/ITA3001/__PC.HTM|titolo=La donna nella famiglia, nella città e nello stato|accesso=29 gennaio 2013}}</ref></u> <u>L'impegno della Mozzoni</u> non è stato sufficiente a modificare la condizione del diritto di voto alle donne sul piano legislativo, ma ha dato un <u>importante contributo</u><ref name="TeoSuf" /> a sostegno dei movimenti in materia di suffragio femminile che caratterizzeranno il Novecento<ref name="Nove">{{cita libro| cognome=Galeotti| nome=Giulia | titolo=Storia del voto alle donne in Italia| editore=Biblink| città=Roma | anno= 2006}}</ref>. Questi movimenti che in molti paesi dell'Europa si poterono classificare come attività dei gruppi di [[suffragette]], '''<u>in Italia assunsero caratteri meno irruenti perciò le suffragette italiane rimasero un fenomeno di poco conto.</u>'''<ref name="VotDon" /> ===Dal 1900=== Dopo gli insuccessi di Morelli, nel 1903 un nuovo disegno di legge che prevedeva l'estensione del diritto di voto anche alle donne fu firmato dal repubblicano [[Roberto Mirabelli]] e discusso nel giugno 1904 e nel dicembre 1905.<ref name=Nove />. Mirabelli era profondamente convinto che fosse necessaria una riforma del sistema elettorale e fece del suffragio universale uno dei punti cardine del suo programma politico.<ref>{{cita web|url=http://www.treccani.it/enciclopedia/roberto-mirabelli_(Dizionario-Biografico)/|titolo=Dizionario biografico degli italiani Treccani: Roberto Mirabelli|accesso=26 gennaio 2013}}</ref> Nel Novecento <u>i disegni di legge riguardanti l'estensione del suffragio iniziarono a essere considerati maggiormente rispetto</u> a quanto era stato fatto nel secolo precedente '''<u>perché erano entrati in Parlamento gruppi di cattolici e di socialisti</u>''' i quali da sempre trattavano con riguardo le questioni più strettamente legate al popolo. Nel '''1906''' viene proposta dal Comitato Nazionale pro-suffragio Femminile una nuova petizione scritta da Anna Maria <u>Mozzoni</u> e firmata da diverse celebri italiane (tra le quali [[Maria Montessori]]).<ref name="Nove" /> Le donne sempre più consapevoli che non poter votare equivaleva a non esistere<ref name="ItaLib" /> '''approfittarono del silenzio legislativo per chiedere l'iscrizione alle liste elettorali e alcune domande vennero accolte''' suscitando critiche. Il silenzio legislativo era apparentemente dovuto a una svista del legislatore, ma <u>nessuna coscienza pubblica avrebbe consentito alle donne di votare</u>. Nel 1908 il Comitato Nazionale pro-suffragio organizzò un convegno. Tra i temi più discussi figurarono * <u>l'assurdità di concedere il voto agli uomini che non sapessero leggere e scrivere, ma non alle donne che avessero studiato</u> (a cura della presidentessa del Comitato [[Giacinta Martini Marescotti]]), * il vantaggio che aveva portato la concessione del suffragio femminile nei paesi che l'avevano adottato (di [[Teresa Labriola]]).<ref name="ItaLib" /> * Dal 1908 la socialista [[Anna Kuliscioff]] si schierò a favore dell'estensione del suffragio e nel 1910 si oppose suo marito [[Filippo Turati]] (anche capo del [[Partito Socialista Italiano|partito]] di entrambi): egli scrisse che era favorevole all'estensione del diritto di voto alle donne, ma era convinto che non fosse ancora giunto il momento di concederlo. La Kuliscioff rispose che vi era poca ragione nel rimandare la concessione del diritto di voto alle donne per convenienza politica. Le socialiste avendo l'appoggio del loro partito presero sempre meno parte alle associazioni femminili pro-voto delle quali costituivano l'anima, decretandone una scarsa attività che fu risentita dalla Legge Giolitti del 1912.<ref name="ItaLib" /> * Nel 1912 infatti, nel pieno di una discussione sul suffragio maschile, Turati annunciò che auspicava una legge elettorale nella quale fossero inclusi “tutti gli italiani, indipendentemente da differenze di carattere esclusivamente anatomico e fisiologico”. Da questo dibattito sulla riforma elettorale si ottenne il [[suffragio universale]] maschile dei cittadini maggiorenni, che fossero in grado di leggere e scrivere o che avessero preso parte al servizio militare; inoltre, a partire dal trentesimo compleanno, il voto veniva esteso anche agli analfabeti. * Delle donne non si faceva neanche menzione<ref name="Nove" /> e questo decretò a partire dal 1913 un incremento dei Comitati pro-voto e delle manifestazioni. * Tuttavia lo scoppio della [[prima guerra mondiale]] mise nuovamente a tacere i movimenti a favore del suffragio.<ref name="ItaLib" /><br /> * Con l'avvento della [[Grande Guerra]] l'assetto sociale cambiò: <u>le donne dovettero sostituire gli uomini che erano partiti per il fronte e così facendo presero parte a lavori che la tradizione aveva sempre riservato al genere maschile.</u> Nel [[1919]] [[Don Luigi Sturzo]] (fondatore del [[Partito Popolare Italiano (1919)|Partito Popolare]]) <u>inseriva nel programma del suo partito l'estensione del diritto di voto alle donne</u>, tracciando un confine netto con la tradizione clericale e schierandosi quindi anche contro [[Papa Pio X]] che già nel 1905 affermava: “non elettrici, non deputatesse, perché è ancora troppa la confusione che fanno gli uomini in Parlamento. La donna non deve votare ma votarsi ad un'alta idealità di bene umano […]. Dio ci guardi dal femminismo politico.”.<br /> [[Image:Fasci_di_combattimento.jpg|thumb|Manifesto del programma di San Sepolcro nel quale figura il suffragio femminile]] Il partito di <u>Don Sturzo però non era l'unico</u> ad aver inserito nel suo programma il diritto di voto per le donne: anche nel manifesto dei [[Fasci di combattimento]], e nella [[Carta del Carnaro]] (con la quale Gabriele D'Annunzio governava Fiume) figurava questo punto.<br /> <u>Le donne, durante la guerra, avevano dato prova di riuscire a sostituire bene gli uomini</u> e il Governo, sentendosi obbligato a dimostrare loro un po' di gratitudine, il 9 marzo <u>'''1919''' promulgò la legge Sacchi con la quale si eliminava la predominanza dell'uomo nella famiglia</u> e fu approvato l'ordine del giorno Sichel che prevedeva '''l'ammissione delle donne al voto sia amministrativo sia politico'''. Fu approvato e divenne legge nello stesso anno. '''Sembrava che le donne avessero vinto''' la loro battaglia '''ma''' non fu così perché questa legge non arrivò mai in Senato a causa della '''chiusura anticipata della legislatura dovuta alla questione fiumana''': il che significava che tutte le leggi “in attesa di approvazione” decadevano.<ref name="Nove" /> ===Dal fascismo al secondo dopoguerra=== Come prevedeva il Programma di San Sepolcro dei Fasci di combattimento, il diritto di voto doveva essere esteso alle donne. Mussolini inizialmente sembrava intenzionato a concedere questo diritto “cominciando dal campo amministrativo”<ref>{{Cita libro|cognome=Mussolini|nome=Benito|curatore=E. e D. Susmel|titolo=Opera Omnia|città=Firenze|anno=1951-1980|volume=19|pagine=215}}</ref>. Tuttavia l'intenzione si tradusse poi in un nulla di fatto con la riforma podestarile del 1926 e la riforma elettorale del [[1928]]. Anni dopo l'Italia prese parte alla [[seconda guerra mondiale]] e, com'era già successo durante la Grande Guerra, le donne dovettero rimpiazzare gli uomini. Questa volta però i convulsi avvenimenti degli ultimi due anni di guerra implicarono [[Storia delle donne nella Resistenza italiana|il loro coinvolgimento nella Resistenza]]. In questo clima, su iniziativa del [[Partito comunista]], nel novembre 1943 vennero fondati a Milano i Gruppi di Difesa della Donna e per l'Assistenza ai Volontari della Libertà: un'organizzazione costituita da donne che si univano per manifestare contro la guerra, assistere famiglie in difficoltà, supportare i partigiani.<ref name="DecrBon">{{cita libro| cognome=Galeotti| nome=Giulia | titolo=Storia del voto alle donne in Italia| editore=Biblink| città=Roma | anno=2006 | capitolo=Il decreto Bonomi}}</ref> Nel luglio 1944 i Gruppi di Difesa furono riconosciuti dal Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia e nello stesso anno il giornale ''Noi Donne'' dava voce alle pubblicazioni ufficiali. Nel mese di agosto i partiti capeggiati da [[Alcide De Gasperi]] ([[Democrazia Cristiana]]) e [[Palmiro Togliatti]] ([[Partito Comunista Italiano|Partito Comunista]]) si dimostrarono favorevoli alla questione dell'estensione del suffragio anche alle donne: fu così che prese forma il decreto De Gasperi-Togliatti, meglio conosciuto come decreto [[Ivanoe Bonomi|Bonomi]] dal nome del [[Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia]], oltreché ad interim [[Ministri dell'Interno del Regno d'Italia|Ministro dell'Interno]], che ricoprì la carica dal giugno [[1944]] al giugno del [[1945]]. Nel 1944 le donne ebbero diritto al voto, se capofamiglia, nella [[Repubblica partigiana della Carnia]]. La situazione per nulla rara all'epoca dei fatti visto che i mariti erano impegnati in guerra o in attività partigiane.<ref>{{Cita web|url=http://www.centrostudilucianoraimondi.it/verso-il-voto-alle-donne/|titolo=}}</ref><ref>{{Cita web|url=http://repubblicadellacarnia1944.uniud.it/la-storia.html|titolo=}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://www.anpiudine.org/la-repubblica-partigiana-della-carnia-e-dell-alto-friuli/|titolo=}}</ref> Nel mese di settembre del 1944, sempre per iniziativa del Partito comunista, a Roma venne fondata l'[[Unione Donne Italiane]], nella quale vennero inseriti i Gruppi di Difesa della Donna: questa macro-organizzazione avrebbe dovuto rendere unitaria la campagna per il raggiungimento dei diritti politici. L'UDI era però di ideali più tendenti verso sinistra, fu per questa ragione che [[Maria Rimoldi]], presidentessa delle donne cattoliche, propose di staccarvisi e dar vita a una nuova organizzazione di ispirazione cristiana: nasceva il Centro Italiano Femminile. Nell'ottobre 1944 la Commissione per il voto alle donne dell'UDI e altre associazioni presentarono al governo Bonomi un documento nel quale parlavano dell'inevitabilità di concedere il suffragio universale e verso la fine del mese sorse il Comitato Pro Voto, volto a far conquistare il diritto di voto alle donne e fare in modo che esse potessero ottenere cariche importanti nelle amministrazioni pubbliche e negli enti morali.<br /> Nel mese di novembre del 1944 UDI, CIF e altre organizzazioni commissionarono a [[Laura Lombardo Radice]] la scrittura di un opuscolo intitolato “Le donne italiane hanno diritto al voto”.<br /> Successivamente le rappresentanti del Comitato Pro Voto consegnarono una petizione al Governo di Liberazione Nazionale nella quale chiedevano che il diritto di votare e di essere elette venisse esteso alle donne per le successive elezioni amministrative. Il 20 gennaio 1945 Togliatti scrisse una lettera a De Gasperi nella quale affermava che fosse necessario porre la questione del voto alle donne nell'imminente consiglio dei ministri. A tale lettera De Gasperi rispose<ref name="DecrBon" />: “ho fatto più rapidamente ancora di quanto mi chiedi. Ho telefonato a Bonomi, preannunciandogli che lunedì sera o martedì mattina tu e io faremo un passo presso di lui per pregarlo di presentare nella prossima seduta un progetto per l'inclusione del voto femminile nelle liste delle prossime elezioni amministrative. Facesse intanto preparare il testo del decreto. Mi ha risposto affermativamente.”.<ref>{{cita libro| cognome=Spriano|nome=P.| titolo=Le passioni di un decennio 1946-1956|città=Milano| anno= 1986|pagine=69}}</ref><br /> Il 30 gennaio 1945 nella riunione del consiglio dei ministri, come ultimo argomento, si discuteva del voto alle donne. La questione fu esaminata con poca attenzione ma la maggioranza dei partiti (a esclusione di liberali, azionisti e repubblicani) si dimostrò favorevole all'estensione. Il 1 febbraio 1945 venne emanato il decreto legislativo luogotenenziale n. 23 che conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni<ref name="DecrBon" /><ref>{{cita web|url=http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1945/02/20/045U0023/sg| titolo= DECRETO LEGISLATIVO LUOGOTENENZIALE 1 febbraio 1945, n. 23| accesso=21 marzo 2017}}</ref>. Le uniche donne ad essere escluse erano citate nell'articolo 354 del regolamento per l'esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza<ref>{{cita web|url=http://legislature.camera.it/altre_sezionism/1653/5217/4691/album.asp?sezione=4| titolo=Decreto Legislativo luogotenenziale n.23: conferisce il voto alle donne| accesso=29 gennaio 2013}}</ref>: si trattava delle prostitute schedate che lavoravano al di fuori delle case dove era loro concesso di esercitare la professione. Il 21 ottobre 1945 [[papa Pio XII]], in presenza delle presidenti del CIF, si dimostrò favorevole al suffragio femminile affermando: “ogni donna, dunque, senza eccezione, ha, intendete bene, il dovere, lo stretto dovere di coscienza, di non rimanere assente, di entrare in azione [..] per contenere le correnti che minacciano il focolare, per combattere le dottrine che ne scalzano le fondamenta, per preparare, organizzare e compiere la sua restaurazione”. Con queste parole Pio XII, adeguatosi ai tempi, aveva interrotto la tradizione clericale in merito alla questione. Il decreto Bonomi tuttavia non faceva menzione dell'[[elettorato passivo]]: cioè della possibilità, per le donne, di essere votate. L'11 febbraio 1945 l'UDI compose un telegramma per Bonomi nel quale si richiedeva di sancire anche l'eleggibilità delle donne. Dovette trascorrere poco più di un anno prima che esse venissero accontentate e potessero godere dell'eleggibilità che veniva conferita alle italiane di almeno 25 anni dal decreto n. 74 datato 10 marzo 1946: da questa data in poi le donne potevano considerarsi cittadine con pieni diritti.<br /> Le prime elezioni amministrative alle quali le donne furono chiamate a votare si svolsero a partire dal 10 marzo 1946 in 5 turni<ref name="VotDon">{{cita libro|cognome=Caciagli|nome=Mario|curatore=Marisa Ferrari Occhionero| titolo=Dal diritto di voto alla cittadinanza piena|editore=Casa editrice Università La Sapienza|città=Roma|anno=2008|pagine=53-61|capitolo=Il voto alle donne}}</ref>, mentre le prime elezioni politiche (svolte assieme al [[Referendum istituzionale del 1946|Referendum istituzionale monarchia-repubblica]]) si tennero il 2 giugno 1946.<ref name="DecrBon" /> La legge che consentiva elettorato attivo e passivo alle donne diede immediatamente i suoi frutti, infatti, già alle prime amministrative vi furono donne elette nelle amministrazioni locali, come [[Gigliola Valandro]] ([[Democrazia Cristiana]]) e [[Vittoria Marzolo Scimeni]] ([[Democrazia Cristiana|DC]]) a [[Padova]]<ref>[https://www.academia.edu/1331454/Le_donne_elette_nei_comuni_del_Veneto_dal_1946_ad_oggi._Analisi_di_una_rappresentanza_negata._Una_ricerca_in_fieri_Lorenza_Perini Lorenza Perini, ''Le donne elette nei comuni del Veneto dal 1946 ad oggi. Analisi di una rappresentanza negata. Una ricerca in fieri'']</ref> o [[Jolanda Baldassari]] (Democrazia Cristiana) e [[Liliana Vasumini Flamigni]] ([[Partito Comunista Italiano]]) a [[Forlì]]<ref>M. Viroli - G. Zelli, ''Personaggi di Forlì'', Il Ponte Vecchio, Cesena (Forlì) 2013, pp. 20-21.</ref>. Nello stesso anno furono anche elette le prime due donne sindaco: [[Ada Natali]] ([[Massa Fermana]]) e [[Ninetta Bartoli]] ([[Borutta]]). Alle elezioni del 2 giugno 1946 per l'elezione dei deputati dell'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]], le donne elette risulteranno 21;<ref>Su questo, si veda: [[Deputati dell'Assemblea Costituente (Italia)]].</ref> cinque di esse ([[Maria Federici]], [[Angela Gotelli]], [[Nilde Jotti]], [[Teresa Noce]], [[Lina Merlin]]), faranno parte della [[Commissione per la Costituzione]] incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione repubblicana. A conclusione di un travaglio durato oltre un secolo, la [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione italiana del 1948]] garantirà alle donne pari diritti e pari dignità sociale in ogni campo (articolo tre). In quel clima di soddisfazione la [[Acacia dealbata|mimosa]] venne associata per la prima volta ai festeggiamenti della Giornata internazionale della donna per merito di [[Teresa Mattei]].<ref name=DecrBon />, [[Teresa Noce]] e [[Rita Montagnana]], moglie di Palmiro Togliatti. ==Curiosità== {{curiosità}} * Il 10 marzo 1925, quando alla Camera si discuteva dell'estensione del diritto di voto, il deputato [[Giacomo Acerbo]]<ref>{{cita web|url=http://www.treccani.it/enciclopedia/giacomo-acerbo_(Dizionario-Biografico)/|titolo=Dizionario biografico degli italiani Treccani: Giacomo Acerbo| accesso=29 gennaio 2013}}</ref> leggendo una relazione sui principali avvenimenti che avevano caratterizzato la storia del diritto di voto alle donne, non dimenticò di citare la petizione del 1906 ma affermò che fosse stata scritta “dal Mozzoni”: attribuendo così sesso maschile alla maggiore emancipazionista italiana.<ref name=Nove /> *<u>Anche il [[Vaticano]] sostenne il diritto di voto alle donne, il 21 ottobre 1945 [[papa Pio XII]] disse: “''Ogni donna, dunque, senza eccezione, ha, intendete bene, il dovere, lo stretto dovere di coscienza, di non rimanere assente, di entrare in azione per contenere le correnti che minacciano il focolare, per combattere le dottrine che ne scalzano le fondamenta, per preparare, organizzare e compiere la sua restaurazione''“.<ref>https://www.vesuviolive.it/cultura-napoletana/storia/322885-30-gennaio-1945-voto-donne/</ref></u> ==Note== <references/> ==Bibliografia== {{vedi anche|Bibliografia sul suffragio femminile in Italia}} * {{cita testo|url=https://www.ilpost.it/2016/06/22/donne-1946-voto-maturita-2016/|titolo=Le donne del 1946 e il suffragio universale in Italia|periodico=.ilpost.it|data=22 giugno 2016|accesso=26 aprile 19}} * {{cita libro| Anna | Rossi-Doria | Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia | 1996 | Giunti Editore| Firenze}} ==Collegamenti esterni== * https://www.vesuviolive.it/cultura-napoletana/storia/322885-30-gennaio-1945-voto-donne/ [[Categoria:Femminismo]] [[Categoria:Storia]]
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