Paura di scontentare il pubblico e conformismo: differenze tra le versioni

Da Tematiche di genere.
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Faccio questo mestiere da più di dieci anni, nel corso dei quali ho sentito e vissuto ogni tanto pressioni di ogni tipo. Nuovi mezzi di comunicazione se da un lato promettono di “liberare” i giornalisti da pressioni di terzi, dall’altra rischiano di limitarli tramite una forma di condizionamento più subdola, e quindi pericolosissima: il pubblico.<blockquote>Pensateci: non è mai capitato anche a voi di pubblicare contenuti sul vostro profilo personale all’esclusivo scopo di ottenere like, nonostante in cuor vostro foste dubbiosi sulla reale validità e onestà intellettuale di quel contenuto? ''Magari era una polemica che non avevate approfondito, magari un personaggio finito in una shitstorm. Volevate solo aggiungere la vostra battutina, dare il vostro piccolo contributo: per sentirvi parte di un gruppo, ricevere approvazione, instaurare nuove relazioni o consolidarne di vecchie.''</blockquote>Moltiplicate questi istinti umanissimi per quattrocento, uniteli in uno stesso posto (una redazione) e avrete uno dei più drammatici atti d’accusa al rapporto tra giornalismo e social del nuovo millennio:  
Faccio questo mestiere da più di dieci anni, nel corso dei quali ho sentito e vissuto ogni tanto pressioni di ogni tipo. Nuovi mezzi di comunicazione se da un lato promettono di “liberare” i giornalisti da pressioni di terzi, dall’altra rischiano di limitarli tramite una forma di condizionamento più subdola, e quindi pericolosissima: il pubblico.<blockquote>Pensateci: non è mai capitato anche a voi di pubblicare contenuti sul vostro profilo personale all’esclusivo scopo di ottenere like, nonostante in cuor vostro foste dubbiosi sulla reale validità e onestà intellettuale di quel contenuto? ''Magari era una polemica che non avevate approfondito, magari un personaggio finito in una shitstorm. Volevate solo aggiungere la vostra battutina, dare il vostro piccolo contributo: per sentirvi parte di un gruppo, ricevere approvazione, instaurare nuove relazioni o consolidarne di vecchie.''</blockquote>Moltiplicate questi istinti umanissimi per quattrocento, uniteli in uno stesso posto (una redazione) e avrete uno dei più drammatici atti d’accusa al rapporto tra giornalismo e social del nuovo millennio:  
===Il rischio del conformismo social è doppio.===
===Il rischio del conformismo social è doppio.===
Da una parte rischiamo di avere redazioni e personalità (giornalisti, intellettuali, autori, creator) sempre più piacioni, smaniosi di assecondare e confermare visioni del mondo di persone sempre più suscettibili, anziché di raccontare i fatti e offrire analisi che mettano in difficoltà e sovvertano il nostro modo di pensare.
Da una parte rischiamo di avere redazioni e personalità (giornalisti, intellettuali, autori, creator) sempre più piacioni, smaniosi di assecondare e confermare visioni del mondo di persone sempre più suscettibili, anziché di raccontare i fatti e offrire analisi che mettano in difficoltà e sovvertano il nostro modo di pensare.
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Siamo preoccupati non tanto di prendere una fake news, ma di finire col nostro nome e cognome in top hashtag di Twitter perché oggetto di una sollevazione digitale. O di finire nelle storie di qualche influencer particolarmente seguito che si è sentito offeso dalle nostre parole. Per aver detto qualcosa non approvato dalla maggioranza social. La tentazione per evitarlo è di ricorrere allo strumento di difesa più comodo e conveniente: la rinuncia alla complessità.
Siamo preoccupati non tanto di prendere una fake news, ma di finire col nostro nome e cognome in top hashtag di Twitter perché oggetto di una sollevazione digitale. O di finire nelle storie di qualche influencer particolarmente seguito che si è sentito offeso dalle nostre parole. Per aver detto qualcosa non approvato dalla maggioranza social. La tentazione per evitarlo è di ricorrere allo strumento di difesa più comodo e conveniente: la rinuncia alla complessità.
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Versione delle 09:16, 1 giu 2022

La tentazione umanissima di scrivere esclusivamente per compiacere il pubblico, per conquistare il suo like, la sua condivisione.

Faccio questo mestiere da più di dieci anni, nel corso dei quali ho sentito e vissuto ogni tanto pressioni di ogni tipo. Nuovi mezzi di comunicazione se da un lato promettono di “liberare” i giornalisti da pressioni di terzi, dall’altra rischiano di limitarli tramite una forma di condizionamento più subdola, e quindi pericolosissima: il pubblico.

Pensateci: non è mai capitato anche a voi di pubblicare contenuti sul vostro profilo personale all’esclusivo scopo di ottenere like, nonostante in cuor vostro foste dubbiosi sulla reale validità e onestà intellettuale di quel contenuto? Magari era una polemica che non avevate approfondito, magari un personaggio finito in una shitstorm. Volevate solo aggiungere la vostra battutina, dare il vostro piccolo contributo: per sentirvi parte di un gruppo, ricevere approvazione, instaurare nuove relazioni o consolidarne di vecchie.

Moltiplicate questi istinti umanissimi per quattrocento, uniteli in uno stesso posto (una redazione) e avrete uno dei più drammatici atti d’accusa al rapporto tra giornalismo e social del nuovo millennio:

Il rischio del conformismo social è doppio.

Da una parte rischiamo di avere redazioni e personalità (giornalisti, intellettuali, autori, creator) sempre più piacioni, smaniosi di assecondare e confermare visioni del mondo di persone sempre più suscettibili, anziché di raccontare i fatti e offrire analisi che mettano in difficoltà e sovvertano il nostro modo di pensare.

Dall’altra, di avere appaltata una contronarrazione esclusivamente a figure più o meno “punk”, più o meno antisistema, e in rotta con il sistema da cui denunciano di essere stati censurati. In rete c’è chi parla addirittura di intellectual dark web: è quella parte di rete (così battezzata in un’inchiesta del «New York Times») che ospita contenuti audio/video di pensatori considerati “non allineati al pensiero dominante”.

Si tratta di una ventina di giornalisti, psicologi, filosofi che grazie a piattaforme come YouTube e Spotify si sono ritrovati a essere gli intellettuali più influenti al mondo, punto di riferimento educativo per milioni di ragazzi e ragazze occidentali. Tra i più famosi:

  • lo psicologo canadese Jordan Peterson
  • il polemista conservatore Ben Shapiro
  • le femministe Camille Paglia e Christina Hoff Sommers
  • il commentatore politico Dave Rubin
  • la scrittrice e attivista Ayaan Hirsi Ali.

Tutti hanno pensieri considerati non in linea, fieri sostenitori della libertà intellettuale personale, e perciò feroci avversari di cose che secondo loro la stanno minacciando.

In mezzo, tra i conformisti e i pensatori “punk”, tra due estremi che non fanno una moderazione, ci sono molti altri: quelli che rischiano di arrendersi all’autocensura.

C’è come questa paura nell’epoca del giornalismo social, che vi confesso ho avuto più volte anch’io: scrivere qualcosa di “spiacevole”. Letteralmente: scrivere qualcosa che potrebbe non piacere ai lettori. Per paura di rovinare loro una storia perfetta, di sfumare i ruoli di eroi e antagonisti, di stoppare l’indignazione e conseguentemente perdere like, smarrire follower o, peggio, finire al centro di una shitstorm in rete. Ecco, penso sia questa la minaccia più grande alla vivacità intellettuale giornalistica: l’insicurezza. L’autocensura. Il narcisismo.

Per la prima volta nella storia, siamo preoccupati non solo e non tanto dalla censura che potrebbe arrivare dall’alto (da un politico, un finanziere, un inserzionista) ma dalla censura dal basso.

Siamo preoccupati non tanto di prendere una fake news, ma di finire col nostro nome e cognome in top hashtag di Twitter perché oggetto di una sollevazione digitale. O di finire nelle storie di qualche influencer particolarmente seguito che si è sentito offeso dalle nostre parole. Per aver detto qualcosa non approvato dalla maggioranza social. La tentazione per evitarlo è di ricorrere allo strumento di difesa più comodo e conveniente: la rinuncia alla complessità.