I politici come animali da social

Da Tematiche di genere.
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Da Einaudi ai politici “Snapchat”

Dalle urla in piazza a quelle su Twitter

I politici mobilitano folle, stringono mani, urlano, si sbracciano, usano toni apocalittici, fanno racconti melodrammatici e si lasciano andare a epiteti di ogni genere verso gli avversari. I politici, abituati a urlare nelle piazze, devono rimodulare la loro comunicazione, farla più intima, domestica, rassicurante, rivolta a tutti i membri della famiglia riuniti attorno al caminetto. Il nuovo mezzo restituisce la fisicità ai candidati, sebbene bidimensionale. L’immagine diventa tutto, riducendo sempre più il confine tra politici e celebrity.

Memorabile il suo dibattito tv con Richard Nixon nel 1960 alla vigilia delle elezioni per la Casa Bianca. Chi si limita ad ascoltarlo alla radio è sicuro che a vincere sia stato Nixon, più rassicurante e abile nelle argomentazioni. Ogni volta che un nuovo mezzo irrompe nella società, azzera o quantomeno riduce ogni rendita di posizione preesistente. Persino il politico più popolare fino a quel momento, qualora non riesca a cambiare la sua personalità in base al nuovo mezzo, rischia di venirne travolto e di scomparire dal nostro gradimento e memoria.

I politici più «chiacchierati» sui social sono quelli che ci fanno arrivare non tanto i loro messaggi, quanto la loro personalità.

Quando Grillo anticipò tutti

Credo che il primo grande movimento politico sviluppatosi grazie alla rete e ai social ce l’abbiamo avuto proprio in Italia. Secondo la leggenda è Beppe Grillo a cercare Gianroberto Casaleggio, ex dipendente della Olivetti e fondatore di una società di consulenza strategica di rete. Casaleggio inizia a parlargli della rete, di democrazia diretta, di esperienze wiki, di usabilità, di social network. «Con la rete possiamo bypassare tutti i politici del mondo» spiega Grillo.

In un anno le mail inviate al presidente della Repubblica diventeranno un milione. Il "la" alla rivoluzione della rete è stato dato. Quello che serve a Grillo e Casaleggio è un social, un mezzo che permetta alla community di conoscersi online e incontrarsi offline, per discutere, dibattere e organizzare nuove azioni. Almeno nella loro fase iniziale, quella dominata da entusiasmo attivista, lavorano per migliorare la politica attraverso strumenti di trasparenza e competenza che la rete gli offre.

Lo scontro tra politici “pop” e politici “punk”

Nella loro retorica contro i partiti tradizionali, i 5 Stelle chiedono e ottengono che l’incontro si tenga in streaming, per favorire la trasparenza della politica nei confronti dei cittadini . Bersani, uno dei politici meno avvezzi alla rete, esce da quell’incontro indebolito, fuori tempo e parzialmente umiliato dai rappresentanti del movimento. L’incontro è l’inizio della fine della carriera politica del leader di sinistra. Anni dopo intervistai Bersani.

«La parola "partito" avrà anche tantissimi difetti e sarà anche antiquata» disse Bersani. Tra i 5 Stelle la "folla" cederà progressivamente il passo a una struttura di potere non più distribuita ma centralizzata, in quella Roma del potere politico.

Obama e il “potenziamento” del popolo

Uno dei migliori a "potenziare" il suo popolo è stato ovviamente Barack Obama. Negli stessi anni in cui Grillo fonda i suoi Meetup, in America Barack diventa il simbolo del nuovo potere basato sulla distribuzione. Mentre i suoi colleghi parlano di se stessi e del loro curriculum, Obama usa la prima persona plurale. L’infrastruttura principale è MyBarackObama.

Come Grillo, però, anche Barack Obama progressivamente abbandona quel movimento che lui stesso ha creato, regredendo al vecchio, centralizzato, verticale potere. Una volta eletto nel 2008, infatti, non cura quell’infrastruttura di volontari per farsi aiutare a governare, costruire un consenso attorno al partito o a un suo successore . Addirittura, finisce per incorporare l’infrastruttura e i suoi tredici milioni di membri all’interno del Comitato democratico nazionale, di fatto decretandone la morte.

Trump e i tempi della rete

Il secondo è quello di Donald Trump. Qui r/The_Donald diventa presto il sottogruppo più attivo del mondo, in cui ogni giorno ottocentomila sostenitori cercano di sfornare meme politici in favore del loro idolo, con una riverenza quasi religiosa. Durante la campagna elettorale insulta trecentoquarantadue tra persone, luoghi e cose. Una personalità "Snapchat", che colpisce a intervalli regolari senza mai richiedere una concentrazione costante all’lettore.

Che – facendo proprie le dinamiche social – privilegia lo spizzichino rispetto al pasto, il finger food rispetto al piatto, l’emozione rispetto alla ragione. «Pensano che la televisione stabilirà i punti di discussione della campagna, organizzerà la gara come una serie di storie ordinate e modellerà il modo in cui gli elettori vedono i concorrenti. Magari hanno collaboratori che si occupano dei loro messaggi sui social, ma vedono ancora i social come un mezzo complementare alla copertura televisiva, un mezzo per rafforzare i loro messaggi e le loro immagini, piuttosto che come forza trainante della campagna» scrive Carr. «Anche le organizzazioni giornalistiche tendono a essere lente nell’adattarsi all’arrivo di un nuovo mezzo. »

Durante la campagna elettorale, Donald Trump attacca in maniera indegna il collega repubblicano John McCain, fatto prigioniero e torturato per cinque anni in Vietnam. Una frase incredibile, che in qualsiasi campagna precedente avrebbe comportato qualche giorno di graticola, approfondimenti televisivi, una contestualizzazione degli esperti, una richiesta di scuse, delle scuse, una probabile assoluzione in caso di scuse sincere. E, solo dopo, l’apertura di una nuova narrazione, magari su un altro tema della campagna. In quei giorni, stampa e tv seguono questo canovaccio, concentrandosi sulla frase di Trump con analisi, commenti e rimproveri al candidato.

Ma a causa della rapidità dei social quella storia non andrà mai avanti. Trump, un animale della rete, sa che spesso conviene non scusarsi. Perché tanto le scuse non basteranno mai alla folla, e tanto vale andare avanti. Fa sì che l’attenzione del pubblico si concentri su polemiche sempre nuove, "uccidendo" la storia degli insulti a McCain prima ancora che emerga come tale.

Salvini e i politici perfetti per il nostro “feed”

I messaggi e le conversazioni sono dei lampi, che nulla hanno a che fare con una trama ben definita. Sono i troll naturali, capaci di dividere e polarizzare, con messaggi durissimi, privi di grigi, confezionati per essere condivisi, diventare virali, fare polemica ed essere sostituiti immediatamente da altri messaggi. Uno dei più abili in Italia è sicuramente il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, che riesce a inserirsi perfettamente nei feed social degli italiani con un miscuglio di selfie, foto con cibo, attacchi e messaggi politici taglienti come un machete, brevi e capaci di diventare hashtag ricondivisibili a piacimento. Tre parole, di cui un articolo, perfettamente comprensibili da tutti, riproducibili in ogni contesto , divisive, capaci di chiosare ogni discorso e di diventare esse stesse uno slogan e un hashtag.

Alexandria Ocasio-Cortez, il cerchio si chiude

Il punto più alto della sua comunicazione l’ha toccato proprio dopo la vittoria alle elezioni e il suo debutto al Congresso nel 2018. Qualche giorno dopo si fa filmare mentre balla allo stesso modo di quel vecchio video, ma questa volta dentro i corridoi del Congresso americano. «Se i repubblicani trovano scandaloso che una donna balli in un’università,» recita la didascalia «vediamo cosa penseranno quando vedranno una donna ballare nel Congresso.» Boom. Da allora la Cortez riesce a inserirsi perfettamente nei feed di Instagram con i suoi contenuti "finger food".

Lo storytelling della donna umile catapultata a Washington tocca il suo picco quando inizia una diretta Instagram con i suoi follower seduta sul pavimento del suo nuovo appartamento nella capitale, privo persino di sedie.