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== Formalizzazione delle leggi, Logiche deontiche e modali == <blockquote>Certo, la prima cosa è vedere questo https://plato.stanford.edu/entries/logic-deontic/. Considera che per catturare le questioni legali hai bisogno non di semplice logica deontica ma di logica multimodale con operatori deontici ed epistemici In generale una buona lettura preliminare sarebbe l'entry sempre sulla '''SEF''' delle logiche modali https://plato.stanford.edu/entries/logic-modal/. Attualmente alcune delle ricerche più avanzate in logica riguardano la formalizzazione dei ragionamenti comuni, ed è un campo multidisciplinare in cui lavorano tanto logici quanto psicologi quanto ''computer scientists''. Già la ''First Order Logic'' è molto interessante (cerca per esempio "paradosso del cappello"), poi le logiche modali sono davvero potenti e interessanti. Molto spesso in diversi ragionamenti le persone, a causa di ragionamenti per default o vaghi , si tende a fare fallacie confondendo espressioni ''de re con de dicto'', o altro ancora.</blockquote> === Scrittura delle norme === Viene dato un commento molto approfondito sulla tematica della scrittura delle norme, nonché delle loro caratteristiche e sulla loro influenza sul momento della sentenza.<blockquote>Sicuro, capisco che per te che vieni dall'informatica, tutto ciò possa sembrare strano. Ora, auspico che non venga un papiro sto commento. Le cose da tenere in considerazione sono il '''linguaggio''' e le '''caratteristiche di astrattezza e generalità'''. La prima è semplice: le norme sono espresse tramite una lingua. E non potrebbe essere altrimenti. Questo significa che come accade in ogni linguaggio, ci possono essere delle ambiguità. L''''ermeneutica''' serve proprio a consentire all'interprete, che è anche uno dei nomi coi quali il giurista viene infatti spesso chiamato, soprattutto i giudici, di eliminare quanto più possibile dubbi e ambiguità. In ogni caso, questi sono ineliminabili, anche a causa delle altre due caratteristiche. Un corpo di norme sull'interpretazione consente di avere interpretazioni il più possibili simili e congruenti. Inoltre, questo è necessario perché le norme non sono delle cose volanti e un po' evanescenti come molti pensano, delle frasi inamovibili. Le norme esprimono regole di comportamento, che possono essere comprese solo se messe in relazione le une con le altre, sotto tutti gli aspetti, e con la propria ragion d'essere. Quindi è necessaria l'ermeneutica. Ad esempio, ci sono norme che assumo un certo valore solo a causa di una norma diversa contenuta in una disposizione diversa. Ora, passiamo alle altre due '''caratteristiche''', che userò in modo atecnico però. Le norme descrivono regole di comportamento che si devono applicare a tutti, generali quindi, e astratte, cioè avulse dal caso concreto. Non si dice: se tizio tocca caio qua è X, se tizio bacia caia la è Y e così via. Si descrive astrattamente la violenza, cioè si pongono in una norma le sue caratteristiche astratte. Se si facesse altrimenti, si avrebbe una legge casista, come era nel passato, il che crea molti problemi. Il primo, si avrebbero centinaia di migliaia di norme, con effetti devastanti sul mondo del diritto. Sarebbe semplicemente impossibile: è questa la ragione per cui a inizio ottocento si è passati dal sistema casistico, che dopo 6 secoli era ormai un disastro, al codice. Dove prima si avevano compilazioni con magari 20.000 norme che in ogni caso non regolavano la materia ed erano aperte ad aggiunte e integrazioni esterne, si creò il codice, dove in neppure un paio di migliaia di norme vi era tutto. E tutto regolato, necessità di integrazioni. Altro problema del casistico è che il legislatore, per quanto puntiglioso non potrà mai regolare tutti i singoli possibili avvenimenti materiali. E quindi ci sarà bisogno di interpretare. E qua veniamo a noi. Stabilito che le norme sono '''astratte''', ci sono due importanti conseguenze. La prima è che una norma '''non''' è mai direttamente applicabile: ogni volta, passa attraverso un'attività, detta sussunzione, che consiste nell'astrarre dai fatti materiali i dati rilevanti, e vedere se quei fatti ricadono in una fattispecie legale o nell'altra. È questo il fulcro in effetti. E qua si che serve l'ermeneutica! Tanto per farti un esempio generale, uno dei criteri è quello teleologico, cioè dello scopo della norma. Ora, può benissimo capitare che un atto, che a prima vista parrebbe sanzionabile, in realtà non lo sia perché non contrasta con gli obbiettivi che la norma persegue. La '''seconda conseguenza''', invece, riguarda il '''metodo di scrittura''': quando si scrivono le norme, si deve sempre decidere quanto dettagliate e particolari debbano essere. Ora, può sembrare che norme dettagliatissime siano una buona cosa, ma in realtà non lo sono. Questo perché norme troppo precise e stringenti non fanno altro che costringere la fluida realtà materiale entro caselle e spazi che non le appartengono, e riducono il potere della legge di adattarsi, e quindi regolare meglio, la realtà sociale, il che è proprio il compito del giudice. Quindi, le norme sono abbastanza ampie apposta, per consentire alla giurisprudenza di adeguarle alla mutevole realtà dei fatti: e questo, è chiaro che può essere fatto meglio da un professionista che ragioni sul caso concreto piuttosto che in sede di dibattito parlamentare. Quindi, come vedi, le norme debbono necessariamente essere un poco vaghe, e questo conduce alla necessità di interpretarle. Usare criteri matematici non solo lo trovo difficile se non impossibile, ma è proprio '''inutile e dannoso'''. Peraltro, è inutile proprio perché il diritto usa una sua terminologia molto specifica, che assolve già al ruolo di linguaggio tecnico, quasi matematico. Ma usare un insieme di segni piuttosto che un altro è irrilevante, senza contare il linguaggio del diritto è creato proprio per il diritto, e usando segni matematici si farebbe molta più fatica ad esprimere le norme. Devi tenere conto poi, che il diritto non è una scienza descrittiva, anzi, non è una scienza. È attività prescrittiva, che dice cosa fare, non come stanno le cose. Questo vuol dire che quando chiedi se ci sia valido azione scientifica, io ti dico che ha senso solo fino a un certo punto. La scienza giuridica è ampia e quindi si, sono validate, ma non come una legge matematica. Perché nella legge giuridica si inserisce il momento volitivo della formulazione, che ha poco a che fare con la scienza, e molto con, ad esempio la politica. Tant'è, che esiste una certa parte della scienza giuridica che parla non del contenuto delle norme, ma delle norme in sé, lasciando il contenuto come irrilevante, perché quella è espressione della volontà del legislatore. Il discorso è molto ampio e lungo, ci si sono letteralmente scritto libri, quindi non lo si può esaurire qua, ma sarò felice di continuarlo se qualcosa non ti è chiaro o così via.</blockquote>Il commento prosegue anche con degli esempi pratici.<blockquote>Una persona è considerata "ubriaca" quando è incapace di intendere e di volere, salvo alcune eccezioni non si richiede un determinato tasso alcolico nel sangue (tranne che per la guida in stato di ebbrezza ad esempio). Con ciò ad esempio una persona potrà essere considerata ebbra dopo aver bevuto una quantità minima di alcool (portando come prova ad esempio che era la prima volta che beveva in vita sua). Per "viziare la volontà", non serve una capacità di intendere e di volere totalmente viziata, ma è sufficiente che lo sia solo parzialmente. Faccio alcuni esempi, se vedi una mia amica che vorrei farmi palesemente brilla, se altero il mio stato mentale per darmi un alibi rispondo di violenza, parimenti se sono io a convincerla a bere con lo scopo di approfittarne in un momento successivo. Mentre, se entrambi ci siamo incontrati già ebbri e siamo finiti a letto, se non c'è stata una costrizione violenta, non è reato per nessuno dei due. Considera che i reati sono '''fatti''' (un'azione umana), '''antigiuridici''' (che violano una norma), '''colpevoli''' (che siano sorretti da almeno la colpa, per altri è necessario il dolo), '''punibili''' (che non siano presenti cause di non punibilità). Essere ebbri porta a che le tua azioni non abbiano né dolo né colpa, ma il nostro codice stabilisce che se sei ebbro e commetti un reato sei comunque colpevole, a meno che lo stato di ubriachezza non dipenda da caso fortuito o forza maggiore. Considera che per alcuni reati lo stato di ubriachezza è un'aggravante. Esempi: bevo da una bottiglia d'acqua convinto che sia piena d'acqua invece è grappa. Subito dopo mi convincono a fare una rapina in una banca, in questo caso non sono punibile (ma vale solo per me, per i complici è aggravata) o lo stato di ubriachezza sarà considerata come un'attenuante (riduzione sulla pena). Esempio B. Voglio uccidere mia moglie, bevo per la prima volta in vita mia per darmi una scusante. Se mi beccano lo stato di ubriachezza premeditata sarà un'aggravante.</blockquote>Un altro utente controbatte cosi:<blockquote>Mmm.. che casino.. premetto che capisco pienamente che la giurisprudenza sia costretta a semplificare un mondo complesso e che sia in continua evoluzione, però certe volte lo fa in maniera che non approvo. Mi viene in mente un avvocato che affermava che esistono una quantità enorme di leggi che contraddicono la costituzione e si contraddicono tra loro, ma anche questo pezzo che cito dal pensiero di uno studente di giurisprudenza: «I''n Cassazione Radio Vaticana è stata condannata per getto pericolose di cose (che è un illecito penale) per emissione di onde elettromagnetiche. Ora, ti sembra che le onde elettromagnetiche si possano "gettare"? Non mi risulta. Trattasi di interpretazione analogica in malam partem bella e buona''».</blockquote>Ad esempio: "''una persona è considerata "ubriaca" quando è incapace di intendere e di volere''" → da un punto di vista scientifico è di un'arroga potrebbe essere parecchio complicato da dimostrare che una persona fosse o meno incapace di intendere e di volere. Stando a questa definizione tra l'altro credo che la competenza non sia giuridica bensì delle neuroscienze (ancora scientificamente non sappiamo dire se esiste il libero arbitrio). La vedo come una formulazione abbastanza audace e non pratica. Ad esempio secondo tale definizione io non considererei nessuno ubriaco a meno che non abbia perso i sensi o quasi perché per quanto io beva non perdo il controllo. Il fatto che dal punto di vista medico i miei freni inibitori siano meno forti non lo considero sinonimo di incapace di intendere e di volere.. a meno di venir provocato molto. Comunque per "passiva" intendo che il sesso non è qualcosa tipo una rapina in banca dove c'è un rapinatore e un rapinato. In stato di ebrezza il sesso è qualcosa che richiede un ruolo attivo da entrambe le parti. In tal senso possiamo benissimo ribaltare il punto di vista: una ragazza ebbra ha fatto sesso con un uomo non ebbro. Lui non si è ribellato. Lui ha subito violenza? Non l'ha subita? Se ho capito bene la giurisprudenza non accetta una simile impostazione e schematizza il sesso in una cornice simile a quella di un contratto che deve essere firmato da entrambi. Una persona, stando alla legge, non "dispone" della facoltà di farsi toccare in termini sessuali se è ebbra. Detto così suona bizzarro ma di fatto non è un'altra formulazione di ciò che la legge sancisce? Visto così però non diventa tanto una questione di poter dare il consenso.. quanto di un divieto, fatto ad un essere umano, di disporre liberamente del suo stesso corpo. Divieto di cui però non può fare le spese lui, ma solo gli altri. Mi domando se ci siano altri casi in cui, in certe condizioni, non si possa disporre della propria libertà. [[Categoria:Leggi]]
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