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Promessi sposi, episodio capponi:versione aulica
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==Lo stato dell'amministrazione giudiziaria a Milano e dintorni ai tempi dei Promessi Sposi== L'epoca storica in cui Manzoni ambienta il suo romanzo è il 1600, lo retrodata quindi di due secoli rispetto al periodo in cui lo scrive. Cioè a valle dell'opera semplificatrice e riordinatrice del corpo di leggi, voluta dall'imperatore Giustiniano dell'impero romano d'oriente, e svolta dai giureconsulti<ref>si tratta della commissione di 16 dotti di legge costituita dall'imperatore Giustiniano sotto il coordinamento del giureconsulto Triboniano. Tra gli altri, si conoscono e ricordano: Teofilo, Doroteo, Alfeno Varo, Celso, Ulpiano, Giuliano, Marcello, Cervidio Scevola e Modestino</ref><blockquote>'''Curiosità,''' Dante scrisse dell'imperatore Giustiniano, nel VI canto del Paradiso: ''Cesare fui e son Iustinïano'' '' che, per voler del primo amor ch'i' sento '' '' d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano'' </blockquote> Avvenuta a partire dal 535 dopo Cristo con la pubblicazione del corpus iuris civilis, mostrò, specificatamente in quel secolo da quegli (Don Lisander) prescelto per narrarvi le storie di Renzo e Lucia, un dilagare, un'ipertrofia, una libido legiferandi, che, in ossequio al ben noto broccardo ''summum ius, summa iniuria'', rendeva ogni azione giuridica in cui entrassero giudici, avvocati e tribunali, un'avventura dall'iter mai omogeneo e uniforme in tutti i luoghi e in ogni corte. Ciò per la difformità tra leggi locali, norme a carattere permanente che confliggevano con, o si sovrapponevano a disposizioni temporanee ma tuttora in vigore perché mai abrogate, nonché ordinanze tra cui, i più furbi tra i giureconsulti (come era l'avvocato Azzeccagarbugli da cui lo scrittore fa recare Renzo coi suoi capponi), pescavano le più favorevoli ai loro clienti. I quali, se ricchi e potenti, potevano permettersi di mantenerne stuoli che scartabellassero nel cumulo giurisprudenziale per vincere le cause, quando non potevano ricorrere apertamente alla corruzione, se poveri, viceversa, quali il succitato Lorenzo Tramaglino, o spesso le perdevano, o neanche le potevano principiare, stante il fatto che i legulei del tempo rifiutavano di mettersi contro il tale o talaltro signorotto. Ma da quale causa si originava questa babelica congerie<ref>ammasso confuso</ref> di norme spesso in conflitto contraddittorio fra di esse? Non poche di queste, in effetti, a ben considerare la questione, nascevano da quello che modernamente oggi chiameremmo [https://it.wikipedia.org/wiki/Interventismo interventismo dell'apparato statale]. Il tentativo cioè, di regolare, o meglio, irreggimentare ogni aspetto della vita del cittadino nella sua sfera più privata. Questa straripante messe di carte giuridiche offriva, al contempo, un'arma alla gente per rivalersi di molte e diverse fattispecie di reato (nel penale) o illecito (nel civile) o di entrambe (utroque iure). Quale era l'effetto di tutto ciò? Che i sudditi (tali erano in effetti) si ritrovano spesso in conflitto tra loro (non potendo, come già accennato, il più delle volte procedere legalmente contro i potenti). I signori dell'epoca, dovevano essersi resi già da tempo conto della verità di quel motto antico attribuito a Filippo il Macedone: '''διαίρει καὶ βασίλευε''' Più universalmente conosciuto nella sua traduzione latina: '''Dīvĭdĕ et ĭmpĕrā''' Quia, ubi divisio, non unitas (est) La quale unità, la compattezza, ben poteva riuscire pericolosa per un governo che non godesse i favori della popolazione. Invece, con l'impelagare le persone in guerricciole personali piccole e grandi, ci si garantiva, dando ai cittadini, sotto forma di leggi e leggine, per così dire, la stessa corda con cui si sarebbero impiccati, una relativa immunità dalle rivolte organizzate, essendo il popolo in tutt'altro affaccendato a battibeccare tra pari condizione, mentre i maggiorenti locali potevano così impunemente spadroneggiare.
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