Sociability di Francesco Oggiano

Da Tematiche di genere.
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  • dilagano conformismo, fake news e “fuck news” (quelle che ci fanno imprecare di indignazione)? Perché la rabbia sembra essere diventata lo stato d’animo prevalente online? Esiste davvero la “cancel culture”, e quanta vivacità intellettuale ci stiamo perdendo, per paura che ci prendano di mira per una frase postata su Facebook e mal interpretata? Come sono nate campagne global diffuse sui social e poi divenute movimenti quali il Black Lives Matter e il #MeToo? Perché le star e gli influencer stanno diventando i nuovi punti di riferimento anche su temi sociali, politici e ambientali? In che modo l’attivismo digitale sta cambiando le imprese e la politica?
  • SociAbility risponde a queste e molte altre domande, preparandoci al bivio che abbiamo davanti: saremo chiamati a scegliere tra la semplificazione e la complessità, l’indignazione fine a se stessa e le idee, i meri simboli e l’azione, l’illusione della perfezione e l’umanità, il narcisismo e la curiosità. E da queste scelte dipendono in gran parte il futuro dell’informazione, della democrazia e della vita sociale.
  • la paura di una censura dal “basso”. È la tentazione di scrivere (o non scrivere) esclusivamente per compiacere il pubblico, per evitare la sua indignazione o conquistare la sua condivisione. È quella tensione che ogni giorno ci spinge a pubblicare (o autocensurare) contenuti sul nostro profilo all’esclusivo scopo di ottenere like o evitare scivoloni, nonostante in cuor nostro fossimo dubbiosi sulla reale validità e onestà intellettuale di quel contenuto. Magari perché vogliamo aggiungere la nostra battutina, dare il nostro piccolo contributo o peggio silenziare la nostra opinione a proposito di una polemica da 24 ore o di una persona in quel momento sotto pestaggio social; per sentirci parte di un gruppo, evitare di essere linciati, instaurare nuove relazioni, consolidarne di vecchie.
  • carriere e vite vengano messe in discussione sulla base di post disallineati, battaglie ritenute indegne o frasi fraintese. Tanto più perché penso di aver contribuito io stesso a quel clima, prestandomi in tanti anni a scrivere o cavalcare quelle che mi piace chiamare “fuck news”: sono quelle notizie apparentemente perfette che ci fanno esclamare «c...» e che fanno salire l’indignazione degli utenti. Che, a causa di quella ricerca di consenso e indignazione, a volte ricondividiamo e amplifichiamo senza alcun approfondimento e verifica, facendo crollare il contesto e ogni forma di complessità. Troverete parecchi esempi: la newyorchese Amy Cooper che il giorno della morte di George Floyd subisce un linciaggio mediatico per un video in cui avrebbe finto di essere minacciata da un afroamericano (e che però fu veramente minacciata da un afroamericano); la fotografa Letizia Battaglia che si vede ritirare i suoi scatti per una campagna pubblicitaria perché, insieme alle auto Lamborghini, ritraggono delle bambine (e che però per una vita ha messo al centro della sua ricerca proprio le bambine); la giornalista Barbara Palombelli accusata di maschilismo perché si chiede se gli uomini violenti abbiano subito «un comportamento aggressivo dall’altra parte» (e che però stava introducendo il caso giudiziario di un uomo picchiato dalla moglie); la manager Justine Sacco licenziata e linciata in diretta mondiale per un tweet sulla presunta immunità dei bianchi all’Aids (una stupida battuta che nessuno aveva capito). Sono storie semplificate, utili alla nostra indignazione e al nostro posizionamento, valuta corrente dei social. È come se in nome di essi avessimo riportato in auge tre elementi storici che parevano ormai dimenticati: il capro espiatorio (un ariete che nell’epoca antica, nel rito ebraico, veniva caricato di tutti i peccati delle comunità e cacciato nel deserto per purificare simbolicamente la stessa comunità), il processo sommario (quello senza diritto alla difesa) e la gogna pubblica (quella tavola di legno in cui nel Medioevo il condannato infilava la testa e le mani, per essere poi aggredito dalla folla con lanci di verdure, sterco e pietre). Secoli dopo, ci sentiamo privi di dubbi, sulla nostra irreprensibilità come sulla colpevolezza del linciato del giorno. Esattamente come gli ebrei col capro, attribuiamo una crescita del nostro valore sociale alla segnalazione internettiana di altrui vizi e nostre virtù. Scopriamo che la nostra identità di attivisti virtuosi è monetizzabile. E ci adeguiamo di conseguenza: offrire la nostra solidarietà identitaria, condannare qualcuno con più forza, segnalare il nostro presunto impegno, ferite e indignazioni è il modo più efficace per posizionarci nei confronti di un pubblico o di un brand. E così, alcuni sono diventati “attivisti” senza attività, “impegnati” senza impegno, “coraggiosi” senza rischio. Pronti a difendere la libertà di parola purché uguale alla nostra. Ansiosi di includere persone diverse per colore della pelle, orientamento sessuale, identità di genere e tante altre caratteristiche identitarie, ma mai diverse per pensiero. Inclusivi sì, ma con chi è già dentro. Alla rivoluzione si sono legati i brand e i politici. I primi hanno stabilito nuovi patti di relazione con consumatori coscienziosi, ma pure ridefinito la loro identità: utilizzando, più che la loro immagine per combattere battaglie, le battaglie per definire la propria immagine. Partecipando, più che a un movimento, a un momento per operare la propria comunicazione. E non esitando a contraddire quei principi così tanto sbandierati (come la libertà di parola) in nome del profitto. I secondi – almeno i più abili – si sono adeguati alla velocità del feed, adottando quella che Nicholas Carr chiama “personalità Snapchat”, un dettaglio di intimità e una provocazione alla volta. E in mezzo noi. Quelli che tra un lavoro, un amore e un drink stanno sui social. I primi collaudatori che definiranno per gli anni a venire le dinamiche all’interno delle piattaforme sociali, che queste si concretizzino in brandelli di testo o in connessioni neuronali del metaverso. I bar del futuro. Noi che ora siamo a un bivio. Personale, intimo e politico del nostro stare sui social. Da una parte possiamo limitarci all’indignazione fine a se stessa, all’autopromozione finalizzata al conto corrente, alla rabbia finalizzata al valore sociale. Possiamo uccidere ogni tipo di complessità, sminuire ogni opinione smarcata dalla maggioranza, chiedere di cancellare opere e persone, eliminare quello strato di complessità che ci rende umani e ci permette di migliorare. Per paura di finire linciati, per conformismo da pigrizia intellettuale, convenienza di guadagnare follower. Dall’altra parte, possiamo sfruttare la bellezza commovente della rete. Possiamo cambiare pezzi di mondo grazie all’ubiquità che permette di riunirci e organizzarci abbattendo quasi tutti i limiti geografici, anagrafici e d’istruzione. Possiamo avviare imprese – commerciali, giornalistiche, politiche, solidali, satiriche – senza più il sostegno di un apparato formale o di una posizione privilegiata. Possiamo abbracciare la complessità, sforzarci di capire un pensiero che ritenevano indifendibile, empatizzare con gli stronzi (empatizzare solo con quelli come noi non significa empatizzare ma fare clan), consultare più fonti, sviluppare un senso critico, onorare le nostre fortune e rendere la nostra vita social più avventurosa. Come dicono quelli fighi, abbiamo una sfida ma anche una splendida opportunità. Possiamo scegliere tra le indignazioni e le idee, tra i simboli e le azioni, tra la perfezione e l’umanità, tra la semplificazione e la complessità. Se sceglieremo le prime opzioni, finiremo per trasformare i posti nati per raccontare i nostri segreti in posti che finiscono per nascondere noi stessi; li ridurremo ad accozzaglie di visioni di vittime e oppressori, a scontri di caratteristiche identitarie e simboli; a milioni di singole illusioni (le nostre) di conformismo scambiato per bontà, di codardia spacciata per virtù. Riusciremo a creare sui social quello che nessuna dittatura, mai, è riuscita a creare: un posto in cui il soffocamento della libertà di opinione è talmente diffuso da diventare onnipresente e impalpabile, quindi maledettamente efficace. Se sceglieremo le seconde opzioni, invece, trasformeremo i social – e la percezione di noi stessi – in un accrocchio di difetti e imperfezioni: non più impeccabile, ma vivo. Rinunceremo a essere schiavi dell’indignazione e del narcisismo, coltivando al loro posto curiosità e a volte sana rabbia, quella che ci permette di scoprire e magari cambiare minuscoli pezzetti di mondo. In questo libro provo a dare qualche strumento per prepararci a questo bivio: per capire ancora meglio come funzionano i social, e soprattutto come funzioniamo noi dentro i social, i bar del futuro. Per farlo, devo partire dal principio: da una lezione alla scuola di giornalismo, e dal momento in cui ricominciammo a raccontare le storie sui giornali online usando come driver la vostra indignazione: dall’esplosione delle “fuck news”.


Oggiano spiega come si è arrivati alla problematica legata al sensazionalismo. Nella prima parte del libro ci racconta della viralità delle notizie, come ce ne siamo resi conto e come ci si è resi conto che era possibile sfruttarla creando il clickbait, per poi passare dalle fake news alle fuck news, come le chiama Oggiano: Viralità, Clickbait e FuckNews


Come Instagram è diventato la finestra sul mondo della Gen Z

Fino al 2019 Instagram a metà anni 10 era molto patinato. Attorno al 2018, la patina inizia a scrostarsi. Il social attraversa la sua fase punk: è alternativo. A inizio 2020, la contaminazione oltre che nella forma diventa anche tematica.

Nel 2019 ha permesso di condividere i post di altre persone all’interno di una propria storia. Da quel momento un post poteva essere ricondiviso da migliaia di utenti e diventare virale.

Il lockdown ha fatto il resto.

Vox Aymar Jean Christian, professore di Comunicazione alla Northwestern University spiega che: «La gente ha pensato: “È tutto chiuso, meglio postare qualcosa di politica”».

Un episodio emblematico: la morte di George Floyd

Paura di scontentare il pubblico, conformismo e rischi

Abbandono dei principi giornalistici, nascita delle Fuck News ed episodi vari

Capro espiatorio, autonarrazioni senza contraddittorio e gogna pubblica

Colpevoli fino a prova contraria

Cancel culture e illiberali di sinistra

Dalla cancel alla compassion culture

Il potere dei social nel mondo reale: Genova 2001, rivolte arabe, occupy wall strett e Black Lives Matter

#MeToo, l’hashtag è in prima persona

L’hashtag, come per #BlackLivesMatter, era nato diversi anni prima. Cerca su Twitter donne che hanno usato nei loro tweet di testimonianza sia l’hashtag #MeToo che l’hashtag #JamesToback. Forma con loro un gruppo Twitter privato. Nei giorni dopo l’articolo, altre trecento donne accusano Toback.

Un’infrastruttura digitale e universale tramite cui donne di tutto il mondo possono raccontare le presunte molestie ricevute. «L’aspetto più incredibile del #MeToo è stata la sensazione di potere che ha dato a chi vi ha preso parte» spiegano Heimans e Timms in New Power. «Tante donne che per anni si erano sentite impotenti rispetto ai propri molestatori o temevano ritorsioni trovavano improvvisamente il coraggio di denunciarli. Ogni storia individuale veniva rafforzata dall’impeto di una corrente molto più vasta.

Ogni atto di coraggio individuale veniva reso collettivo». Credo che, ancora più di #Occupy, sia stato il #MeToo a cambiare il nostro modo di fare l’attivismo sui social. A partire dall’hashtag. #MeToo ha qualcosa di diverso.

Dentro c’è quella che la giornalista canadese Jia Tolentino, autrice di Trick Mirror, ha chiamato «l’Io di internet». Ci incoraggiano a esprimere solidarietà mettendo in mezzo la nostra identità. Identità di uomini, di neri, di donne, di grassi. « Può far sembrare che sostenere qualcuno significhi condividere letteralmente la sua esperienza, che la solidarietà sia una questione di identità piuttosto che di politica e di morale, e che sia meglio stabilita in un punto di massima vulnerabilità reciproca nella vita di tutti i giorni».

Il modo più efficace per esprimere solidarietà è dunque quello di "mettersi in mezzo", raccontare le esperienze, le ferite personali che ci accomunano ad altri. L’hashtag #MeToo, il suo design e i tweet che ha originato, per Jia Tolentino faceva sembrare che il punto cruciale del femminismo non fossero proposte e rivendicazioni concrete e precise, ma «un’articolazione della vulnerabilità stessa». L’hashtag ha reso indistinguibile la solidarietà femminista e la vulnerabilità condivisa, ha fatto intrecciare indissolubilmente solidarietà, visibilità, identità e autopromozione, in una sorta di corporativismo della sofferenza. «Come se fossimo incapaci di costruire solidarietà attorno a qualsiasi altra cosa.

Ciò che abbiamo in comune è ovviamente essenziale, ma sono le differenze tra le storie delle donne – i fattori che permettono ad alcune di sopravvivere e costringono altre a soccombere – a illuminare i vettori che portano a un mondo migliore. » .

Star schierate: attivismo o attivismo performativo

Whashing e Brand activism

I politici come animali da social

La fase ribelle di TikTok

TikTok nato nel 2018. Nei suoi primi anni, quando ancora veniva usato dai giovanissimi, l’aggettivo più usato per descrivere i suoi video era cringe (“imbarazzante”). Ed è stato il suo punto di forza. [...] a differenza che su Instagram o Facebook non si sentono giudicati.

  • Ha cercato di imparare dalle disgrazie altrui e di introdurre strumenti sempre più sofisticati per promuovere contenuti positivi.
  • la parziale rinuncia alla promozione di commenti e interazioni. Il sistema di raccomandazione di TikTok suggerisce continuamente i video che pensa ti piaceranno, non quelli dei tuoi amici o delle persone a cui sei iscritto.
  • Allarga la gamma dei suggerimenti per promuovere la viralità dei nuovi contenuti, incoraggiare nuovi creatori a produrre video e stimolare ancora di più l'esperienza dell'utente. D'altra parte, riduce le interazioni.

Conclusione

E insomma è nelle nostre mani: il futuro dei social, dell’attivismo, dei brand, della politica, ma soprattutto il futuro del nostro essere umani. Meno virtuosi e più fallibili, meno suscettibili e più fattuali. Vi lascio con qualche consiglio che personalmente cerco di darmi – senza sempre rispettarlo – ogni volta che sono in un bar o su un social. Ogni volta che leggo una polemica e sento l’indignazione salire e sento di voler fare qualcosa e l’unica cosa che sto per fare è la cosa più facile per chi non vuole fare veramente qualcosa. A voi.

1. Recupera il “contesto”

Ogni frase, ogni screenshot, ogni estratto video da cui nasce la tua indignazione è sempre parte di qualcosa più grande. Recuperane il prima e il dopo, prima di usarlo per giudicare.

2. Consulta almeno tre fonti

Stampati sulla cover del cellulare la frase: «Se hai una fonte, è lei che controlla te. Se ne hai dieci, sei tu che controlli loro».

3. Quando ti sembra troppo bella per essere vera, non è vera

È sempre, sempre, più complessa. E magari pure più bella.

4. Sentirsi offesi non significa avere ragione

Non automaticamente almeno. Sentirsi offesi per le frasi o opinioni di un altro – purché formulate con toni pacati e rispettosi – è uno dei rischi previsti all’interno di una democrazia.

5. Ascolta la versione dell’accusato

E fallo con la stessa dignità, rispetto e apertura con cui hai ascoltato quella dell’“accusatore”.

6. Riguarda i tuoi post degli anni passati

Giusto per capire l’aberrante quantità di cose dette o fatte di cui oggi ti vergogneresti. E pensaci un po’ di più prima di linciare qualcuno per il suo passato.

7. Diffida dei perfetti

Le persone che veramente cambiano il mondo, e quelle che storicamente l’hanno cambiato, non sono mai quelle perfette: sono, probabilmente, avide, narcise, dispettose o volgari. Non sono né patinate né cattive: sono vive.

8. Sostituisci la cancel culture con la compassion culture

Chiedere la cancellazione di qualcuno è l’atto che più di tutti preclude la possibilità di evoluzione, a lui come a te. Prova per una volta a «soffrire insieme» a lui.

9. Coltiva il dubbio

Specie quando non ce l’hai.

10. Trova il coraggio

Di individuare i veri bulli, di condividere il tuo pensiero dissonante, di far valere i tuoi principi. Provaci una volta, solo per vedere l’effetto che fa.

Bene, ho finito, basta. Personalmente sono convinto che seguire questi consigli potrebbe renderci la permanenza sui social ancora più divertente e avventurosa, farci scoprire mondi finora inesplorati e renderci ancora più positivi nei confronti della vita. Scopriremo che gli stronzi non sono quasi mai solo stronzi, i perfetti non sono mai solo perfetti e dietro ognuno di loro, e di noi, c’è sempre una storia che merita di essere raccontata. Sui social, ma pure al bar, e comunque nella vita.

Fonti

J. ABRAMSON, Merchants of truth, Simon & Schuster, New York 2019 (tr. it. Mercanti di verità. Il business delle notizie e la grande guerra dell’informazione, Sellerio Editore, Palermo 2021)

A. AGOSTINI, Giornalismi: media e giornalisti in Italia, il Mulino, Bologna 2012

D. DEFOE, Inno alla gogna, Liberilibri, Macerata 1993

J. RONSON, I giustizieri della rete, Codice Edizioni, Torino 2015

I. SILONE, Uscita di sicurezza, Mondadori, Milano 2018

G. SONCINI, L’era della suscettibilità, Marsilio, Venezia 2021

J. TOLENTINO, Trick Mirror, Penguin Random House, New York 2019 (tr. it. Trick Mirror: Le illusioni in cui crediamo e quelle che ci raccontiamo, NR edizioni, Pescara 2020)

“Quando la gogna sui social media ci sfugge di mano”

www.ted.com/talks/jon_ronson_when_online_shaming_goes_too_far/transcript?language=it

3. Dalla damnatio memoriae alla cancel culture

A. DERSHOWITZ, Cancel Culture, Simon & Schuster, New York 2015

J. HEIMANS, H. TIMMS, New Power: L’arte del potere nel XXI secolo, Einaudi, Torino 2020

D. RUBIN, Don’t burn this book, Little, Brown Book Group, London 2020

WILKERSON, Caste. The origins of our discontents, Random House, New York 2020

“Bello il dibattito sulla cancel culture, ma in Italia è solo l’ultimo rifugio dei prepotenti”

www.linkiesta.it/2020/07/harper-cultura-italia

“Cancel culture, dalle origini alla propaganda dell’estrema destra in USAalle farneticazioni in Italia”

www.valigiablu.it/cancel-culture-origini-italia/

“Canceling cancel culture with compassion”

www.youtube.com/watch?v=pbihoXj0QwM&t=330s&ab_channel=tedxTalks

“Let’s Replace Cancel Culture with Accountability”

www.youtube.com/watch?v=3vCKwoee27c&t=783s&ab_channel=tedxTalks

“Le ultime da Babele. La cancel culture e altre cose che non esistono, tranne quando esistono”

www.linkiesta.it/2021/09/cancel-culture-non-esiste-dibattito-social-network-cancellazioni/

“Ma in Italia esiste la ‘cancel’ culture’?”

www.rivistastudio.com/cancel-culture-cosa-e/

“The Long and Tortured History of Cancel Culture”

www.nytimes.com/2020/12/03/t-magazine/cancel-culture-history.html

“The new puritans”, in «The Atlantic», 2 settembre 2021

www.theatlantic.com/magazine/archive/2021/10/new-puritans-mob-justice-canceled/619818/

“We got here because of cowardice. We get out with courage”

www.commentary.org/articles/bari-weiss/resist-woke-revolution/

“Why we can’t stop fighting about cancel culture”

www.vox.com/culture/2019/12/30/20879720/what-is-cancel-culture-explained-history-debate

www.theatlantic.com/magazine/archive/2021/10/new-puritans-mob-justice-canceled/619818/

BETTY HART, TEDxCherryCreekWomen

SONYA RENEE TAYLOR, TEDxAuckland

Per il discorso di Barack Obama al campus: https://www.youtube.com/watch?v=qaHLd8de6nM&ab_channel=GuardianNews

4. Da Genova 2001 al Black Lives Matter

B. SHAPIRO, Bullies, Threshold Editions, New York 2013

J. TOLENTINO, Trick Mirror, cit.

Z. TÜFEKÇI, Twitter and tear gas, Tale University Press, New Haven 2017

www.twitterandteargas.org

“How Occupy Wall Street spawned a decade of protest, politics, and social media”

www.fastcompany.com/90675586/occupy-wall-street-tenth-anniversary

“Il ruolo dei social network nelle rivolte arabe”

www.parlamento.it/application/xmanager/projects/parlamento/file/repository/affariinternazionali/osservatorio/approfondimenti/PI0040App.pdf

“Made in Hong Kong: così si fa la protesta più tecnologica di sempre”

www.rollingstone.it/politica/made-in-hong-kong-cosi-si-fa-la-protesta-piu-tecnologica-di-sempre/473931/

“Meet the woman who coined #BlackLivesMatter”

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“The woman who Began the #MeToo movement was a Philly activist”

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“What Occupy Wall Street organizers would do differently”

www.thenation.com/article/activism/occupy-bernie-99-percent/

“Why social media makes us so angry, and what you can do about it”

www.sciencefocus.com/the-human-body/why-social-media-makes-us-so-angry-and-what-you-can-do-about-it/

5. Da Nino Manfredi a Fedez, l’attivismo delle celeb

V. RAMASWAMY, Woke inc., Center Street, New York 2021

J. TOLENTINO, Trick Mirror, cit.

“5 domande per capire se fidarti di un influencer”

www.ted.com/talks/francesco_oggiano_5_domande_per_capire_se_fidarti_di_un_influencer

“Environmental Activism in the Digital Age, Maëlle Jacqmarcq”

fluxirr.mcgill.ca/article/view/52

“Lo slacktivism è l’unica forma di attivismo social?”

www.siamomine.com/lo-slacktivism-e-lunica-forma-di-attivismo-social/

“Quando l’attivismo digitale diventa performativo?”

www.siamomine.com/attivismo-performativo-social-network/

6. Dalla Croce Rossa al brand activism

J. HEIMANS, H. TIMMS, New Power, cit.

P. KOTLER, C. SARKAR, Brand activism: from purpose to action, IDEA BITE PRESS, s.l. 2021 (tr. it. Brand activism: dal purpose all’azione, Hoepli, Milano 2021)

B. LOMBORG, False Alarm: How Climate Change Panic Costs Us Trillions, Hurts the Poor, and Fails to Fix the Planet, Basic Books, New York 2020

S. MAINWARING, We first: how brands and consumers use social media to build a better world, Palgrave Macmillan, New York 2011

V. RAMASWAMY, Woke, Inc., cit.

Z. TÜFEKÇI, Twitter and tear gas, cit.

www.twitterandteargas.org

“Conscious consumerism is a lie. Here’s a better way to help save the world”

qz.com/920561/conscious-consumerism-is-a-lie-heres-a-better-way-to-help-save-the-world/

“Cos’è la solastalgia, definizione ed effetti dell’ansia da cambiamenti climatici”

www.lifegate.it/solastalgia-definizione-glenn-albrecht

“Edelman Trust Barometer 2021”

www.edelman.com/sites/g/files/aatuss191/files/2021-03/2021%20Edelman%20Trust%20Barometer.pdf

“È stato anche l’anno del ‘doomscrolling’”

www.ilpost.it/2020/12/30/doomscrolling/

“Is environmentalism just for rich people?”

www.nytimes.com/2018/12/14/opinion/sunday/yellow-vest-protests-climate.html

“Quando l’attivismo digitale diventa performativo?”

www.siamomine.com/attivismo-performativo-social-network/

“The False Feminism of ‘Fearless Girl’”

https://www.nytimes.com/2017/03/16/nyregion/fearless-girl-statue-manhattan.html

“The rise of a new smartphone giant: China’s Xiaomi”

www.nytimes.com/2014/12/15/technology/the-rise-of-a-new-smartphone-giant-chinas-xiaomi.html

“The teenagers at the end of the world”

www.nytimes.com/interactive/2020/07/21/magazine/teenage-activist-climate-change.html

Per il monologo di Bill Maher: https://www.youtube.com/watch?v=RYSLyvbR_1w&ab_channel=RealTimewithBillMaher

7. Da Einaudi ai politici “Snapchat”

“Come i social hanno cambiato volto alla politica (e ai politici)”

www.ilsole24ore.com/art/come-social-hanno-cambiato-volto-politica-e-politici-ABNXVvpB

“How Social Media Is Ruining Politics”

www.politico.com/magazine/story/2015/09/2016-election-social-media-ruining-politics-213104/

“Sei mesi di Trump al potere, ecco come si è scatenato su Twitter”

www.wired.it/attualita/politica/2017/07/21/sei-mesi-trump-twitter/