Siamo davvero meglio dei Social Justice Warrior?

Da Tematiche di genere.
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SIAMO DAVVERO MEGLIO DEGLI SJW?

Quando qualche anno fa ho guardato questo video per la prima volta, ricordo che ero rimasta colpita dall’onestà intellettuale e dall’apertura mentale che trasparivano dal discorso di Cassie Jaye (l'autrice del documentario The Red Pill).

Parlava di come il suo bias di conferma e la sua fretta di ribattere alle argomentazioni altrui per dimostrare di avere ragione avevano ostacolato la sua comprensione di ciò che gli MRA da lei intervistati stavano effettivamente dicendo.

Ha iniziato a cogliere il senso delle loro parole solo mentre le trascriveva, dovendo prestare attenzione per riscriverle lei stessa. Così ha iniziato a mettere in discussione le sue convinzioni consolidate, a porsi domande per metterle alla prova, a mettersi nei panni dei suoi avversari ideologici e politici, fino a concludere che forse i suoi “nemici” potevano non essere i mostri che si era sempre immaginata. Per approfondire le dinamiche psicologiche sottostanti cerca deumanizzazione[1], le tecniche di neutralizzazione di David Matza, Disimpegno Morale di Albert Bandura[2],

Poi proseguiva a raccontare di com’è stata ostracizzata dalla comunità femminista anglofona a causa di questo suo atteggiamento di apertura nei confronti del “nemico”. Infine afferma:

“Non è un segreto che io adesso non mi definisca più femminista, ma devo chiarire che non sono antifemminista e non sono una MRA. […] Tuttavia, credo che se vogliamo occuparci onestamente di parità di genere dobbiamo invitare tutte le voci a tavolo di discussione […]. Penso che uno o l’altro dei due movimenti abbia tutte le risposte? No. Gli MRA non sono privi di difetti e neanche i femministi. […] Se posso dare un consiglio a chiunque nella nostra società nel suo complesso: dobbiamo smettere di aspettarci di offenderci e dobbiamo iniziare ad ascoltare veramente, in modo aperto e sincero”.

Niente da dire, concordo al cento percento.

Però, adesso, dopo aver vissuto un po’ il dibattito sulle questioni di genere e sulla giustizia sociale in generale, mi chiedo: il mascolinismo, l’antifemminismo e l’anti-politicamente corretto incarnano questo spirito? Onestamente, non mi sembra affatto. A livello di qualità del confronto con il contraddittorio, non vedo molte differenze tra queste fazioni e gli ambienti femministi da cui sono scappata a gambe levate perché non mi sentivo libera di considerare altri punti di vista.

Vedo grande polarizzazione, rifiuto categorico di ascoltare seriamente gli argomenti proposti dalla controparte, disprezzo personale per chi la pensa diversamente, atteggiamenti aggressivi e ostili a priori, ricorso ad argomenti fantoccio per sminuire gli avversari, identificazione del nemico e invito a combatterlo come se fosse l’incarnazione del demonio, vittimismo, benaltrismo, iper-generalizzazioni, insulti, offese e shitstorm.

“Facciamo un dibattito costruttivo!” senza nessuna vera intenzione di mettersi in discussione e valutare la possibilità di cambiare idea, ma soltanto con l’obiettivo di “demolire” pubblicamente l’interlocutore per dimostrare la propria presunta superiorità intellettuale e morale alla platea compiaciuta già concorde.

Gli altri sono sempre troppo emotivi, troppo irrazionali, troppo estremi, ridicoli, assurdi, “soia”, vittime del lavaggio del cervello politically correct, ci conducono verso il tracollo della civiltà occidentale, non hanno mai aperto un libro di biologia, pensano più ai sentimenti che ai “fatti”, e così via.

Le persone vengono etichettate (“nazifemminista”, “simp”, “cuck”, “soyboy”, “daddy issues”, ecc…) istantaneamente e la loro attendibilità viene dismessa sulla base di elementi superficiali (linguaggio, colore dei capelli, ecc…), in modo molto meno ironico di quanto si voglia far credere. I toni si scaldano a dismisura discutendo di frivolezze come le desinenze e i pronomi personali.

Per quanto mi riguarda, non mi sento più serena, rispetto a quando frequentavo ambienti femministi, nell’esplorare concetti che vanno al di là della comfort zone dei miei presunti alleati. Questo è uno dei motivi per cui da un po' di tempo sono meno attiva in merito alla causa maschile. Ogni tanto la delusione per i toni a cui scende il dibattito e i limiti che sento di dovermi imporre per riuscire ad avere una discussione costruttiva hanno la meglio. La verità è che siamo tutti bravi ad additare gli altri chiamandoli pazzi esaltati mentre ci ergiamo a unici paladini della ragionevolezza superstiti, ma poi, quando è il nostro turno di prendere in considerazione idee molto distanti dalla nostra, non ci imponiamo gli stessi standard che pretendiamo dagli altri e ci arroghiamo il ruolo di giudici di cosa è ragionevole e merita di essere preso in considerazione e cosa è irragionevole e può solo essere deriso, offeso e marginalizzato.

Non esistono schieramenti di buoni e cattivi, intelligenti e stupidi, razionali e irrazionali, svegli e dormienti, liberi pensatori e pecore, informati e disinformati, colti e ignoranti, imparziali e partigiani, tolleranti e intolleranti, oggettivi ed emotivi, ecc… Nessuno è intrinsecamente nulla di tutto ciò, o comunque non possiamo stabilirlo in base alle opinioni che esprime. Il nostro pensiero e il nostro comportamento sono il risultato di tutti i fattori che hanno influenzato la nostra vita fino a un dato momento. Informarsi, costruire delle opinioni e discuterle è un percorso, non un’identità né una caratteristica innata. Non è che i cervelli degli sjw sono creati dalla divinità del male e dell’irrazionalità mentre i cervelli delle “persone di buon senso” sono plasmati dalla divinità del bene e della ragione. Le persone femministe non sono ontologicamente inferiori (o superiori) rispetto a chi non è femminista. E mi verrebbe da dire che non lo sono neanche intellettualmente, perché una Simone De Beauvoir piscia in testa a mezzo gruppo, me per prima.

So che non è facile e i momenti di debolezza capitano a tutti, però il mio appello a un atteggiamento più disposto al confronto e più onesto intellettualmente, almeno come orientamento generale, rimane. “Eh, ma non si può rispondere alle armi con le carezze!”, risponderà chi pensa che il femminismo (e il non meglio identificato politicamente corretto) sia un mostro a tre teste che complotta per distruggere gli uomini anziché un fenomeno sociale complesso che produce i suoi effetti come tanti altri. Eppure questa è proprio la stessa forma mentis che motiva molti femministi e SJW a pensare e agire in modo che voi considerate estremo, dannoso e responsabile dell’imminente crollo dell’Occidente (“non si può rispondere con diplomazia ai soprusi del patriarcato e dell’oppressione sistemica!”).

Altre considerazioni[modifica | modifica sorgente]

Dialogo: tra punti di incontro e interessi personali La comunicazione efficace richiede un'ascolto attivo e una forma empatica. Molti uomini tendono a comunicare in modo distaccato, evitando espressioni colorite o offensive, ma questo non è sufficiente atteggiamento spesso viene percepito come paternalistico e accondiscendente. Inoltre, quando un'interlocutrice reagisce negativamente, essi spesso affermano che la loro comunicazione era razionale e che la donna è troppo emotiva. L'empatia significa mostrare che si prende sul serio l'altra persona, evitando di saltare a conclusioni e non invalidando la sua tesi. Questo è un problema anche nel dibattito politico, dove ci sono posizioni anti-politicamente corrette da un lato e SJW/Woke dall'altro. Se si parte da una discussione pensando che l'altra persona sia irrazionale o emotiva, si sta decretando la morte del dibattito civile. Bisogna dialogare e ascoltare l'altro con rispetto, anche se non si è d'accordo con le sue idee, per avere un dibattito costruttivo e produttivo.[3]

Se si vuole effettivamente comunicare con una persona, cioè farle arrivare quello che vuoi dirle, devi tenere in conto la sua sensibilità ma anche il suo background culturale socioeconomico e la sua esperienza personale e quindi evitare come dire di triggerare delle risposte emotive che la portano a dismettere quello che hai detto oppure a fraintenderlo e vederci tutt'altro, dubitare di quello che gli stai dicendo, dell'onestà intellettuale.


1 - audioclip-1675172036000-128

2 - audioclip-1675172323000-238

Sostanzialmente bisogna sempre tenere a mente il contesto materiale in cui si colloca un discorso, un dialogo, in particolare per quanto riguarda la distribuzione del potere. Molti "sjw" vengono considerati intolleranti perché "tagliano corto" ed "etichettano" a priori certe opinioni e comportamenti come discriminatori, e non sono più di tanto disposti a dibattere nel merito con le persone che li esprimono, ma questo approccio non è sbagliato a prescindere, data la loro condizione nella società. Sicuramente è un approccio vulnerabile a errori di giudizio e a bias personali: ad esempio, può capitare di discutere con qualcuno e ritenere che sia un fascista che sta usando dei dogwhistle, mentre invece è semplicemente un normie/liberale che, non sapendo riconoscere i dog whistle fascisti, ripete ingenuamente i talking point che ha sentito da queste persone

Ma il fatto che sia un approccio fallible non significa che non vada usato (anche il metodo scientifico è fallibile, eppure lo usiamo)

Gli "sjw" si posizionano costantemente in contrasto con lo status quo e questo ha delle implicazioni concrete che non possono essere ignorate nel formulare un giudizio sul loro atteggiamento

(anche io mi metto nella categoria sjw/woke/politicamente corretti/dcc...)

Prima implicazione: la stragrande maggioranza delle persone è in disaccordo con quasi ogni nostra opinione e con gli aspetti fondamentali della nostra visione del mondo, e non per una fisiologica divergenza di opinioni (altrimenti la distribuzione del disaccordo sarebbe meno polarizzata), ma perché le grandi narrazioni sulla società sono controllate (non in modo semplice o necessariamente intenzionale) da chi ha più potere sotto lo status quo, e perché per definizione lo status quo è ciò a cui la gente è abituata e gli esseri umani hanno una grande resistenza psicologica al cambiamento, tanto più quanto più è intenso. Questo significa che difendere le nostre idee richiede molto più tempo ed energie (in letteratura si parla di lavoro emotivo), e che spesso è comunque poco efficace, dato che poca gente è genuinamente disposta a mettere in discussione le proprie abitudini, il proprio potere e i propri privilegi. L'atteggiamento tranchant che ci viene recriminato è una tutela contro il burn-out. Ovviamente dietro ci sono anche altre motivazioni, ma quelle si applicano a tutte gli esseri umani e quindi da sole non spiegano in particolare il comportamento degli "sjw"

Seconda implicazione: poca gente è esposta alla nostra visione del mondo, mentre quasi tutti (noi compresi) siamo esposti fin da piccoli alle visioni opposte. Questo significa dover fare un grosso lavoro non solo di decostruzione delle narrazioni dominanti, ma anche di spiegazione della nostra. È un altro spetto che contribuisce al rischio di burn-out.

Terza implicazione (collegata alle altre due): siamo automaticamente percepiti come più intolleranti, infiammanti, ecc..., un po' per la propaganda conservatrice, un po' perché l'ignoranza (in senso neutro, come mancanza di conoscenza dovuta alla scarsa esposizione) e l'astio preventivo circa le nostre idee porta alla demonizzazione della nostra terminologia e delle nostre tesi. Parliamo di mascolinità tossica e la gente capisce che stiamo dicendo che la mascolinità, e per estensione gli uomini, è tossica. Parliamo di razzismo, e la gente non sa che per noi il razzismo non è un fallimento morale/intellettuale dell'individuo, ma un sistema che tutti riproduciamo involontariamente, quindi si diffonde il panico: "oddio, questi woke pensano che siamo tutti i razzisti e verranno a cancellarci uno a uno". Negli USA, la Critical Race Theory, che è semplicemente un insieme di studi e teorie sulla costruzione socio-politica delle categorie razziali e delle loro implicazioni nella storia delle società umane fino a oggi, viene contrastata da molti genitori bianchi preoccupati che i loro figli andranno a scuola a imparare che dato che sono cattivi perché bianchi. E spesso alla gente basta sentire questa terminologia per bollare a priori un discorso come "supercazzola sjw che fa discriminazioni al contrario e promuove odio e intolleranza per le idee diverse", anche quando il discorso in cui vengono usati questi termini è caratterizzato da toni pacifici e costruttivi

Tutta questa digressione per dire che la tua trascrizione va bene, ma non vorrei che fosse presa come un ulteriore argomento contro gli sjw cattivi che si negano al dibattito civile e costruttivo. Bisogna fare i dovuti distinguo e tenere sempre a mente il contesto MATERIALE in cui si manifesta il discorso. Molta gente vede la comunicazione come qualcosa di astratto in cui le condizioni materiali di partenza vengono annullate e quindi si è tutti sullo stesso piano. Questa è un'idealizzazione potenzialmente dannosa.


Però a mio avviso andrebbero aggiunte due parole sul fatto che gran parte del femminismo sui social (come ogni istanza umana del resto) fa cascare le braccia.

Io riconosco che esiste un problema reale che colpisce le donne e non mi piace come i maschi "discutono" di questi temi (li considerano ultranoiosi, inutili, secondari e magari il problema finisse qui). Però, col tempo mi sono reso conto che non è una questione così netta (vittima e carnefice) quella che crea problemi alle donne*. Questo non significa che il problema delle donne non esista, ma solo che può (e dovrebbe) essere rappresentato in modo più efficace. Qui però aggiungo che spesso le travisazioni non dipendono dal femminismo, bensì da interessi subdoli e politici / influencer (es. la Boldrini). Non è una cosa brutta "del femminismo", sono gli esseri umani a strumentalizzare le cause. Infatti, anche nel caso di Burioni (che riguarda tutt'altro ambito), puoi osservare che il problema sollevato dai suoi oppositori esiste (c'è stata una speculazione sui vaccini che ha fatto vomitare e solo adesso escono le prove). Il problema vaccini esiste, è grave, ci sono inchieste che stanno indagando, questo rimane vero anche se i novax hanno commesso errori facendo cascare le braccia a milioni di italiani (in questo i novax sono simili alle femministe sui social).


Inizio specificando che a me più che di problemi femminili, o delle donne, piace parlare di oppressione basata sul genere. Questo perché mi sembra più utile un framework che più che dei carnefici (gli uomini) identifichi un sistema (il patriarcato, l'oppressione basata sul genere), perché se no si fa l'errore delle TERF e del femminismo liberale, che vede il problema negli uomini, nel maschile e nella mascolinità, anziché nel potere.

L'oppressione basata sul genere non funziona secondo due gruppi di individui uno dei quali opprime l'altro. Penso sia vero che il sistema distribuisce più potere alle persone uomini (cis) che alle persone donne (cis), ma le vittime dell'oppressione di genere sono anche gli uomini non etero, gli uomini femminili o associati alla femminilità, le donne trans, le persone non binarie, ecc... E le donne (cis) possono agire in prima persona questa oppressione, a danno di uomini etero, uomini non etero, donne trans, donne non etero. E così via: chi ha più potere può esercitarlo a danno chi ne ha meno. Si può affermare che la mascolinità dà accesso a più potere della femminilità, ed è vero, ma non finisce qui: una donna cis è considerata più femminile di una donna trans, ma spesso ha più potere di lei, quindi bisogna considerare le intersezioni tra questo sistema di oppressione e altri. A questo serve l'intersezionalità, motivo per cui non capisco l'astio contro il femminismo intersezionale, che è il primo e l'unico femminismo a fare questi ragionamenti, eppure viene visto come il più estremo.

Dopodiché dovrei capire meglio a cosa ti riferisci nello specifico, perché alcune cose mi fanno pensare che dovremmo chiarirci ulteriormente. Per esempio, per me Boldrini non è brava a comunicare rendendosi simpatica (del resto neanche io), quindi a livello strategico è un personaggio che nel mio attivismo terrei più dietro le quinte, ma non la considero una persona con interessi particolarmente meschini. Dovrei anche capire cosa intendi con strumentalizzare le cause femministe e femminili.

(il discorso che segue si riferisce al femminismo radicale intersezionale, che è anche anticapitalista; gli altri femminismi per me fanno poco di buono e quindi mi unisco a criticarli, a prescindere dalle tecniche comunicative che usano) Sicuramente il femminismo non è rappresentato in modo efficace, ma secondo me è davvero difficile scindere la questione dal discorso che ho fatto prima sulla posizione materiale degli sjw (tra cui il femminismo di cui parla rientra). Le vittime dell'oppressione basata sul genere, così come il femminismo che più di tutti si pone in contrasto allo status quo, non sono sullo stesso piano degli altri soggetti che partecipano al discorso politico

Ci vedo un po' una fallacia del Nirvana. Una volta che un gruppo di persone si cimenta in un'impresa titanica, come quella di smontare sistemi di oppressione che sussistono da millenni, si pretende anche che lo faccia in modo inattaccabile, che non commetta errori, che cambi il sistema senza mai portarlo in situazioni di transito caratterizzate da squilibri

È parte di quello che mi ha fatto disinnamorare del movimento MRA. "Eh ma le femministe non si occupano dei problemi degli uomini, o meglio lo fanno in modo superficiale, saltuario e magari controproducente". Ok, le femministe che si occupano dei problemi delle donne lo fanno e l'hanno fatto storicamente con grandi sacrifici: carcere, reazioni violente, ostracismo sociale. E anche adesso molte femministe dedicano la loro carriera all'attivismo, fanno volontariato e beneficenza, in molti Paesi si fanno ancora arrestare e rischiano la vita

Gli uomini non fanno nulla di tutto ciò, puntano il dito contro le femministe e dicono "ehi, ma tutta questa roba quand'è che iniziate a farla anche a nostro beneficio?" e in risposta fondano dei gruppi di attivismo molto amatoriali e spesso anonimi in cui si concentrano a criticare il femminismo e le donne.

Nel mentre i pochi centri antiviolenza italiani che accolgono gli uomini sono gestiti prevalentemente da donne

Poi, se qualche influencer antifemminista/MRA riceve su Internet l'astio online che le femministe ricevono da secoli, è colpa della dittatura politicamente corretta femminista


Note[modifica | modifica sorgente]

  1. La “Deumanizzazione” è una forma di pregiudizio che nega i tratti tipici dell’essere umano di un individuo o di un gruppo. È un fenomeno sociale tanto importante quanto pericoloso, ed è una delle più potenti forme di ostracismo di individui o interi gruppi, attraverso non solo l’innalzamento di barriere fisiche, ma anche tramite strategie psicologiche e sociali di delegittimazione dell’altro. http://www.lacuradeltempo.com/blog-detail/post/105045/la-deumanizzazione--quando-percepiamo-l'altro-come-
  2. Disimpegno morale. Come facciamo del male continuando a vivere bene Cosa hanno in comune un terrorista e un banchiere dell'alta finanza? L'industria delle armi e quella dell'intrattenimento? I crimini ambientali e la pena capitale? Bandura descrive il meccanismo grazie al quale gli individui riescono a «disimpegnarsi» temporaneamente dalla morale senza sentirsi in colpa, come se questa fosse un interruttore che si può accendere e spegnere a proprio piacimento. Un libro che ci mostra come gli esseri umani riescano a fare cose crudeli e a continuare a vivere in pace con se stessi.
  3. Versione originale: Il tuo secondo vocale era: Bisogna anche capire cosa si intende con "forma empatica", perché non da parte tua - tu hai proprio modo di comunicare un po' diverso - però da parte di molti uomini - enfatizzo il genere perché penso sia dovuto proprio ai modelli valoriali che vengono proposti a seconda del genere - si pongono spesso per essere razionali, non emotivi, essere educati, si pongono in modo distaccato e evitano espressioni colorite o offensive proprio da da come scrivono lo capisci che non hanno nessuna intenzione di mettersi in discussione e che ti stanno trattando in modo paternalistico e accondiscendente. Quindi cosa succede che allora poi quando l'interlocutore che spesso è una donna, reagisce male, il ragazzo di turno afferma: "ah caspita ma io ero ero calmo etranquillo, ero assolutamente razionale. Ho scritto nel merito e questa se l'è presa perché troppo emotiva, perché irrazionale, eccetera eccetera". E no, l'empatia non è solo evitare di mandare affanculo una persona, è anche mostrare che effettivamente prendi sul serio l'altra persona, non sta invalidando la sua tesi, non salti a conclusioni, non pensi che stia dicendo assurdità e cose del genere. Ed è una cosa che vedo anche nello scontro anti politicamente corretto e da una parte e SJW / Woke dall'altra. Cioè per esempio quando ho fatto il post sul gruppo in cui dicevo che ero femminista molte hanno proprio scritto: eh ma le femministe sono irrazionali, non ci si può avere una discussione, sono l'antitesi del dibattito civile costruttivo, sono antiscientifiche, eccetera. Ma allora se tu parti in una discussione pensando che l'altro sia un cretino perché è quello che stai dicendo, pensando che sia solo emotivo, che non abbia niente di sensato da dire, quando non è così perché io non penso di essere scema ma molte rivendicazioni che vengono considerate weak politicamente corrette eccetera approfondendole le capisco e molte le condivido e le trovo fondate, basate su argomenti razionali ed evidenze empiriche. Quindi evidentemente c'è qualcosa sotto. Però queste persone che si pongono come quelle razionali, oggettive, costruttive del dibattito, sono le più irrazionali. Anche se usano toni molto tranquilli (non è che insultano) la morte del dibattito civile, bisogna dialogare, fanno appelli al dialogo civile costruttivo. Sono quelli che che veramente ne decretano la morte perché si pongono con questa idea che loro sono superiori gli altri sono cretini, emotivi, non vedono la realtà perché sono accecati dalla loro ideologia eccetera.