Guia Soncini - L'era dell'indignazione, lista episodi: differenze tra le versioni

Formattazione
mNessun oggetto della modifica
(Formattazione)
Riga 1: Riga 1:
== EPISODI IPOTETICI ==


== LA MORTE DEL CONTESTO ==
=== Amiche fanno i figli - LA MORTE DEL CONTESTO ===
=== Amiche fanno i figli ===
All’inizio del Ventunesimo secolo le mie amiche hanno iniziato a fare figli. Eravamo intorno ai trent’anni, e quindi ho potuto citare Rhett Butler più o meno fino al '''declino della fertilità delle donne con cui ero in confidenza'''. L’ho fatto con tutte, per quel che ricordo. La gravida di turno m’annunciava di essere incinta, e io rispondevo: «'''Sta’ allegra, potresti sempre perderlo'''». Se fosse stata una conversazione pubblica, e se fosse avvenuta quindici giorni e non quindici anni fa – insomma: se fosse un dialogo del presente – '''nel casino che scoppierebbe ci sarebbe sicuramente qualcuno pronto a citare il ''black humor'' e qualcun altro''' (con molte assenze nelle ore di filosofia) che scomoderebbe il cinismo [...]
All’inizio del Ventunesimo secolo le mie amiche hanno iniziato a fare figli. Eravamo intorno ai trent’anni, e quindi ho potuto citare Rhett Butler più o meno fino al declino della fertilità delle donne con cui ero in confidenza. L’ho fatto con tutte, per quel che ricordo. La gravida di turno m’annunciava di essere incinta, e io rispondevo: «Sta’ allegra, potresti sempre perderlo». Se fosse stata una conversazione pubblica, e se fosse avvenuta quindici giorni e non quindici anni fa – insomma: se fosse un dialogo del presente – nel casino che scoppierebbe ci sarebbe sicuramente qualcuno pronto a citare il ''black humor'' e qualcun altro (con molte assenze nelle ore di filosofia) che scomoderebbe il cinismo [...]
=== Il post su Facebook ===
[...] Quel giorno lì non me ne sono ricordata, della regola del mancato contesto, e quindi ho messo su Facebook il pezzettino di film, con sotto scritto «La verità è che invecchiare fa schifo». All’altezza di ''Sapore di mare,'' Virna Lisi aveva quarantasette anni, l’età che ho io mentre scrivo queste righe. La battuta funziona anche perché non è detta da un catorcio, ma da una d’indiscutibile splendore (la me quarantasettenne darebbe tutti gli organi interni che ha doppi, per metà di quella saputa bionditudine). Insomma, non ho ritenuto necessario specificare alcunché. Per chi, come me, si bulla di saper provocare indignazioni con la precisione con cui Pavlov agitava il campanello, lo sdegno imprevisto è sempre un brivido. Quella sera iniziarono ad arrivare notifiche offese che sottolineavano la mia ineleganza, il mio non avere rispetto dei morti, e pure la mia inadeguatezza estetica (che è una cosa che sull’internet succede anche se parli di fame nel mondo: almeno quella volta la notazione era in tema). Tutto perché – l’avrete già capito – nessuno ricordava il pezzettino di film, nessuno ci aveva cliccato capendo che la battuta era della Lisi, e tutti pensavano io stessi dicendo che la Lisi in quel brandello di film era da buttare nell’umido (incredibilmente, nessuno di coloro che ritenevano d’insolentirmi mi chiedeva se fossi per caso cieca).
=== L’episodio del ristorante ===
Nella primavera 2020, un tizio che di mestiere era famoso su Instagram aveva chiamato a raccolta l’indignazione collettiva per un filmato trovato in rete: un cliente di ristorante non inquadrato ma dalla parlata romanesca diceva a una cameriera dai tratti orientali «Cinese, mi stappi il vino, grazie cinese grazie». Il semifamoso non si era limitato a far conto sulla nostra sensibilità e sullo spontaneo raccapriccio per il vocativo razziale; ci aveva didascalizzato il perché quel che avevamo appena visto era male: «Quello che mi dispiace più di tutto è che evidentemente questa ragazza si sarà sentita mortificata da queste parole, e non ha avuto la prontezza o il coraggio o la forza in quel momento di chiedere a queste persone di abbandonare il locale, che sarebbe stato quello che avrei fatto io anche solo se avessi assistito a questa scena senza che le parole fossero rivolte a me. La mia solidarietà va a questa povera ragazza».
== IL SECOLO FRAGILE ==
=== L’intervista a Bret Easton Ellis ===
Un paio d’anni fa sono andata a intervistare Bret Easton Ellis, il cui ''Bianco'' girava intorno a questo tema – il secolo fragile, in cui troviamo intollerabile che qualcuno la veda diversamente da noi, ci sentiamo minacciati appena le idee del nostro interlocutore non sono quelle che abbiamo stabilito essere buone e giuste, viviamo in una bolla in cui non vogliamo renderci conto di niente che ci disturbi – e mi aveva fatto pensare varie volte «Cosa lo scrivo a fare ''L’era della suscettibilità,'' ha già detto tutto lui». Per esempio in questo passaggio qui:


''L’onnipresente epidemia di autovittimizzazione – in cui definisci te stesso essenzialmente per mezzo di una cosa negativa, un trauma che hai subito in passato e a cui hai permesso di definirti – è a tutti gli effetti una malattia [...]. Il fatto che non si possa sentire una battuta o vedere una certa immagine (si''


''tratti di un quadro o anche solo di un tweet) e che ogni cosa possa essere connotata come razzista o sessista (legittimamente o no) e sia dunque considerata nociva e intollerabile – e che dunque nessun altro debba avere modo di ascoltarla o vederla o tollerarla – è un nuovo tipo dimania, una psicosi che la nostra cultura ha incoraggiato.''
=== L’intervista a Bret Easton Ellis - IL SECOLO FRAGILE ===
=== Libri banditi ===
Un paio d’anni fa sono andata a intervistare Bret Easton Ellis, il cui ''Bianco'' girava intorno a questo tema – il secolo fragile, '''in cui troviamo intollerabile che qualcuno la veda diversamente da noi''', ci sentiamo minacciati appena le idee del nostro interlocutore non sono quelle che abbiamo stabilito essere buone e giuste, '''viviamo in una bolla in cui non vogliamo renderci conto di niente che ci disturbi''' – e mi aveva fatto pensare varie volte «Cosa lo scrivo a fare ''L’era della suscettibilità,'' ha già detto tutto lui». Per esempio in questo passaggio qui:
[...] C’è il posto in cui è bandito ''Il buio oltre la siepe'' (che, quanto a valore di classico per gli americani, è un po’ come se da noi vietassero ''I promessi sposi''), perché gli studenti non devono «sentirsi umiliati dagli epiteti razziali» (ripensandoci, evitare alle studentesse di sentirsi umiliate dalla scemenza di Lucia Mondella non è affatto una brutta idea); quello che toglie dal programma ''Uomini e topi'' perché contiene troppe parolacce; ''Il giovane Holden'' è un eterno ritorno del divieto da tantissimo tempo, nel 1960 un professore venne licenziato con l’accusa d’aver turbato un sedicenne assegnandogliene la lettura; ''La fattoria degli animali'' venne vietato in una scuola media e ci volle una petizione dei genitori per reintrodurlo tra le letture (Orwell andrebbe vietato per manifesta inutilità: sono decenni che leggiamo le sue esattissime previsioni su che diavolo di fine avremmo fatto come società, e non ci è servito a niente). Ma i miei preferiti sono gli studenti di Yale, una delle università più prestigiose del mondo, che nel 2016 chiedono che dai programmi di letteratura venga tolto Shakespeare, la lettura del quale «crea una cultura ostile agli studenti di colore» (in effetti quel Moro di Venezia era un vero stronzo), proponendo di inserire invece autori donne e gay, due quote presentissime nel Seicento inglese, e di «decolonizzare il programma di studi».
 
=== Il caso del professore ===
''L’onnipresente epidemia di autovittimizzazione – in cui definisci te stesso essenzialmente per mezzo di una cosa negativa, un trauma che hai subito in passato e a cui hai permesso di definirti – è a tutti gli effetti una malattia [...]. Il fatto che non si possa sentire una battuta o vedere una certa immagine (si'' ''tratti di un quadro o anche solo di un tweet) e che ogni cosa possa essere connotata come razzista o sessista (legittimamente o no) e sia dunque considerata nociva e intollerabile – e che dunque nessun altro debba avere modo di ascoltarla o vederla o tollerarla – è un nuovo tipo dimania, una psicosi che la nostra cultura ha incoraggiato.''
Il professor Coleman Silk va in rovina per un equivoco che sembra uscito da una qualunque giornata su Twitter (che all’epoca ancora non era stato inventato): chiede se i due studenti che non si presentano mai alle sue lezioni siano ''spooks,'' spettri; non li ha mai visti, quindi non sa che sono neri, e – sfiga nera, verrebbe da dire, ad aver voglia di farsi accusare di battute razziste – ''spooks'' è anche un modo offensivo per dire neri. Il professor Silk ha fatto una battuta innocentissima, ed è perciò ufficialmente razzista.
 
== PENSA OGGI ==
 
=== La pillola anticoncezionale ===
=== La pillola anticoncezionale - PENSA OGGI ===
È il 1991. Ho fatto l’esame di maturità e sono in viaggio con tre compagne di classe. Siamo tutte più o meno diciannovenni, e il giro nei Caraibi che abbiamo organizzato prevede una prima tappa a Isla Margarita: il padre divorziato di una delle quattro vive lì. Dovremmo restare qualche giorno, ma c’è un imprevisto. La seconda mattina il padre convoca la figlia e le fa vedere indignato una pillola. Una pillola anticoncezionale. L’ha trovata per terra. Non è preoccupato perché quindi una di noi ha saltato la pillola senza avvedersene e urge rimediare rapidamente: è preoccupato per la morale delle sgualdrine cui s’accompagna sua figlia – una figlia che viveva in Italia mentre lui risiedeva in Venezuela, e sul cui codice di condotta immagino avesse quindi una salda presa, ma ora non divaghiamo. La compagna di classe torna mestamente da noi e ci dice che dobbiamo fare i bagagli prima del previsto: il padre, invece d’apprezzare la generosità con cui avevamo fatto una deviazione acciocché lui potesse vedere la figlia, ci ha messe al bando. Quelle troie delle tue amiche qui non ce le voglio.
È il 1991. Ho fatto l’esame di maturità e sono in viaggio con tre compagne di classe. Siamo tutte più o meno diciannovenni, e il giro nei Caraibi che abbiamo organizzato prevede una prima tappa a Isla Margarita: il padre divorziato di una delle quattro vive lì. Dovremmo restare qualche giorno, ma c’è un imprevisto. La seconda mattina il padre convoca la figlia e '''le fa vedere indignato una pillola'''. '''Una pillola anticoncezionale'''. L’ha trovata per terra. Non è preoccupato perché quindi una di noi ha saltato la pillola senza avvedersene e urge rimediare rapidamente: '''è preoccupato per la morale delle sgualdrine cui s’accompagna sua figlia''' – una figlia che viveva in Italia mentre lui risiedeva in Venezuela, e sul cui codice di condotta immagino avesse quindi una salda presa, ma ora non divaghiamo. La compagna di classe torna mestamente da noi e ci dice che dobbiamo fare i bagagli prima del previsto: il padre, invece d’apprezzare la generosità con cui avevamo fatto una deviazione acciocché lui potesse vedere la figlia, ci ha messe al bando. Quelle troie delle tue amiche qui non ce le voglio.
=== Le recensioni su Repubblica ===
 
 
=== Consigli su Reddit - LA PIGRIZIA DELL’INDIGNAZIONE ===
Idea per un racconto. Ambientare la lettera di Evelyn Waugh alla moglie nel 2020, e fare di lei una che va su Reddit, o analogo posto on line in cui si chiedano consigli sulla propria vita, '''a chiedere se sia saggio impermalirsi perché il marito le ha scritto che le sue lettere non sono all’altezza'''. Seguire il crescendo in cui le utenti la convincono che il marito sia un mostro e lei un genio della prosa vessato da un uomo geloso delle sue doti (frase-tipo della commentatrice alla derelitta: «Tu sei fortissima, ce la puoi fare, siamo donne, possiamo tutto»), '''e poi un redattore televisivo la invita a partecipare a un programma in cui ci si lamenta dei mariti che non ci comprendono''', non ci valorizzano, non ci meritano. Infine ritrovarla, divorziata e lieta della propria prosa non avvincente, che vende barrette dietetiche su Instagram.
 
 
=== L’episodio di Amber Ruffin - LA PIGRIZIA DELL’INDIGNAZIONE ===
Amber Ruffin è un’autrice comica nera. Nel 2020 le hanno dato da condurre un programma. Uno dei pezzetti che più si sono visti in giro, in un’epoca in cui il successo della tv si misura da quanti suoi pezzetti ne vengano diffusi in giro per social (quel che i giornalisti sciatti chiamano «diventare virale»), '''è una tirata in cui lamenta il razzismo dello sbagliare la pronuncia del nome di Kamala Harris'''. A sostegno della sua tesi, '''Ruffin elenca una serie di nomi di bianchi che nessuno sbaglia mai'''. Tra di essi ci sono l’attore Timothée Chalamet e la modella Emily Ratajkowski. Mi piacerebbe sapere chi frequenta Ruffin, perché io ho molti amici il cui massimo oggetto del desiderio è la Ratajkowski, e molte amiche che fanno un’eccezione al loro abituale non amare i ragazzini e bramano Chalamet, e nessuno di loro è in grado di compitarne o pronunciarne i cognomi. Io stessa li ho copiati da Google per scriverli qui, e se invece che un libro questa fosse una conversazione avrei fatto ciò che fanno tutti quelli che conosco quando devono citare quei due: chiamarli Ratacosa e Chalacoso.
 
 
=== Solo alle donne - L’AMERICANO CHE SAPEVA LE DONNE ===
«Solo alle donne» è un argomento così ricattatorio che neanche quand’è clamorosamente smentito dalla realtà osiamo contestarlo. Quando Emma Dante porta a Venezia un film tutto di femmine, un intervistatore domanda «Le figlie Macaluso sono tutte femmine. C’è un motivo?», '''venendo fulminato con sottintese accuse di maschilismo''': «Se avessi fatto un film di soli uomini me l’avrebbe chiesto?». Il tapino non osa far presente che, se nel 2020 qualcuno avesse osato fare un film di tutti maschi, fosse pure stato un film ambientato nella trincea della prima guerra mondiale e la prevalenza di genere fosse quindi stata storicamente non aggirabile, le accuse di ''tutti maschi'' sarebbero volate; s'''e poi quel film fosse stato diretto da una donna, ella sarebbe stata accusata d’essere ancella del patriarcato'''. ''Tutte femmine'' invece va bene: è perché è una rivalsa rispetto al sistema patriarcale? Ma, se lo è, non è forse una notizia, e quindi una domanda che valga la pena fare in un’intervista senza venire liquidati come dei fanatici arretrati?
 
 
=== Michela Murgia - LA RICERCA SPASMODICA DEL CRETINO ===
A un certo punto della quarantena da virus della primavera 2020, Michela Murgia è ospite d’un programma televisivo. Dice che è arrivata a Milano in '''un treno vuoto, per strada non c’era nessuno, e insomma se non fosse per i morti lei ci metterebbe la firma''', per avere città sempre così. Ovviamente è un’iperbole (una categoria che l’internet dovrebbe conoscere, essendo il luogo in cui ogni cosa che ci sembri vagamente riuscita è «genio» e «capolavoro», con relativi puntesclamativi). Altrettanto ovviamente, '''l’internet la fa nera'''. Plausibilmente, non perché tutti quelli a casa credano davvero che la scrittrice auspichi uno sterminio di massa; solo perché quelli che si prendono il disturbo di chiedere la sua cancellazione da ogni rilevanza pubblica hanno avuto una brutta giornata, '''o temono che una loro uscita infelice venga messa in evidenza''' e quindi smaniano per lasciare a qualcun altro il posto del linciato del giorno, o anche solo s’annoiano.
 
 
=== Skioffi - L’INDIGNAZIONE DEPERIBILE ===
Nell’autunno 2019 ci siamo offese (in quanto donne, in quanto passanti) con tal Skioffi, chiunque egli sia (un concorrente di ''Amici''), '''perché in una canzone il suo io narrante tornava a casa e si scopriva cornuto ed esprimeva dettagliatamente il proprio desiderio d’ammazzare l’amata'''. Processato in uno studio televisivo, il ragazzo si è sentito dire da una criminologa «Spero che sia fiction», e non ha avuto la prontezza di rispondere «No, ho ammazzato davvero la mia morosa e una canzone mi sembrava un buon posto per confessarlo»; ma d’altra parte neanche Shakespeare avrebbe avuto la risposta pronta, se avessero analizzato la sua fedina morale all’uscita dell’''Otello.''
 
 
=== La puntata di Grey’s Anatomy - NESSUNA SUSCETTIBILITÀ È STATA MALTRATTA ===
Nel 2020 quella puntata di ''Grey’s Anatomy'' non verrebbe mai girata. Il discorso che fa Chimamanda Ngozi Adichie parlando delle reazioni esasperate a tutto ciò che disapproviamo (sì, insomma: di quella che in neolingua si chiama ''cancel culture''), '''la preoccupazione per l’autocensura dovuta al clima d’intimidazione intellettuale''', è tanto più valido quando ci sono di mezzo gli animali. Gli attivisti d’una volta, quelli che ti gettavano addosso vernici indelebili se giravi in pelliccia, erano tolleranti, in confronto all’isteria che oggi caratterizza gli amanti degli animali. Adesso, a parlare disinvoltamente di pellicce è rimasta solo la signora Deneuve, dio o chi per lui ce la conservi.
 
 
=== Il post su Instagram  - NESSUNA SUSCETTIBILITÀ È STATA MALTRATTA ===
L’unica volta che Instagram m’ha risolutamente comunicato d’aver rimosso un mio post è stato quando avevo pubblicato la foto d’un cane dentro a un bar. Precisando, nella didascalia, che mi sembrava assai poco igienico che in Italia si potesse entrare con animali in posti in cui si vende cibo, e che il cane si spulciasse a dieci centimetri dalle brioche che avrei di lì a poco acquistato. L'''a foto non violava nessuna delle linee guida di Instagram''' (che sono perlopiù costituite dal divieto di ritrarre capezzoli e di pubblicizzare la vendita di armi), '''ma i volenterosi carnefici del senso del ridicolo hanno segnalato l’offesa alla loro suscettibilità di padroni di cani un numero sufficiente di volte da convincere l’algoritmo'''.
 
 
=== La finale dei Mondiali - NON C’È LA FILA IN QUANTO ===
Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me la sera della finale dei mondiali del 2006. Ero in una casa d’intellettuali d’un certo successo, mi stavo annoiando moltissimo (era la seconda partita della mia vita, ed ero incredula che risultasse inconcepibile fare conversazione durante: volete dirmi che vi serve concentrazione per seguire i calci al pallone?), q'''uando un giocatore francese diede una testata a un giocatore italiano'''. La prima televisione».
 
Voglio dire: non ci voleva McLuhan, per capire che l’avrebbero replicato per anni. Lo sdegno pre-esisteva rispetto alla mia frase: appena l’italiano barcollò, i presenti, probabilmente provando l’editoriale che avrebbero scritto un paio d’ore dopo, s’affrettarono a dire a voce alta cose come «violenza inaccettabile». Poi, persi due secondi a sgridare la mia ammirazione, passarono alle appartenenze: '''la violenza è inaccettabile in generale, certo, ma dico, quello è uno dei nostri, e l’aggressore è uno dei loro'''. C’era una bambina di sei o sette anni, e anche lei annuiva contrita.
 
Quindi il patriottismo, quel valore che a me pareva più scemo della verginità, lo capiva anche un bambino. Poco dopo si aggiunse un nuovo strato al sentimento popolare, e gli intellettuali si divisero in due: quelli juventini (il tizio che aveva dato la testata era stato della Juve) erano lievemente meno indignati, quelli interisti (il tizio che aveva preso la testata era dell’Inter) lo erano un po’ di più.
 
 
'''L’estate del 1987'''
 
Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me l’estate del 1987. Mia madre mi telefonò da un albergo di Rimini dicendo che in piscina c’erano gli Spandau Ballet: volevo un autografo? Ce'''rto che sì, risposi smaniosa di fare invidia alle amiche'''. Peraltro senza farmi le domande ovvie (in che lingua gliel’avrebbe chiesto, mia madre che in inglese non sapeva chiedere neanche l’ora? Quanto sarebbero state contente, cinque popstar men che trentenni, che una signora di mezz’età con le tette di fuori – mia madre aveva questa per niente imbarazzante abitudine, allorché a bordo piscina – andasse a disturbare la loro tintarella in un albergo di lusso per dire che la bambina era tanto fan?).
 
'''Poi mia madre tornò, con una foto del gruppo e gli autografi di tutti e cinque''' (probabilmente una guardia del corpo le aveva impedito di avvicinarsi e, capito a gesti cosa volesse, le aveva dato una foto già pronta tirata fuori da apposito bagaglio a mano).
 
Poi venne settembre, e io andai a scuola tutta garrula, e ne tornai tutta mogia. '''La mia compagna di banco mi aveva guardato con disprezzo e mi aveva detto «Noi siamo per i Duran»'''. Noi chi? E in nome di cosa? Ho forse firmato un giuramento di fedeltà? Bisogna essere monogame delle canzonette? Ci avrei messo molti anni a capire che ero quella che va al derby dicendo «Non sono tifosa, mi piace il bel gioco»: una pazza. Da che esisteva il pop, le ragazze avevano scelto se stare coi Beatles o con gli Stones, con gli Spandau o coi Duran. Erano fedeltà impegnative: Gianni Morandi racconta che la madre al ''Cantagiro'' non tifava per lui perché era da prima fan di Claudio Villa, mica poteva cambiare appartenenza.
 
 
'''L’autunno del 2019'''
 
Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me nell’autunno 2019, dopo la conferenza d’una scrittrice americana a Milano. C’era la fila per uscire dalla sala e, aspettando che la gente defluisse, '''mi sono trovata bloccata davanti a un uomo con in braccio un fagottino vestito di rosa'''. Con quell’impeto a dire qualcosa pur non avendo niente da dire che coglie gli esseri umani in ascensori o altri spazi angusti con estranei, ho detto a quella che credevo essere una bambina «Ma sei piccolissima tu». Il tizio mi ha corretto in tono neutro: «Piccolissimo». Mi sono scusata: «Sa, il rosa». Mi ha guardato con la soddisfazione di chi ti sta educando a evolverti:
 
«Certo: ''gender bias''». Ho capito che l’America era un po’ meno lontana, un po’ meno dall’altra parte della luna''', se anche a Milano vestivamo neonati di rosa e poi ci lamentavamo del pregiudizio di genere''', ma soprattutto mi sono chiesta quale fosse lo scopo ultimo del gioco: cosa vesti a fare di rosa un neonato – troppo piccolo perché il suo aspetto dia qualsivoglia indizio sul suo genere sessuale – se non per far sbagliare identificazione all’avventore in un posto in cui si parla una lingua coi generi ed è quindi impossibile dire tre parole su qualcuno senza declinare un maschile o un femminile?
 
Due sono i colori che dicono un sesso, perché diavolo non vesti un bambino di giallo canarino o di verde pistacchio o di rosso carminio, invece che usare l’unico colore che dà l’indicazione sbagliata del suo genere sessuale, per poi riprendere chi ci casca? Perché sei un uomo libero e la tua libertà è usare il rosa sul figlio maschio, certo: '''queste sono le cause per cui vale la pena immolarsi'''. Per rompere i coglioni, ecco perché. Siamo dispettosi, prima ancora che suscettibili. Ci piace mettere piccole trappole, e vedere (non troppo di nascosto) l’effetto che fa.
 
 
'''Il caso di Edward Enninful'''
 
Edward Enninful ha quarantotto anni, è nero, è gay, è nato in Ghana. A diciott’anni era già uno dei capi nel competitivo giro delle riviste di moda londinesi. A quarantacinque diventa direttore dell’edizione inglese di ''Vogue.'' A luglio del 2020, un poverocristo della sorveglianza del palazzo londinese di Condé Nast (l’editore di ''Vogue''), '''uno cui la vita non ha concesso i mezzi e il privilegio di riconoscere gli abiti costosi e i ruoli che se ne possono intuire, lo scambia per un fattorino, e gli dice di usare l’ascensore di servizio.'''
 
Scandalo, discriminazione, indignazione.
 
Poiché, come dicevo qualche pagina fa, nell’identitarismo postmoderno tutto conta tranne la classe sociale, i'''n quanto nero Enninful è «vittima di profilazione razziale»''', e l’orrido vigilante razzista va licenziato: tutti gli articoli di quei giorni concordano, e nessuno nota che, se si guarda alle gerarchie con più realismo e meno ubriachezza di postmodernismo, Enninful è un uomo di potere e quell’altro è uno il cui stipendio sì e no basterà a fargli pagare un affitto londinese.
 
Poiché l’inesistenza delle classi sociali è una delle più ridicole finzioni di questo tempo, sotto al post con cui Enninful racconta questa gravissima discriminazione, su Instagram, ci sono commenti indignati di tutta la meglio miliardaritudine del mondo della moda. Se sei un uomo di potere nel mondo della moda, è fisiologico che frequenterai modelle, stilisti, celebrità multimilionarie assortite assai più di quanto t’accada di frequentare tassisti e pizzaioli. Ma ciò non farà di te un soggetto forte, per carità: in-quanto-milionario vale meno, sulla scala delle suscettibilità, di in-quanto-nero e in- quanto-gay. Mentre licenziano il vigilante distratto, la vittima è quello che ha passato una vita dirigendo giornali.
 
'''Sei mesi dopo, Enninful viene nominato direttore editoriale di tutti i ''Vogue'' europei''' (in quanto nero? In quanto gay? In quanto traumatizzato dalla profilazione? L’ottimista in me vuole credere: in quanto capace). '''Del vigilante non si sono più avute notizie'''; difficile abbia trovato un nuovo lavoro, in quanto ormai ufficialmente razzista: speriamo abbia almeno ottenuto un sussidio di disoccupazione.
 
 
=== Tu non sei democraticaaaa - OGGETTO E BERSAGLIO: TROVA LE (PICCOLE) DIFFERENZE ===
Per aver scritto, quando l’Inghilterra votò la Brexit, '''che non capivo come mai non prendessero esempio da me, che non lasciavo decidere alla maggioranza neanche dove si andasse a cena'''. Tu vuoi cancellare il voto, mi accusò con grandissimo senso del tono Twitter, ''tu non sei democraticaaaa,'' vibrò sdegnata come un solo Aldo Fabrizi che tenta di colpevolizzare Vittorio Gassman in ''C’eravamo tanto amati.'' È un caso che ricordo con affetto perché è l’unico in cui abbia visto l’internet usare ''democratico'' per quel che significa – che il mio voto vale quanto il tuo – e non in un immaginifico traslato sintetizzabile in «se non passi il pomeriggio a rispondere alle stronzate di Pirulino54 che ha deciso di citofonarti le sue opinioni su un social, allora non sei democratica».
 
 
== EPISODI REALI ==
 
=== Il post su Facebook - LA MORTE DEL CONTESTO ===
[...] Quel giorno lì non me ne sono ricordata, della regola del mancato contesto, e quindi ho messo su Facebook il pezzettino di film, con sotto scritto «La verità è che invecchiare fa schifo». All’altezza di ''Sapore di mare,'' Virna Lisi aveva quarantasette anni, l’età che ho io mentre scrivo queste righe. La battuta funziona anche perché non è detta da un catorcio, ma da una d’indiscutibile splendore (la me quarantasettenne darebbe tutti gli organi interni che ha doppi, per metà di quella saputa bionditudine). Insomma, '''non ho ritenuto necessario specificare alcunché'''. Per chi, come me, si bulla di saper provocare indignazioni con la precisione con cui Pavlov agitava il campanello, lo sdegno imprevisto è sempre un brivido. '''Quella sera iniziarono ad arrivare notifiche offese che sottolineavano la mia ineleganza''', il mio non avere rispetto dei morti, e pure la mia inadeguatezza estetica (che è una cosa che sull’internet succede anche se parli di fame nel mondo: almeno quella volta la notazione era in tema). '''Tutto perché''' – l’avrete già capito – '''nessuno ricordava il pezzettino di film''', nessuno ci aveva cliccato capendo che la battuta era della Lisi, '''e tutti pensavano io stessi dicendo che la Lisi in quel brandello di film era da buttare nell’umido''' (incredibilmente, nessuno di coloro che ritenevano d’insolentirmi mi chiedeva se fossi per caso cieca).
 
 
=== Libri banditi - IL SECOLO FRAGILE ===
[...] C’è il posto in cui è bandito ''Il buio oltre la siepe'' (che, quanto a valore di classico per gli americani, è un po’ come se da noi vietassero ''I promessi sposi''), perché '''gli studenti non devono «sentirsi umiliati dagli epiteti razziali»''' (ripensandoci, evitare alle studentesse di sentirsi umiliate dalla scemenza di Lucia Mondella non è affatto una brutta idea); quello che toglie dal programma ''Uomini e topi'' perché contiene troppe parolacce; ''Il giovane Holden'' è un eterno ritorno del divieto da tantissimo tempo, nel 1960 un professore venne licenziato con l’accusa d’aver turbato un sedicenne assegnandogliene la lettura; ''La fattoria degli animali'' '''venne vietato in una scuola media e ci volle una petizione dei genitori per reintrodurlo tra le letture''' (Orwell andrebbe vietato per manifesta inutilità: sono decenni che leggiamo le sue esattissime previsioni su che diavolo di fine avremmo fatto come società, e non ci è servito a niente). Ma i miei preferiti sono gli studenti di Yale, una delle università più prestigiose del mondo, che '''nel 2016 chiedono che dai programmi di letteratura venga tolto Shakespeare, la lettura del quale «crea una cultura ostile agli studenti di colore»''' (in effetti quel Moro di Venezia era un vero stronzo), proponendo di inserire invece autori donne e gay, due quote presentissime nel Seicento inglese, e di «decolonizzare il programma di studi».
 
 
=== Le recensioni su Repubblica - PENSA OGGI ===
È il 1992. A ottobre partono i programmi televisivi della nuova stagione e, come da tradizione delle rubriche di critica, vengono recensite le prime puntate. Su ''Repubblica'' il titolare della rubrica è Beniamino Placido, il più raffinato intellettuale italiano che si sia mai esercitato nella critica televisiva. Così comincia il suo resoconto di due esordi domenicali: «Abbiamo seguito come abbiamo potuto ''Domenica in'' di Cutugno-Parietti su Raiuno, e ''Italiani'' di Barbato- Palombelli su Raitre. [...] Cosa abbiamo notato? Abbiamo notato – mica è colpa nostra, la televisione è fatta di immagini – che Barbara Palombelli (Raitre) aveva una minigonna più corta di quella di Alba Parietti».
È il 1992. A ottobre partono i programmi televisivi della nuova stagione e, come da tradizione delle rubriche di critica, vengono recensite le prime puntate. Su ''Repubblica'' il titolare della rubrica è Beniamino Placido, il più raffinato intellettuale italiano che si sia mai esercitato nella critica televisiva. Così comincia il suo resoconto di due esordi domenicali: «Abbiamo seguito come abbiamo potuto ''Domenica in'' di Cutugno-Parietti su Raiuno, e ''Italiani'' di Barbato- Palombelli su Raitre. [...] Cosa abbiamo notato? Abbiamo notato – mica è colpa nostra, la televisione è fatta di immagini – che Barbara Palombelli (Raitre) aveva una minigonna più corta di quella di Alba Parietti».
=== Canzonissima ===
È il 1972. A ''Canzonissima,'' programma del sabato sera in quell’edizione condotto da Pippo Baudo e Loretta Goggi, Vittorio Gassman, ospite fisso, in una puntata – dopo che la sua voce fuori campo ha annunciato «voglio entrare in maniera semplice, tranquilla, modesta» – entra in scena assiso su una biga, tirata non da cavalli ma da signore impellicciate che il condottiero frusta per farle marciare. Baudo domanda chi siano, Gassman risponde: «La baronessa Taranti Maielli, la presidentessa delle opere pie dell’alto Lazio, e altre ammiratrici che si sono prestate volontariamente per tirare la mia biga. Brave bambine, vi siete fatte ammirare, ora in scuderia», poi quelle escono mute e lui procede a fare il suo numero.
=== Tropic Thunder ===
È il 2008. Ben Stiller gira e interpreta ''Tropic Thunder,'' un film satirico su tre attori imbecilli che girano un film di guerra. Il suo personaggio è reduce dall’insuccesso d’un film in cui interpretava quello che in un libro per gente perbene chiamerò un disabile. Il personaggio di Robert Downey jr. (che incidentalmente ha la faccia tinta di nero per fare l’afroamericano) gliene spiega con una certa lucidità i mancati incassi: «Lo sanno tutti che non devi farlo davvero ritardato. Facci caso. Dustin Hoffman, ''Rain Man'': sembra ritardato, si comporta da ritardato, non è ritardato. Conta gli stuzzicadenti, bara a carte. Autistico, mica ritardato. Tom Hanks, ''Forrest Gump.'' Lento, sì. Forse pure ritardato. Storpio. Ma faceva perdere la testa a Nixon e vinceva una gara di ping pong. Mica era un ritardato: era un cazzo di eroe di guerra. Conosci qualche eroe di guerra ritardato? Tu l’hai fatto davvero ritardato, mai farli davvero ritardati. Non ti fidi? Chiedi a Sean Penn, 2001, ''I am Sam,'' te lo ricordi? Davvero ritardato, davvero neanche un Oscar».
=== Delirious ===
È il 1983. Eddie Murphy è un comico nero ventiduenne e ha il livello di fama d’una rockstar. La HBO decide di registrare e mandare in onda lo spettacolo che sta portando in giro, ''Delirious.'' La prima frase del monologo è: «Qui ci sono delle regole, la prima è: i froci non sono autorizzati a leccarmi il culo mentre sto sul palco». Segue una spiegazione del suo muoversi sul palco per sfuggire a eventuali agguati degli omosessuali in platea (è una specie di versione «orgoglio etero» del «se ti muovi rapido, non vieni nelle foto» che Salvatores dieci anni dopo avrebbe fatto dire a un personaggio in ''Sud''). È uno dei rarissimi casi in cui la parola «omofobia», in genere impropriamente usata per chi aggredisce o ostracizza i gay (e quindi non ne ha paura: è semplicemente stronzo), ha un senso: Murphy dice proprio d’avere paura dei gay, «mi terrorizzano, ho gli incubi». Dopo una divagazione sulla paura di «andare a Hollywood e scoprire che Mr T è un frocio» (Mr T era il personaggio nero di ''A-Team,'' telefilm di gran successo di quegli anni), si passa alle donne cui piace avere amici gay, e infine all’AIDS. Murphy – nel 1983, quando non c’era una cura per tenere sotto controllo l’HIV e la gente ne moriva a frotte – ha paura che glielo attacchi qualche ragazza che l’ha preso in discoteca dall’amico gay. E a quel punto non solo muori, ma penseranno anche tutti che sei omosessuale.


È il 2008. ''Delirious'' esce in dvd. Contiene un’intervista in cui l’Eddie Murphy che va per i cinquanta commenta il sé stesso poco più che ventenne. L’intervistatore gli domanda se all’epoca ci fossero state polemiche. «Certo che c’erano i picchetti. Erano gli anni in cui non si parlava di niente, e io parlavo di tutto. Si parlava di gay, e fuori c’erano i gay che: No, no, no». Fa anche l’imitazione con la voce da ''Vizietto.''
=== Iva Zanicchi ===
È il 2009. Iva Zanicchi porta a Sanremo una canzone intitolata ''Ti voglio senza amore.'' La prima sera del festival Roberto Benigni dedica tre minuti del proprio monologo al divertito stupore nel sentire una signora che canta «“fammi quello che ti pare però non finire presto”: è come dire “trombami e dura parecchio” [...] con tutto il rispetto, è un bel pezzo di donna, ma è un donnone, c’è da fare». La canzone non supera il primo turno di gara, la Zanicchi dà la colpa a Benigni, la polemica si esaurisce in dieci minuti.
=== The Guardian ===
È il 2004. Il ''Guardian,'' quotidiano inglese che già mostra le caratteristiche che lo porteranno poi a essere il bollettino ufficiale dell’era della suscettibilità, intervista Bill Murray, a proposito del ruolo che interpreta in un film intitolato ''Lost in Translation'': un attore americano che trascorre alcuni alienati giorni a Tokyo. In particolare gli chiedono se il film non sia pieno di stereotipi razziali e offensivo per gli orientali, una domanda alla quale qualunque persona sensata1 oggi sa di dover rispondere un contrito «sì». Nel 2004 Murray risponde: «So che i giapponesi ridono degli americanismi più di quanto noi ridiamo dei giapponesismi. Adorano osservare la stupidità del forestiero a Tokyo. Non sono per niente offesi. Lo sanno che i loro inchini sono buffi e che la loro lingua è impenetrabile per il resto del mondo».
=== Franca Valeri ===
È il 2019. Franca Valeri pubblica un libro intitolato ''Il secolo della noia.'' A un certo punto, nel fare paragoni tra ora e allora, scrive: «Quando la politica era una specie di tabù, non troppo nominato, quando gli uomini chiudevano le porte, quando si poteva entrare con un ristoro, magari dei cioccolatini o uno spumante e si poteva dire: “Basta parlare di politica!”, e gli uomini tacevano». Aspetto l’insurrezione delle cancellettiste – come osa rimpiangere un tempo in cui la politica era privilegio degli uomini, in cui le donne erano quelle che portavano da mangiare –, ma non arriva. Sarà perché hanno letto quell’intervista di trentacinque anni prima in cui l’intervistatrice rinfacciava a Roth di dividere le donne in psicopatiche che infelicitano la vita all’uomo e accudenti che gli preparano da mangiare, e Roth le ricordava che saper fare da mangiare era una dote equamente divisa tra le sane di mente e le stronze? Figuriamoci. Più probabile sia perché ciò che non può diventare istantanea da social network più difficilmente crea scandalo, certo d’un libro si potrebbe fotografare la pagina e twittarla con indignazione, ma toccherebbe comprarlo e leggerlo, e figuriamoci. O perché in quel 2019 Franca Valeri compiva novantanove anni, e quindi parlava a nome del tempo che era stato: non era considerata in grado di comprendere l’evoluzione dei tempi e l’emancipazione e la fortuna di vivere adesso, questo tempo sbagliato in cui tocca discutere di correnti di partito tutti i giorni persino se hai una vagina. Non sapeva quel che si era persa, povera Franca, solo per questo l’avevano lasciata in pace. Pensa se fosse stata considerata una di oggi.
== IL FETICISMO DELLA FRAGILITÀ ==
=== L’episodio del MeToo ===
C’è un comico che non si può più citare2 giacché aveva l’abitudine di chiedere a signorine del suo ambiente lavorativo se desse fastidio il suo eventuale masturbarsi davanti a loro, e ricevuto l’assenso procedeva. All’inizio del MeToo, alcune delle signorine raccontarono al ''New York Times'' che il signore (si chiama Louis CK, nominiamo l’innominabile) aveva commesso una violenza, giacché esse avevano sì detto di sì, ma solo perché, egemonizzate dal suo maggior successo professionale, ritenevano insubordinazione dire di no.


Tutte le donne che hanno parlato di quella vicenda facevano (fanno) le comiche, e più o meno tutte hanno argomentato che il vero scandalo fosse che le loro carriere non erano decollate, per colpa del bruto che le aveva traumatizzate prima e ostacolate poi.
'''Canzonissima'''
 
È il 1972. A ''Canzonissima,'' programma del sabato sera in quell’edizione condotto da Pippo Baudo e Loretta Goggi, Vittorio Gassman, ospite fisso, in una puntata – dopo che la sua voce fuori campo ha annunciato «voglio entrare in maniera semplice, tranquilla, modesta» – entra in scena assiso su una biga, '''tirata non da cavalli ma da signore impellicciate che il condottiero frusta per farle marciare'''. Baudo domanda chi siano, Gassman risponde: «La baronessa Taranti Maielli, la presidentessa delle opere pie dell’alto Lazio, e altre ammiratrici che si sono prestate volontariamente per tirare la mia biga. Brave bambine, vi siete fatte ammirare, ora in scuderia», poi quelle escono mute e lui procede a fare il suo numero.
 
 
'''Tropic Thunder'''
 
È il 2008. Ben Stiller gira e interpreta ''Tropic Thunder,'' un film satirico su tre attori imbecilli che girano un film di guerra. '''Il suo personaggio è reduce dall’insuccesso d’un film in cui interpretava quello che in un libro per gente perbene chiamerò un disabile'''. Il personaggio di Robert Downey jr. (che incidentalmente ha la faccia tinta di nero per fare l’afroamericano) gliene spiega con una certa lucidità i mancati incassi: «'''Lo sanno tutti che non devi farlo davvero ritardato'''. Facci caso. Dustin Hoffman, ''Rain Man'': sembra ritardato, si comporta da ritardato, non è ritardato. Conta gli stuzzicadenti, bara a carte. Autistico, mica ritardato. Tom Hanks, ''Forrest Gump.'' Lento, sì. Forse pure ritardato. Storpio. Ma faceva perdere la testa a Nixon e vinceva una gara di ping pong. Mica era un ritardato: era un cazzo di eroe di guerra. Conosci qualche eroe di guerra ritardato? Tu l’hai fatto davvero ritardato, mai farli davvero ritardati. Non ti fidi? Chiedi a Sean Penn, 2001, ''I am Sam,'' te lo ricordi? Davvero ritardato, davvero neanche un Oscar».
 
 
'''Delirious'''
 
È il 1983. Eddie Murphy è un comico nero ventiduenne e ha il livello di fama d’una rockstar. La HBO decide di registrare e mandare in onda lo spettacolo che sta portando in giro, ''Delirious.'' La prima frase del monologo è: «Qui ci sono delle regole, la prima è: i froci non sono autorizzati a leccarmi il culo mentre sto sul palco». S'''egue una spiegazione del suo muoversi sul palco per sfuggire a eventuali agguati degli omosessuali in platea''' (è una specie di versione «orgoglio etero» del «se ti muovi rapido, non vieni nelle foto» che Salvatores dieci anni dopo avrebbe fatto dire a un personaggio in ''Sud''). '''È uno dei rarissimi casi in cui la parola «omofobia»''', in genere impropriamente usata per chi aggredisce o ostracizza i gay (e quindi non ne ha paura: è semplicemente stronzo), '''ha un senso''': Murphy dice proprio d’avere paura dei gay, «mi terrorizzano, ho gli incubi». Dopo una divagazione sulla paura di «andare a Hollywood e scoprire che Mr T è un frocio» (Mr T era il personaggio nero di ''A-Team,'' telefilm di gran successo di quegli anni), si passa alle donne cui piace avere amici gay, e infine all’AIDS. Murphy – nel 1983, quando non c’era una cura per tenere sotto controllo l’HIV e la gente ne moriva a frotte – ha paura che glielo attacchi qualche ragazza che l’ha preso in discoteca dall’amico gay. E a quel punto non solo muori, ma penseranno anche tutti che sei omosessuale.
 
È il 2008. ''Delirious'' esce in dvd. Contiene un’intervista in cui l’Eddie Murphy che va per i cinquanta commenta il sé stesso poco più che ventenne. '''L’intervistatore gli domanda se all’epoca ci fossero state polemiche'''. «Certo che c’erano i picchetti. Erano gli anni in cui non si parlava di niente, e io parlavo di tutto. Si parlava di gay, e fuori c’erano i gay che: No, no, no». Fa anche l’imitazione con la voce da ''Vizietto.''
 
 
'''Iva Zanicchi'''
 
È il 2009. Iva Zanicchi porta a Sanremo una canzone intitolata ''Ti voglio senza amore.'' La prima sera del festival Roberto Benigni dedica tre minuti del proprio monologo al divertito stupore nel sentire una signora che canta «“fammi quello che ti pare però non finire presto”: è come dire “trombami e dura parecchio” [...] con tutto il rispetto, è un bel pezzo di donna, ma è un donnone, c’è da fare». '''La canzone non supera il primo turno di gara, la Zanicchi dà la colpa a Benigni, la polemica si esaurisce in dieci minuti.'''
 
 
'''The Guardian'''
 
È il 2004. Il ''Guardian,'' quotidiano inglese che già mostra le caratteristiche che lo porteranno poi a essere il bollettino ufficiale dell’era della suscettibilità, intervista Bill Murray, a proposito del ruolo che interpreta in un film intitolato ''Lost in Translation'': un attore americano che trascorre alcuni alienati giorni a Tokyo. '''In particolare gli chiedono se il film non sia pieno di stereotipi razziali e offensivo per gli orientali, una domanda alla quale qualunque persona sensata'''. Oggi sa di dover rispondere un contrito «sì». Nel 2004 Murray risponde: «So che i giapponesi ridono degli americanismi più di quanto noi ridiamo dei giapponesismi. Adorano osservare la stupidità del forestiero a Tokyo. Non sono per niente offesi. '''Lo sanno che i loro inchini sono buffi e che la loro lingua è impenetrabile per il resto del mondo»'''.
 
 
'''Franca Valeri'''
 
È il 2019. Franca Valeri pubblica un libro intitolato ''Il secolo della noia.'' A un certo punto, nel fare paragoni tra ora e allora, scrive: «Quando la politica era una specie di tabù, non troppo nominato, quando gli uomini chiudevano le porte, quando si poteva entrare con un ristoro, magari dei cioccolatini o uno spumante e si poteva dire: “Basta parlare di politica!”, e gli uomini tacevano». Aspetto l’insurrezione delle cancellettiste – come osa rimpiangere un tempo in cui la politica era privilegio degli uomini, in cui le donne erano quelle che portavano da mangiare –, ma non arriva. Sa'''rà perché hanno letto quell’intervista di trentacinque anni prima in cui l’intervistatrice rinfacciava a Roth di dividere le donne in psicopatiche che infelicitano la vita all’uomo e accudenti che gli preparano da mangiare,''' e Roth le ricordava che saper fare da mangiare era una dote equamente divisa tra le sane di mente e le stronze? Figuriamoci. Più probabile sia perché ciò che non può diventare istantanea da social network più difficilmente crea scandalo, certo d’un libro si potrebbe fotografare la pagina e twittarla con indignazione, ma toccherebbe comprarlo e leggerlo, e figuriamoci. O perché in quel 2019 Franca Valeri compiva novantanove anni, e quindi parlava a nome del tempo che era stato: n'''on era considerata in grado di comprendere l’evoluzione dei tempi e l’emancipazione e la fortuna di vivere adesso''', questo tempo sbagliato in cui tocca discutere di correnti di partito tutti i giorni persino se hai una vagina. Non sapeva quel che si era persa, povera Franca, solo per questo l’avevano lasciata in pace. Pensa se fosse stata considerata una di oggi.
 
 
=== L’episodio del MeToo - IL FETICISMO DELLA FRAGILITÀ ===
C’è un comico che non si può più citare giacché aveva l’abitudine di chiedere a signorine del suo ambiente lavorativo se desse fastidio il suo eventuale masturbarsi davanti a loro, e ricevuto l’assenso procedeva. All’inizio del MeToo, alcune delle signorine raccontarono al ''New York Times'' che il signore (si chiama Louis CK, nominiamo l’innominabile) aveva commesso una violenza, g'''iacché esse avevano sì detto di sì, ma solo perché, egemonizzate dal suo maggior successo professionale, ritenevano insubordinazione dire di no.'''
 
Tutte le donne che hanno parlato di quella vicenda facevano (fanno) le comiche, e più o meno tutte hanno argomentato che il vero scandalo fosse che le loro carriere non erano decolla'''te, per colpa del bruto che le aveva traumatizzate prima e ostacolate poi.'''


Pochi mesi dopo, a capodanno del 2018, su Netflix arriva il nuovo monologo di Dave Chappelle. Dave Chappelle è un comico nero d’una bravura sconcertante, ed è stato – parte della bravura – il più rapido a elaborare quel momento di moralizzazione e a trovare i punti giusti rispetto ai quali fare il suo lavoro, cioè prendere quel momento per il culo.
Pochi mesi dopo, a capodanno del 2018, su Netflix arriva il nuovo monologo di Dave Chappelle. Dave Chappelle è un comico nero d’una bravura sconcertante, ed è stato – parte della bravura – il più rapido a elaborare quel momento di moralizzazione e a trovare i punti giusti rispetto ai quali fare il suo lavoro, cioè prendere quel momento per il culo.
Riga 49: Riga 143:
Dopo avere parlato di tutti gli altri, da Harvey Weinstein a Kevin Spacey, Chappelle arriva alla parte sensibile. Il suo collega, il suo amico, e anche quello le accuse nei confronti del quale erano più ridicole – epperò all’epoca non era socialmente accettabile ridicolizzarle, se non eri il più bravo a trovare il ridicolo in tutto.
Dopo avere parlato di tutti gli altri, da Harvey Weinstein a Kevin Spacey, Chappelle arriva alla parte sensibile. Il suo collega, il suo amico, e anche quello le accuse nei confronti del quale erano più ridicole – epperò all’epoca non era socialmente accettabile ridicolizzarle, se non eri il più bravo a trovare il ridicolo in tutto.


Noialtre leggevamo da mesi i resoconti chiedendoci come fosse possibile che uno che ha come fantasia sessuale farsi una sega davanti a donne con cui non ha relazioni, come fosse possibile che l’immagine di questo tizio che si sbottona i pantaloni paonazzo non fosse oggetto di ridicolo ma di terrore, come fosse possibile che gli avessero tolto tutto (il suo film, i suoi programmi televisivi, la sua tournée teatrale) per punirlo, invece d’andare a teatro a ridere di lui – di lui, non con lui – appena usciva sul palco, invece di cantare «Faccelo vede’» fino a farlo morire di vergogna; noi tacevamo questi nostri dubbi, poi è arrivato Chappelle e: «Non dovrei dirlo, ma le accuse a Louis sono le uniche che mi hanno fatto ridere».
Noialtre leggevamo da mesi i resoconti chiedendoci come fosse possibile che uno che ha come fantasia sessuale farsi una sega davanti a donne con cui non ha relazioni, '''come fosse possibile che l’immagine di questo tizio che si sbottona i pantaloni paonazzo non fosse oggetto di ridicolo ma di terrore''', come fosse possibile che gli avessero tolto tutto (il suo film, i suoi programmi televisivi, la sua tournée teatrale) per punirlo, invece d’andare a teatro a ridere di lui – di lui, non con lui – appena usciva sul palco, invece di cantare «Faccelo vede’» fino a farlo morire di vergogna; noi tacevamo questi nostri dubbi, poi è arrivato Chappelle e: «Non dovrei dirlo, ma le accuse a Louis sono le uniche che mi hanno fatto ridere».


«Una signora ha detto: “Louis ha rovinato il mio sogno di fare la comica”. Sul serio? Mi permetto di dirle, signora: lei non ha mai avuto un sogno. L’FBI aveva un programma per controllare e ricattare le figure pericolose, è per quello che esistono tante registrazioni di Martin Luther King con delle puttane.
«Una signora ha detto: “Louis ha rovinato il mio sogno di fare la comica”. Sul serio? Mi permetto di dirle, signora: lei non ha mai avuto un sogno. L’FBI aveva un programma per controllare e ricattare le figure pericolose, è per quello che esistono tante registrazioni di Martin Luther King con delle puttane.
Riga 55: Riga 149:
Ma, per nostra fortuna, lui un sogno ce l’aveva davvero. Pensate che se Louis si fosse fatto una sega davanti a Martin Luther King lui avrebbe detto “Non posso continuare con questo movimento, mi spiace ma la liberazione dei neri si ferma qui”?». E ancora: «Una delle signore ha detto: “Eravamo al telefono, e mi sono accorta che si stava masturbando”. Non sai riattaccare il telefono?».
Ma, per nostra fortuna, lui un sogno ce l’aveva davvero. Pensate che se Louis si fosse fatto una sega davanti a Martin Luther King lui avrebbe detto “Non posso continuare con questo movimento, mi spiace ma la liberazione dei neri si ferma qui”?». E ancora: «Una delle signore ha detto: “Eravamo al telefono, e mi sono accorta che si stava masturbando”. Non sai riattaccare il telefono?».


Naturalmente le feticiste della fragilità trovano offensivo che Chappelle rida delle vittime invece che dei carnefici, ma a me sembra l’unica posizione rispettosa. Quella che, invece di compatirti come fossi un’inetta incapace di farsi valere, ti chieda: «Sto colpevolizzando le vittime se dico che, se non riesci a fare di uno che si cala i pantaloni materiale comico, forse il tuo talento comico non è un granché?»; quella che ti tratti come una professionista adulta dalla quale ci si aspetta la stessa capacità reattiva che ha Chappelle, la stessa capacità di prendere una bruttura e vederne il ridicolo. A me sembra che l’unica domanda seria, sull’affaire CK, l’unica domanda femminista, l’unica domanda che prendesse sul serio le ambizioni professionali delle signore, se la sia fatta proprio Chappelle: «Com’è possibile che nessuna abbia ancora scritto il monologo ''Non riuscivo a riattaccare il telefono''?».
'''Naturalmente le feticiste della fragilità trovano offensivo che Chappelle rida delle vittime invece che dei carnefici,''' ma a me sembra l’unica posizione rispettosa. Quella che, invece di compatirti come fossi un’inetta incapace di farsi valere, ti chieda: «Sto colpevolizzando le vittime se dico che, se non riesci a fare di uno che si cala i pantaloni materiale comico, forse il tuo talento comico non è un granché?»; quella che ti tratti come una professionista adulta dalla quale ci si aspetta la stessa capacità reattiva che ha Chappelle, la stessa capacità di prendere una bruttura e vederne il ridicolo. A me sembra che l’unica domanda seria, sull’affaire CK, l’unica domanda femminista, l’unica domanda che prendesse sul serio le ambizioni professionali delle signore, se la sia fatta proprio Chappelle: «Com’è possibile che nessuna abbia ancora scritto il monologo ''Non riuscivo a riattaccare il telefono''?».
== NIENTE BASTA MAI ==
=== Il caso di Eddie Murphy ===
È il 1996. Eddie Murphy è a San Francisco (città in cui i gay sono preponderanti) a girare un film, e dovrebbe andare ospite da David Letterman, che quella settimana registra il suo programma in città. Un consigliere comunale chiede che l’apparizione televisiva sia annullata, non essendosi Murphy mai scusato per le battute sull’AIDS fatte nel decennio precedente, in quel ''Delirious'' di cui dicevo poco fa. Murphy diffonde un comunicato stampa in cui riconosce la gravità dell’AIDS, dice che lui e la moglie conoscevano gente che ne è morta, che è una malattia che ha toccato tutti e in particolare la comunità nera. Soprattutto, dice che è ingiusto imputare a un trentacinquenne informato la sua disinformazione di quand’aveva poco più di vent’anni. «Come tutti, sono più preparato sull’AIDS nel 1996 di quanto lo fossi allora».


Il consigliere comunale è felice delle scuse e le ritiene ben formulate: «Ha indicato il punto che mi stava a cuore, come informarsi sul tema sia importante per tutti noi. Mi gratifica che abbia visto la luce». Se, come me, siete persone orribili, a questo punto penserete a una delle scene iniziali di ''Una poltrona per due,'' quando Murphy si finge cieco e senza gambe per mendicare, i poliziotti lo sollevano


dalla tavola a rotelle su cui si trascina, gli si vedono le gambe, e lui scappa urlando «Io ci vedo! Miracolo! Il Signore ha aperto a Mosè le acque del Mar Rosso e adesso ha fatto questo a me!». Se riuscite a smettere di ridere, però, c’è un punto quasi serio che la vicenda Murphy ci permette d’illuminare, ed è la differenza tra le scuse nel mondo normale e quelle nell’era dei social. Il secondo insieme si definisce con tre parole: niente basta mai.
=== Il caso di Eddie Murphy - NIENTE BASTA MAI ===
È il 1996. Eddie Murphy è a San Francisco (città in cui i gay sono preponderanti) a girare un film, e dovrebbe andare ospite da David Letterman, che quella settimana registra il suo programma in città. Un consigliere comunale chiede che l’apparizione televisiva sia annullata, '''non essendosi Murphy mai scusato per le battute sull’AIDS fatte nel decennio precedente''', in quel ''Delirious'' di cui dicevo poco fa. '''Murphy diffonde un comunicato stampa in cui riconosce la gravità dell’AIDS''', dice che lui e la moglie conoscevano gente che ne è morta, che è una malattia che ha toccato tutti e in particolare la comunità nera. Soprattutto, dice che è ingiusto imputare a un trentacinquenne informato la sua disinformazione di quand’aveva poco più di vent’anni. «Come tutti, sono più preparato sull’AIDS nel 1996 di quanto lo fossi allora».
 
'''Il consigliere comunale è felice delle scuse e le ritiene ben formulate''': «Ha indicato il punto che mi stava a cuore, come informarsi sul tema sia importante per tutti noi. Mi gratifica che abbia visto la luce». Se, come me, siete persone orribili, a questo punto penserete a una delle scene iniziali di ''Una poltrona per due,'' quando Murphy si finge cieco e senza gambe per mendicare, i poliziotti lo sollevano dalla tavola a rotelle su cui si trascina, gli si vedono le gambe, e lui scappa urlando «Io ci vedo! Miracolo! Il Signore ha aperto a Mosè le acque del Mar Rosso e adesso ha fatto questo a me!». Se riuscite a smettere di ridere, però, c’è un punto quasi serio che la vicenda Murphy ci permette d’illuminare, '''ed è la differenza tra le scuse nel mondo normale e quelle nell’era dei social'''. Il secondo insieme si definisce con tre parole: niente basta mai.


Tanto vale stare fermi immobili, e aspettare che lo scandalo dell’altroieri venga dimenticato, perché se è toccato a noi, se siamo quelli che l’internet ha deciso di trovare oltraggiosi stamattina, non ci sono contrizioni che basteranno. Fermi immobili ripetendosi, per sedare l’eventuale panico, che tutte le indignazioni prima o poi diventano indignazioni dell’altro ieri.
Tanto vale stare fermi immobili, e aspettare che lo scandalo dell’altroieri venga dimenticato, perché se è toccato a noi, se siamo quelli che l’internet ha deciso di trovare oltraggiosi stamattina, non ci sono contrizioni che basteranno. Fermi immobili ripetendosi, per sedare l’eventuale panico, che tutte le indignazioni prima o poi diventano indignazioni dell’altro ieri.
=== Il caso di un’autrice comica su Twitter ===
Nella primavera del 2020, tocca a un’autrice comica statunitense con tutte le credenziali giuste rispetto alle buone cause, e che però usa il suo account Twitter per fare battutacce. Per chi scrive di mestiere, Twitter è una palestra: non sai se una cosa funziona finché non l’hai scritta, e a volte è proprio se tutti si offendono che la cosa che hai scritto funziona. Oddio, «a volte»: sempre; nell’epoca in cui tutti si offendono per tutto, le uniche frasi che non suscitano indignazioni sono quelle che nessuno ha letto [...].


L’autrice comica si scusa, nella primavera 2020, per aver twittato, nel 2011 (prescrizione, dove sei), due righe che facevano così: «Non è più politicamente corretto chiamarli “ritardati”. Adesso devi chiamarli “asiatici”». Il meccanismo comico gioca sul fatto che la frase potabile sarebbe che non è più accettabile dire cose come «musi gialli», e che la dicitura corretta è «asiatici», esattamente come Eddie Murphy oggi non direbbe ''faggot,'' frocio, ma userebbe un’espressione non sconveniente; ma chiedere ai passanti dei social di capire un meccanismo comico significa non aver chiaro quanto bassa sia la loro soglia d’attenzione e quanto alta la loro determinazione a indignarsi. E infatti la folla notifica tutto il proprio sdegno alla poverina, giacché ella nel suo comunicato di scuse ha sì chiesto perdono alla comunità asiatica, ma non a quella dei disabili (per l’uso di «ritardati»).
=== Il caso del negozio per taglie forti di Roma ===
Niente basta mai: nell’autunno 2019 un negozio per taglie forti di Roma compra degli spazi pubblicitari in cui, sopra la foto d’un’obesa vestita da coniglietta, c’è lo slogan «T’abbacchi a Natale?». Inutile dire che il proprietario viene accusato, a seconda della lingua preferita dai parlanti suscettibili, di ''fat shaming,'' cioè di svergognare il grasso (un negozio per taglie forti), o di grassofobia, cioè di temere il grasso (sempre un negozio per taglie forti).


Intervistato, il proprietario dice che un’esponente del PD (forse davvero timorata dell’obesità) ha chiesto al sindaco di coprire i manifesti («penso che la Raggi abbia cose più importanti a cui pensare»), che in Italia siamo tutti arrabbiati e nessuno ride più, ma soprattutto chiarisce l’impossibilità d’uscire da quel vicolo cieco che è la suscettibilità. «Abbiamo fatto diverse campagne pubblicitarie negli anni, utilizzando sempre modelle in taglia 46-48, e tante clienti che venivano da noi, oltre la taglia 60, si lamentavano in quanto non si rispecchiavano nell’immagine pubblicitaria». Se ci metti la modella obesa ti tirano le pietre, se ci metti quella formosa ti tirano le pietre.
=== L’indignazione su Mel Gibson - LA PIGRIZIA DELL’INDIGNAZIONE ===
== LA PIGRIZIA DELL’INDIGNAZIONE ==
Nell’estate del 2020 una mezza giornata d’indignazioni viene riservata a Mel Gibson, '''attore con taluni precedenti di scatti d’ira, uscite antisemite, crisi di nervi pubbliche e altre amenità'''. Lo spunto è un’intervista, al ''Sunday Times,'' di Winona Ryder. L’attrice racconta d’una festa alla quale l’aveva incontrato molti anni prima, e del fatto che, saputo che lei era ebrea, lui aveva detto qualcosa come «'''ah, hai schivato i forni'''». Mentre ci offendevamo in nome e per conto di tutti gli ebrei dall’Antico testamento a oggi, '''un giornalista dell’edizione americana di ''GQ'' ha timidamente fatto presente che veramente Winona quell’episodio l’aveva già raccontato in un’intervista a lui''', dieci anni prima, e all’epoca nessuno aveva fatto un plissé. Beh, figliolo, ma se tu non fai apposito screenshot da condividere sui social rendendoci comoda la suscettibilità, non è che puoi pretendere che compriamo i giornali.
=== Consigli su Reddit ===
Idea per un racconto. Ambientare la lettera di Evelyn Waugh alla moglie nel 2020, e fare di lei una che va su Reddit, o analogo posto on line in cui si chiedano consigli sulla propria vita, a chiedere se sia saggio impermalirsi perché il marito le ha scritto che le sue lettere non sono all’altezza. Seguire il crescendo in cui le utenti la convincono che il marito sia un mostro e lei un genio della prosa vessato da un uomo geloso delle sue doti (frase-tipo della commentatrice alla derelitta: «Tu sei fortissima, ce la puoi fare, siamo donne, possiamo tutto»), e poi un redattore televisivo la invita a partecipare a un programma in cui ci si lamenta dei mariti che non ci comprendono, non ci valorizzano, non ci meritano. Infine ritrovarla, divorziata e lieta della propria prosa non avvincente, che vende barrette dietetiche su Instagram.
=== La studentessa vietnamita ===
In un’università californiana l’anno scorso c’era una studentessa vietnamita che si chiamava Phuc. Un anglofono lo pronuncia come ''fuck'' (''scopare,'' ma anche parolaccia passepartout). Un professore le ha chiesto di anglicizzarsi il nome perché non suonasse come un insulto. Io l’avrei fatto prima ancora che me lo chiedesse («Esatto: Giulia» dico sempre ai centralinisti per velocizzare il tutto). Una più pronta di riflessi di me gli avrebbe risposto che, se solo fosse stato più ''fluent'' in vietnamita, avrebbe saputo che la pronuncia di Phuc è in realtà “foub”. Phuc invece è figlia del secolo fragile, e perciò ha denunciato il comportamento discriminatorio del professore, che è stato sospeso dall’insegnamento.
=== L’episodio di Amber Ruffin ===
Amber Ruffin è un’autrice comica nera. Nel 2020 le hanno dato da condurre un programma. Uno dei pezzetti che più si sono visti in giro, in un’epoca in cui il successo della tv si misura da quanti suoi pezzetti ne vengano diffusi in giro per social (quel che i giornalisti sciatti chiamano «diventare virale»), è una tirata in cui lamenta il razzismo dello sbagliare la pronuncia del nome di Kamala Harris. A sostegno della sua tesi, Ruffin elenca una serie di nomi di bianchi che nessuno sbaglia mai. Tra di essi ci sono l’attore Timothée Chalamet e la modella Emily Ratajkowski. Mi piacerebbe sapere chi frequenta Ruffin, perché io ho molti amici il cui massimo oggetto del desiderio è la Ratajkowski, e molte amiche che fanno un’eccezione al loro abituale non amare i ragazzini e bramano Chalamet, e nessuno di loro è in grado di compitarne o pronunciarne i cognomi. Io stessa li ho copiati da Google per scriverli qui, e se invece che un libro questa fosse una conversazione avrei fatto ciò che fanno tutti quelli che conosco quando devono citare quei due: chiamarli Ratacosa e Chalacoso.
=== L’indignazione su Mel Gibson ===
Nell’estate del 2020 una mezza giornata d’indignazioni viene riservata a Mel Gibson, attore con taluni precedenti di scatti d’ira, uscite antisemite, crisi di nervi pubbliche e altre amenità. Lo spunto è un’intervista, al ''Sunday Times,'' di Winona Ryder. L’attrice racconta d’una festa alla quale l’aveva incontrato molti anni prima, e del fatto che, saputo che lei era ebrea, lui aveva detto qualcosa come «ah, hai schivato i forni». Mentre ci offendevamo in nome e per conto di tutti gli ebrei dall’Antico testamento a oggi, un giornalista dell’edizione americana di ''GQ'' ha timidamente fatto presente che veramente Winona quell’episodio l’aveva già raccontato in un’intervista a lui, dieci anni prima, e all’epoca nessuno aveva fatto un plissé. Beh, figliolo, ma se tu non fai apposito screenshot da condividere sui social rendendoci comoda la suscettibilità, non è che puoi pretendere che compriamo i giornali.
== L’AMERICANO CHE SAPEVA LE DONNE ==
=== Il dialogo con l’americano ===
All’inizio del 2018 un giornalista italiano mi dice che Buzzfeed sta preparando un’inchiesta (chiamiamola così per generosità lessicale) sul maschilismo della politica italiana, e se mi va di parlare col tizio che scriverà l’articolo. Che cosa potrà mai andar storto.


Quella con l’americano che difendeva le donne è una delle conversazioni più lunari che mi sia mai accaduto d’avere.


Comincia con lui che mi dice che l’Italia è maschilista perché nessun politico riceve la quantità d’insulti che riceve Laura Boldrini. Chiedo: l’ha verificato? Mi guarda con la polemica che gli luccica negli occhi (finalmente qualcosa che farà cliccare l’articolo, puntesclamativo): quindi sto dicendo che la Boldrini s’inventa gli insulti? No, sto chiedendo se lui, che si appresta a scrivere che la Boldrini è la più insultata d’Italia, sia andato a verificare le pagine degli altri politici, e a contare gli insulti: non frequento la pagina della Boldrini né quelle di altri politici, ma frequento i social, osservo la fauna che li popola, e tendo a escludere che sulla pagina di Grillo o su quella di Renzi i commentatori si portino come Lady Bracknell [...].
=== Il dialogo con l’americano -  L’AMERICANO CHE SAPEVA LE DONNE ===
All’inizio del 2018 un giornalista italiano mi dice che Buzzfeed sta preparando un’inchiesta (chiamiamola così per generosità lessicale) sul maschilismo della politica italiana, e se mi va di parlare col tizio che scriverà l’articolo. Che cosa potrà mai andar storto. '''Quella con l’americano che difendeva le donne è una delle conversazioni più lunari che mi sia mai accaduto d’avere'''.


Credo che, se avessi bruciato la sua bandiera, all’americano che difendeva le donne si sarebbero gonfiate meno le vene del collo. Alzando la voce, si è messo a spiegarmi l’importanza dei modelli comportamentali, una questione che gli era evidente non avessi capito. Per sua fortuna non ero una delle donne che piacciono a lui, altrimenti l’avrei accusato di ''mansplaining.'' Ve l’avevo detto che ogni nuova parola era una nuova scemenza da arginare, specie se parola inglese: ''mansplaining'' è quando un uomo spiega a una donna cose che ella già sa, ma egli non crede sappia perché è donna e quindi intellettualmente inferiore. A sentire le femministe dei cancelletti, questa cosa accade tutti i giorni più volte al giorno; a me non era mai capitata finché non ho incontrato un maschio femminista americano, e non mi è mai più capitata dopo: sono proprio un donnino fortunato.
Comincia con lui che mi dice che '''l’Italia è maschilista perché nessun politico riceve la quantità d’insulti che riceve Laura Boldrini'''. Chiedo: l’ha verificato? Mi guarda con la polemica che gli luccica negli occhi (finalmente qualcosa che farà cliccare l’articolo, puntesclamativo): quindi sto dicendo che la Boldrini s’inventa gli insulti? No, sto chiedendo se lui, che si appresta a scrivere che la Boldrini è la più insultata d’Italia, sia andato a verificare le pagine degli altri politici, e a contare gli insulti: non frequento la pagina della Boldrini né quelle di altri politici, ma frequento i social, osservo la fauna che li popola, e tendo a escludere che sulla pagina di Grillo o su quella di Renzi i commentatori si portino come Lady Bracknell [...].


Ma la parte migliore della conversazione è avvenuta sul finale, quando lui mi ha spiegato che certe critiche, insulti, osservazioni toccano solo alle donne. Nessuno mai, mi ha detto col tono di chi declama un’acclarata verità, commenta l’estetica d’un uomo.
'''Credo che, se avessi bruciato la sua bandiera, all’americano che difendeva le donne si sarebbero gonfiate meno le vene del collo'''. Alzando la voce, si è messo a spiegarmi l’importanza dei modelli comportamentali, una questione che gli era evidente non avessi capito. '''Per sua fortuna non ero una delle donne che piacciono a lui''', altrimenti l’avrei accusato di ''mansplaining.'' Ve l’avevo detto che ogni nuova parola era una nuova scemenza da arginare, specie se parola inglese: ''mansplaining'' è quando un uomo spiega a una donna cose che ella già sa, ma egli non crede sappia perché è donna e quindi intellettualmente inferiore. A sentire le femministe dei cancelletti, questa cosa accade tutti i giorni più volte al giorno; a me non era mai capitata finché non ho incontrato un maschio femminista americano, e non mi è mai più capitata dopo: sono proprio un donnino fortunato.


Ho strabuzzato gli occhi. È un argomento che vedo spesso usare on line, ma è così scevro del principio di realtà che strabuzzo gli occhi ogni volta (dovrebbe esistere un risarcimento per le rughe
Ma la parte migliore della conversazione è avvenuta sul finale''', quando lui mi ha spiegato che certe critiche, insulti, osservazioni toccano solo alle donne.''' Nessuno mai, mi ha detto col tono di chi declama un’acclarata verità, commenta l’estetica d’un uomo.


indotte dall’altrui scemenza argomentativa).
Ho strabuzzato gli occhi. È un argomento che vedo spesso usare on line, ma è così scevro del principio di realtà che strabuzzo gli occhi ogni volta (dovrebbe esistere un risarcimento per le rughe indotte dall’altrui scemenza argomentativa).
=== Solo alle donne ===
«Solo alle donne» è un argomento così ricattatorio che neanche quand’è clamorosamente smentito dalla realtà osiamo contestarlo. Quando Emma Dante porta a Venezia un film tutto di femmine, un intervistatore domanda «Le figlie Macaluso sono tutte femmine. C’è un motivo?», venendo fulminato con sottintese accuse di maschilismo: «Se avessi fatto un film di soli uomini me l’avrebbe chiesto?». Il tapino non osa far presente che, se nel 2020 qualcuno avesse osato fare un film di tutti maschi, fosse pure stato un film ambientato nella trincea della prima guerra mondiale e la prevalenza di genere fosse quindi stata storicamente non aggirabile, le accuse di ''tutti maschi'' sarebbero volate; se poi quel film fosse stato diretto da una donna, ella sarebbe stata accusata d’essere ancella del patriarcato. ''Tutte femmine'' invece va bene: è perché è una rivalsa rispetto al sistema patriarcale? Ma, se lo è, non è forse una notizia, e quindi una domanda che valga la pena fare in un’intervista senza venire liquidati come dei fanatici arretrati?
== LA RICERCA SPASMODICA DEL CRETINO ==
=== Michela Murgia ===
A un certo punto della quarantena da virus della primavera 2020, Michela Murgia è ospite d’un programma televisivo. Dice che è arrivata a Milano in un treno vuoto, per strada non c’era nessuno, e insomma se non fosse per i morti lei ci metterebbe la firma, per avere città sempre così. Ovviamente è un’iperbole (una categoria che l’internet dovrebbe conoscere, essendo il luogo in cui ogni cosa che ci sembri vagamente riuscita è «genio» e «capolavoro», con relativi puntesclamativi). Altrettanto ovviamente, l’internet la fa nera. Plausibilmente, non perché tutti quelli a casa credano davvero che la scrittrice auspichi uno sterminio di massa; solo perché quelli che si prendono il disturbo di chiedere la sua cancellazione da ogni rilevanza pubblica hanno avuto una brutta giornata, o temono che una loro uscita infelice venga messa in evidenza e quindi smaniano per lasciare a qualcun altro il posto del linciato del giorno, o anche solo s’annoiano.
=== La copertina di Vogue ===
Nel 2005, a social network non ancora nati, l’edizione americana di ''Vogue'' mette in copertina Drew Barrymore che posa con un leone. Nel 2020, non calcolando come siano cambiati i tempi, posta su Instagram quella vecchia copertina, e sotto è tutt’uno scandalo di animalisti offesi, i leoni devono stare liberi nella savana, mica in uno studio fotografico. Tuttavia – colpo di fortuna o sapienza nel manipolare l’algoritmo? – se vi perdete quello specifico post e relativi commenti non saprete nulla della polemica: la ricerca su Google di «Drew Barrymore leone polemica» risulterà in una serie d’articoli che riprendevano una dichiarazione della Barrymore del 2018. La dichiarazione diceva che, per perdere i chili della gravidanza, la signora aveva combattuto «come un leone». Se fossi incaricata di proteggere la reputazione on line d’una multinazionale, assumerei la Barrymore immediatamente.
== L’INDIGNAZIONE DEPERIBILE ==
=== Skioffi ===
Nell’autunno 2019 ci siamo offese (in quanto donne, in quanto passanti) con tal Skioffi, chiunque egli sia (un concorrente di ''Amici''), perché in una canzone il suo io narrante tornava a casa e si scopriva cornuto ed esprimeva dettagliatamente il proprio desiderio d’ammazzare l’amata. Processato in uno studio televisivo, il ragazzo si è sentito dire da una criminologa «Spero che sia fiction», e non ha avuto la prontezza di rispondere «No, ho ammazzato davvero la mia morosa e una canzone mi sembrava un buon posto per confessarlo»; ma d’altra parte neanche Shakespeare avrebbe avuto la risposta pronta, se avessero analizzato la sua fedina morale all’uscita dell’''Otello.''
=== Chiara Biasi ===
Alla fine del 2019 ci siamo offese (di nuovo in quanto incapienti, e sempre in quanto passanti) con tal Chiara Biasi, chiunque ella sia (anche lei una pagata per prendere i cuoricini su Instagram vestendo il marchio tal dei tali, ma più pagata di quella di prima), perché in una candid camera durante un litigio aveva detto che lei per ottantamila euro neanche si alza dal letto. Le più vecchie trombone di noi hanno creduto fosse un omaggio a un’analoga affermazione di Linda Evangelista (megamodella degli anni Novanta, quando le modelle stavano sui giornali invece che sui social, di esse si sapevano i nomi, e della loro avidità non ci s’indignava: forse perché i giornali, diversamente dai social, avevano la saggezza di non lasciarci intervenire). L


e altre si sono compattamente scandalizzate, con commenti che andavano da «uno schiaffo a chi si alza alle tre di notte per mille euro al mese» (chissà se è lo stesso schiaffo di Charlize Theron) a «non so se vi ricordate di quando si è comprata uno spazzolino da 35 euro» (siamo così, dolcemente complicate: seguiamo i social della gente coi soldi e poi ci irritiamo quando quella si comporta da gente coi soldi) a «milioni di persone in Italia vivono nella disperazione, defollow di massa» (in effetti le crisi economiche strutturali in genere si risolvono seguendo sui social solo la Caritas) a «cancella i commenti, cara mia, il popolo di Twitter parla e tu non puoi fermarci».


Ovviamente, per lei come per tutti gli altri casi qui elencati, quelli che ci sono sembrati la fine del mondo e della civiltà per mezza giornata, un giorno e mezzo più tardi non se ne ricordava più nessun popolo, né di Twitter né d’altrove (e per fortuna: v’immaginate che mondo sarebbe se dedicassimo più di due minuti della nostra attenzione alle sbagliatezze dette dagli sconosciuti?).
=== La copertina di Vogue - LA RICERCA SPASMODICA DEL CRETINO ===
=== L’amica influencer ===
Nel 2005, a social network non ancora nati, l’edizione americana di ''Vogue'' mette in copertina Drew Barrymore che posa con un leone. Nel 2020, non calcolando come siano cambiati i tempi, posta su Instagram quella vecchia copertina, '''e sotto è tutt’uno scandalo di animalisti offesi, i leoni devono stare liberi nella savana, mica in uno studio fotografico'''. Tuttavia – colpo di fortuna o sapienza nel manipolare l’algoritmo? – se vi perdete quello specifico post e relativi commenti non saprete nulla della polemica: la ricerca su Google di «Drew Barrymore leone polemica» '''risulterà in una serie d’articoli che riprendevano una dichiarazione della Barrymore del 2018'''. La dichiarazione diceva che, per perdere i chili della gravidanza, la signora aveva combattuto «come un leone». Se fossi incaricata di proteggere la reputazione on line d’una multinazionale, assumerei la Barrymore immediatamente.
Ho un’amica che viene sempre presentata come ''influencer.'' In realtà fa l’imprenditrice, ma – siccome ha molto seguito sui social e li usa per promuovere i prodotti della sua azienda – la pigrizia giornalistica la qualifica come ''influencer,'' un attributo che dovrebbe dirci che sei in grado di influenzare le nostre scelte e i nostri consumi ma in realtà significa più che altro che se posti una cosa su Instagram ti mettiamo molti cuoricini.
 
 
=== Chiara Biasi - L’INDIGNAZIONE DEPERIBILE ===
Alla fine del 2019 ci siamo offese (di nuovo in quanto incapienti, e sempre in quanto passanti) con tal Chiara Biasi, chiunque ella sia (anche lei una pagata per prendere i cuoricini su Instagram vestendo il marchio tal dei tali, ma più pagata di quella di prima), '''perché in una candid camera durante un litigio aveva detto che lei per ottantamila euro neanche si alza dal letto'''. Le più vecchie trombone di noi hanno creduto fosse un omaggio a un’analoga affermazione di Linda Evangelista (megamodella degli anni Novanta, quando le modelle stavano sui giornali invece che sui social, di esse si sapevano i nomi, e della loro avidità non ci s’indignava: forse perché i giornali, diversamente dai social, avevano la saggezza di non lasciarci intervenire).
 
'''Le altre si sono compattamente scandalizzate''', con commenti che andavano da «uno schiaffo a chi si alza alle tre di notte per mille euro al mese» (chissà se è lo stesso schiaffo di Charlize Theron) a «non so se vi ricordate di quando si è comprata uno spazzolino da 35 euro» (siamo così, dolcemente complicate: seguiamo i social della gente coi soldi e poi ci irritiamo quando quella si comporta da gente coi soldi) a «milioni di persone in Italia vivono nella disperazione, defollow di massa» (in effetti le crisi economiche strutturali in genere si risolvono seguendo sui social solo la Caritas) a «cancella i commenti, cara mia, il popolo di Twitter parla e tu non puoi fermarci».
 
'''Ovviamente''', per lei come per tutti gli altri casi qui elencati, '''quelli che ci sono sembrati la fine del mondo e della civiltà per mezza giornata, un giorno e mezzo più tardi non se ne ricordava più nessun popolo''', né di Twitter né d’altrove (e per fortuna: v’immaginate che mondo sarebbe se dedicassimo più di due minuti della nostra attenzione alle sbagliatezze dette dagli sconosciuti?).
 
 
=== L’amica influencer - L’INDIGNAZIONE DEPERIBILE ===
Ho un’amica che viene sempre presentata come ''influencer.'' In realtà fa l’imprenditrice, ma – siccome ha molto seguito sui social e li usa per promuovere i prodotti della sua azienda – la pigrizia giornalistica la qualifica come ''influencer,'' '''un attributo che dovrebbe dirci che sei in grado di influenzare le nostre scelte e i nostri consumi ma in realtà significa più che altro che se posti una cosa su Instagram ti mettiamo molti cuoricini'''.


Recentemente l’amica è stata presa in giro da un programma radiofonico che fa della comicità di grana piuttosto grossa. Ha quindi passato tre giorni a pubblicare video in cui: si diceva offesa; pretendeva le scuse del programma; pretendeva le scuse della radio; si diceva offesa in quanto donna; si diceva offesa in quanto lavoratrice; annunciava querele sostenendo che paragonarla a Belzebù non era satira ma diffamazione.
Recentemente l’amica è stata presa in giro da un programma radiofonico che fa della comicità di grana piuttosto grossa. Ha quindi passato tre giorni a pubblicare video in cui: si diceva offesa; pretendeva le scuse del programma; pretendeva le scuse della radio; si diceva offesa in quanto donna; si diceva offesa in quanto lavoratrice; annunciava querele sostenendo che paragonarla a Belzebù non era satira ma diffamazione.
Riga 120: Riga 195:
«Signor giudice, mi hanno diffamata dicendo che ero come Belzebù» è una causa cui assisterei con gran sollucchero, ma ho evitato di dirglielo perché i tribunali mi sembrano già abbastanza intasati. E anche perché, in quei tre giorni, mi sono assunta l’ingrato compito di dirle di smetterla e di chiederle se fosse impazzita, mentre follower d’ogni grado di notorietà le davano ragione, vai a sapere se perché suscettibili per suo conto o se perché così si garantivano che il loro video venisse ripostato e visto da milioni di persone.
«Signor giudice, mi hanno diffamata dicendo che ero come Belzebù» è una causa cui assisterei con gran sollucchero, ma ho evitato di dirglielo perché i tribunali mi sembrano già abbastanza intasati. E anche perché, in quei tre giorni, mi sono assunta l’ingrato compito di dirle di smetterla e di chiederle se fosse impazzita, mentre follower d’ogni grado di notorietà le davano ragione, vai a sapere se perché suscettibili per suo conto o se perché così si garantivano che il loro video venisse ripostato e visto da milioni di persone.


Quando, settimane dopo, ne abbiamo discusso a freddo, la mia amica mi ha detto che io non capivo il mezzo: «Bisogna sapere quali ''flame'' cavalcare e quali no. Io con quel ''flame'' lì ho guadagnato diecimila follower».
Quando, settimane dopo, ne abbiamo discusso a freddo, la mia amica mi ha detto che io non capivo il mezzo: «Bi'''sogna sapere quali ''flame'' cavalcare e quali no. Io con quel ''flame'' lì ho guadagnato diecimila follower'''».
== NESSUNA SUSCETTIBILITÀ È STATA MALTRATTA ==
 
=== La puntata di Grey’s Anatomy ===
 
Nel 2020 quella puntata di ''Grey’s Anatomy'' non verrebbe mai girata. Il discorso che fa Chimamanda Ngozi Adichie parlando delle reazioni esasperate a tutto ciò che disapproviamo (sì, insomma: di quella che in neolingua si chiama ''cancel culture''), la preoccupazione per l’autocensura dovuta al clima d’intimidazione intellettuale2, è tanto più valido quando ci sono di mezzo gli animali. Gli attivisti d’una volta, quelli che ti gettavano addosso vernici indelebili se giravi in pelliccia, erano tolleranti, in confronto all’isteria che oggi caratterizza gli amanti degli animali. Adesso, a parlare disinvoltamente di pellicce è rimasta solo la signora Deneuve, dio o chi per lui ce la conservi.
=== Il caso di Telefono Azzurro - NESSUNA SUSCETTIBILITÀ È STATA MALTRATTA ===
=== Il post su Instagram ===
Nell’autunno 2020 Telefono Azzurro, la storica linea telefonica che soccorre bambini maltrattati, f'''a un gesto suicida'''. Produce uno spot, col suo bravo cancelletto #PrimaIBambini, in cui un tizio entra in una casa in fiamme, si avvicina a un tavolo sotto il quale ci sono due bambini e un cane dicendo con aria rassicurante «Va tutto bene», prende il cane ed esce tenendolo in braccio, mollando lì i bambini. '''Ne segue una preziosissima ''bufera sul web''''': non solo questi incoscienti non hanno tenuto conto dell’istanza «i cani sono la mia famiglia», ma neanche hanno apposto un ''trigger warning'' che rassicurasse il pubblico suscettibile. Se non ce lo dice nessuno, siamo autorizzati a pensare abbiano dato davvero fuoco al cane di scena. (E ai bambini, anche: me li stavo dimenticando anch’io).
L’unica volta che Instagram m’ha risolutamente comunicato d’aver rimosso un mio post è stato quando avevo pubblicato la foto d’un cane dentro a un bar. Precisando, nella didascalia, che mi sembrava assai poco igienico che in Italia si potesse entrare con animali in posti in cui si vende cibo, e che il cane si spulciasse a dieci centimetri dalle brioche che avrei di lì a poco acquistato. La foto non violava nessuna delle linee guida di Instagram (che sono perlopiù costituite dal divieto di ritrarre capezzoli e di pubblicizzare la vendita di armi), ma i volenterosi carnefici del senso del ridicolo hanno segnalato l’offesa alla loro suscettibilità di padroni di cani un numero sufficiente di volte da convincere l’algoritmo.
 
=== Il caso di Telefono Azzurro ===
 
Nell’autunno 2020 Telefono Azzurro, la storica linea telefonica che soccorre bambini maltrattati, fa un gesto suicida. Produce uno spot, col suo bravo cancelletto #PrimaIBambini, in cui un tizio entra in una casa in fiamme, si avvicina a un tavolo sotto il quale ci sono due bambini e un cane dicendo con aria rassicurante «Va tutto bene», prende il cane ed esce tenendolo in braccio, mollando lì i bambini. Ne segue una preziosissima ''bufera sul web''3: non solo questi incoscienti non hanno tenuto conto dell’istanza «i cani sono la mia famiglia», ma neanche hanno apposto un ''trigger warning'' che rassicurasse il pubblico suscettibile. Se non ce lo dice nessuno, siamo autorizzati a pensare abbiano dato davvero fuoco al cane di scena. (E ai bambini, anche: me li stavo dimenticando anch’io).
=== L’episodio a scuola - NON C’È LA FILA IN QUANTO ===
== NON C’È LA FILA IN QUANTO ==
Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me in quinta elementare. Avevo frequentato i primi quattro anni in una scuola dentro a un parco, si usciva alle quattro e mezza e si faceva merenda con certe rosette riempite di marmellata o nutella che venivano portate dentro secchi di plastica, senza alcun rivestimento singolo. Ogni volta che ci ripenso mi chiedo se oggi sarebbe più uno scandalo per le norme igieniche o per le allergie al glutine allo zucchero alla vita. In quinta mi spostarono nella scuola dove avrei fatto le medie, un istituto privato gestito da preti barnabiti, si usciva dalle lezioni all’una, in compenso in classe s’indossava un punitivo grembiule nero. Un pomeriggio vado a trovare i miei ex compagni e a un certo punto, chiacchierando e ridendo, ero in piedi ma ricordo ancora a che banco ero appoggiata, di fianco alla cattedra, dico «Stronza». '''La maestra s’impettisce, non mi dice come la me adulta s’aspetterebbe «Non si dicono queste parole»''', probabilmente perché ero sempre stata una parolaccia e lei essendo stata la mia maestra per quattr’anni aveva smesso di stupirsene. '''Mi dice «Tu queste parole non puoi usarle, perché non sei più di questa classe»'''. Quindi era quella cosa lì, l’identità: o sei dentro, o sei fuori.
=== L’episodio a scuola ===
Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me in quinta elementare. Avevo frequentato i primi quattro anni in una scuola dentro a un parco, si usciva alle quattro e mezza e si faceva merenda con certe rosette riempite di marmellata o nutella che venivano portate dentro secchi di plastica, senza alcun rivestimento singolo. Ogni volta che ci ripenso mi chiedo se oggi sarebbe più uno scandalo per le norme igieniche o per le allergie al glutine allo zucchero alla vita. In quinta mi spostarono nella scuola dove avrei fatto le medie, un istituto privato gestito da preti barnabiti, si usciva dalle lezioni all’una, in compenso in classe s’indossava un punitivo grembiule nero. Un pomeriggio vado a trovare i miei ex compagni e a un certo punto, chiacchierando e ridendo, ero in piedi ma ricordo ancora a che banco ero appoggiata, di fianco alla cattedra, dico «Stronza». La maestra s’impettisce, non mi dice come la me adulta s’aspetterebbe «Non si dicono queste parole», probabilmente perché ero sempre stata una parolacciara e lei essendo stata la mia maestra per quattr’anni aveva smesso di stupirsene. Mi dice «Tu queste parole non puoi usarle, perché non sei più di questa classe». Quindi era quella cosa lì, l’identità: o sei dentro, o sei fuori.
=== La finale dei Mondiali ===
Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me la sera della finale dei mondiali del 2006. Ero in una casa d’intellettuali d’un certo successo, mi stavo annoiando moltissimo (era la seconda partita della mia vita, ed ero incredula che risultasse inconcepibile fare conversazione durante: volete dirmi che vi serve concentrazione per seguire i calci al pallone?), quando un giocatore francese diede una testata a un giocatore italiano. La prima televisione».


Voglio dire: non ci voleva McLuhan, per capire che l’avrebbero replicato per anni. Lo sdegno pre-esisteva rispetto alla mia frase: appena l’italiano barcollò, i presenti, probabilmente provando l’editoriale che avrebbero scritto un paio d’ore dopo, s’affrettarono a dire a voce alta cose come «violenza inaccettabile». Poi, persi due secondi a sgridare la mia ammirazione, passarono alle appartenenze: la violenza è inaccettabile in generale, certo, ma dico, quello è uno dei nostri, e l’aggressore è uno dei loro. C’era una bambina di sei o sette anni, e anche lei annuiva contrita.


Quindi il patriottismo, quel valore che a me pareva più scemo della verginità, lo capiva anche un bambino. Poco dopo si aggiunse un nuovo strato al sentimento popolare, e gli intellettuali si divisero in due: quelli juventini (il tizio che aveva dato la testata era stato della Juve) erano lievemente meno indignati, quelli interisti (il tizio che aveva preso la testata era dell’Inter) lo erano un po’ di più.
== EPISODI REALI GRAVI ==
=== L’estate del 1987 ===
 
Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me l’estate del 1987. Mia madre mi telefonò da un albergo di Rimini dicendo che in piscina c’erano gli Spandau Ballet: volevo un autografo? Certo che sì, risposi smaniosa di fare invidia alle amiche. Peraltro senza farmi le domande ovvie (in che lingua gliel’avrebbe chiesto, mia madre che in inglese non sapeva chiedere neanche l’ora? Quanto sarebbero state contente, cinque popstar men che trentenni, che una signora di mezz’età con le tette di fuori – mia madre aveva questa per niente imbarazzante abitudine, allorché a bordo piscina – andasse a disturbare la loro tintarella in un albergo di lusso per dire che la bambina era tanto fan?).
=== L’episodio del ristorante - LA MORTE DEL CONTESTO ===
Nella primavera 2020, un tizio che di mestiere era famoso su Instagram '''aveva chiamato a raccolta l’indignazione collettiva''' per un filmato trovato in rete: un cliente di ristorante non inquadrato ma dalla parlata romanesca diceva a una cameriera dai tratti orientali «'''Cinese, mi stappi il vino, grazie cinese grazie'''». Il semifamoso non si era limitato a far conto sulla nostra sensibilità e sullo spontaneo raccapriccio per il vocativo razziale; ci aveva didascalizzato il perché quel che avevamo appena visto era male: «Quello che mi dispiace più di tutto è che evidentemente questa ragazza si sarà sentita mortificata da queste parole, '''e non ha avuto la prontezza o il coraggio o la forza in quel momento di chiedere a queste persone di abbandonare il locale,''' che sarebbe stato quello che avrei fatto io anche solo se avessi assistito a questa scena senza che le parole fossero rivolte a me. La mia solidarietà va a questa povera ragazza».
 
 
=== Il caso del professore - IL SECOLO FRAGILE ===
Il professor Coleman Silk va in rovina per un equivoco che sembra uscito da una qualunque giornata su Twitter (che all’epoca ancora non era stato inventato): chiede se i due studenti che non si presentano mai alle sue lezioni '''siano ''spooks,'' spettri'''; non li ha mai visti, quindi non sa che sono neri, e – sfiga nera, verrebbe da dire, ad aver voglia di farsi accusare di battute razziste – ''s'''pooks''''' '''è anche un modo offensivo per dire neri'''. Il professor Silk ha fatto una battuta innocentissima, ed è perciò ufficialmente razzista.
 
 
=== Il caso di un’autrice comica su Twitter - NIENTE BASTA MAI ===
Nella primavera del 2020, tocca a un’autrice comica statunitense con tutte le credenziali giuste rispetto alle buone cause, e che però usa il suo account Twitter per fare battutacce. Per chi scrive di mestiere, Twitter è una palestra: '''non sai se una cosa funziona finché non l’hai scritta''', e a volte è proprio se tutti si offendono che la cosa che hai scritto funziona. Oddio, «a volte»: sempre; nell’epoca in cui tutti si offendono per tutto, le uniche frasi che non suscitano indignazioni sono quelle che nessuno ha letto [...].
 
L’autrice comica si scusa, nella primavera 2020, per aver twittato, nel 2011 (prescrizione, dove sei), due righe che facevano così: «'''Non è più politicamente corretto chiamarli “ritardati”. Adesso devi chiamarli “asiatici'''”». Il meccanismo comico gioca sul fatto che la frase potabile sarebbe che non è più accettabile dire cose come «musi gialli», e che la dicitura corretta è «asiatici», esattamente come Eddie Murphy oggi non direbbe ''faggot,'' frocio, ma userebbe un’espressione non sconveniente; '''ma chiedere ai passanti dei social di capire un meccanismo comico significa non aver chiaro quanto bassa sia la loro soglia d’attenzione e quanto alta la loro determinazione a indignarsi'''. E infatti la folla notifica tutto il proprio sdegno alla poverina, giacché ella nel suo comunicato di scuse ha sì chiesto perdono alla comunità asiatica, ma non a quella dei disabili (per l’uso di «ritardati»).
 


Poi mia madre tornò, con una foto del gruppo e gli autografi di tutti e cinque (probabilmente una guardia del corpo le aveva impedito di avvicinarsi e, capito a gesti cosa volesse, le aveva dato una foto già pronta tirata fuori da apposito bagaglio a mano).
=== Il caso del negozio per taglie forti di Roma - NIENTE BASTA MAI ===
Niente basta mai: nell’autunno 2019 un negozio per taglie forti di Roma compra degli spazi pubblicitari in cui, sopra la foto d’un’obesa vestita da coniglietta, c’è lo slogan «T’abbacchi a Natale?». '''Inutile dire che il proprietario viene accusato''', a seconda della lingua preferita dai parlanti suscettibili, '''di ''fat shaming'''''<nowiki/>'','' cioè di svergognare il grasso (un negozio per taglie forti), o di grassofobia, cioè di temere il grasso (sempre un negozio per taglie forti).


Poi venne settembre, e io andai a scuola tutta garrula, e ne tornai tutta mogia. La mia compagna di banco mi aveva guardato con disprezzo e mi aveva detto «Noi siamo per i Duran». Noi chi? E in nome di cosa? Ho forse firmato un giuramento di fedeltà? Bisogna essere monogame delle canzonette? Ci avrei messo molti anni a capire che ero quella che va al derby dicendo «Non sono tifosa, mi piace il bel gioco»: una pazza. Da che esisteva il pop, le ragazze avevano scelto se stare coi Beatles o con gli Stones, con gli Spandau o coi Duran. Erano fedeltà impegnative: Gianni Morandi racconta che la madre al ''Cantagiro'' non tifava per lui perché era da prima fan di Claudio Villa, mica poteva cambiare appartenenza.
Intervistato, il proprietario dice che un’esponente del PD (forse davvero timorata dell’obesità) ha chiesto al sindaco di coprire i manifesti («penso che la Raggi abbia cose più importanti a cui pensare»), che in Italia siamo tutti arrabbiati e nessuno ride più, '''ma soprattutto chiarisce l’impossibilità d’uscire da quel vicolo cieco che è la suscettibilità'''. «Abbiamo fatto diverse campagne pubblicitarie negli anni, utilizzando sempre modelle in taglia 46-48, e tante clienti che venivano da noi, oltre la taglia 60, si lamentavano in quanto non si rispecchiavano nell’immagine pubblicitaria». Se ci metti la modella obesa ti tirano le pietre, se ci metti quella formosa ti tirano le pietre.
=== L’autunno del 2019 ===
Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me nell’autunno 2019, dopo la conferenza d’una scrittrice americana a Milano. C’era la fila per uscire dalla sala e, aspettando che la gente defluisse, mi sono trovata bloccata davanti a un uomo con in braccio un fagottino vestito di rosa. Con quell’impeto a dire qualcosa pur non avendo niente da dire che coglie gli esseri umani in ascensori o altri spazi angusti con estranei, ho detto a quella che credevo essere una bambina «Ma sei piccolissima tu». Il tizio mi ha corretto in tono neutro: «Piccolissimo». Mi sono scusata: «Sa, il rosa». Mi ha guardato con la soddisfazione di chi ti sta educando a evolverti:


«Certo: ''gender bias''»1. Ho capito che l’America era un po’ meno lontana, un po’ meno dall’altra parte della luna, se anche a Milano vestivamo neonati di rosa e poi ci lamentavamo del pregiudizio di genere, ma soprattutto mi sono chiesta quale fosse lo scopo ultimo del gioco: cosa vesti a fare di rosa un neonato – troppo piccolo perché il suo aspetto dia qualsivoglia indizio sul suo genere sessuale – se non per far sbagliare identificazione all’avventore in un posto in cui si parla una lingua coi generi ed è quindi impossibile dire tre parole su qualcuno senza declinare un maschile o un femminile?


Due sono i colori che dicono un sesso, perché diavolo non vesti un bambino di giallo canarino o di verde pistacchio o di rosso carminio, invece che usare l’unico colore che dà l’indicazione sbagliata del suo genere sessuale, per poi riprendere chi ci casca? Perché sei un uomo libero e la tua libertà è usare il rosa sul figlio maschio, certo: queste sono le cause per cui vale la pena immolarsi. Per rompere i coglioni, ecco perché. Siamo dispettosi, prima ancora che suscettibili. Ci piace mettere piccole trappole, e vedere (non troppo di nascosto) l’effetto che fa.
=== La studentessa vietnamita - LA PIGRIZIA DELL’INDIGNAZIONE ===
=== Il caso di Edward Enninful ===
In un’università californiana l’anno scorso c’era una studentessa vietnamita che si chiamava Phuc. '''Un anglofono lo pronuncia come ''fuck''''' (''scopare,'' ma anche parolaccia passepartout)'''. Un professore le ha chiesto di anglicizzarsi il nome perché non suonasse come un insulto'''. Io l’avrei fatto prima ancora che me lo chiedesse («Esatto: Giulia» dico sempre ai centralinisti per velocizzare il tutto). Una più pronta di riflessi di me gli avrebbe risposto che, se solo fosse stato più ''fluent'' in vietnamita, avrebbe saputo che la pronuncia di Phuc è in realtà “foub”. Phuc invece è figlia del secolo fragile, e perciò ha denunciato il comportamento discriminatorio del professore, '''che è stato sospeso dall’insegnamento'''.
Edward Enninful ha quarantotto anni, è nero, è gay, è nato in Ghana. A diciott’anni era già uno dei capi nel competitivo giro delle riviste di moda londinesi2. A quarantacinque diventa direttore dell’edizione inglese di ''Vogue.'' A luglio del 2020, un poverocristo della sorveglianza del palazzo londinese di Condé Nast (l’editore di ''Vogue''), uno cui la vita non ha concesso i mezzi e il privilegio di riconoscere gli abiti costosi e i ruoli che se ne possono intuire, lo scambia per un fattorino, e gli dice di usare l’ascensore di servizio.


Scandalo, discriminazione, indignazione.


Poiché, come dicevo qualche pagina fa, nell’identitarismo postmoderno tutto conta tranne la classe sociale, in quanto nero Enninful è «vittima di profilazione razziale», e l’orrido vigilante razzista va licenziato: tutti gli articoli di quei giorni concordano, e nessuno nota che, se si guarda alle gerarchie con più realismo e meno ubriachezza di postmodernismo, Enninful è un uomo di potere e quell’altro è uno il cui stipendio sì e no basterà a fargli pagare un affitto londinese.


Poiché l’inesistenza delle classi sociali è una delle più ridicole finzioni di questo tempo, sotto al post con cui Enninful racconta questa gravissima discriminazione, su Instagram, ci sono commenti indignati di tutta la meglio miliardaritudine del mondo della moda. Se sei un uomo di potere nel mondo della moda, è fisiologico che frequenterai modelle, stilisti, celebrità multimilionarie assortite assai più di quanto t’accada di frequentare tassisti e pizzaioli. Ma ciò non farà di te un soggetto forte, per carità: in-quanto-milionario vale meno, sulla scala delle suscettibilità, di in-quanto-nero e in- quanto-gay. Mentre licenziano il vigilante distratto, la vittima è quello che ha passato una vita dirigendo giornali.


Sei mesi dopo, Enninful viene nominato direttore editoriale di tutti i ''Vogue'' europei (in quanto nero? In quanto gay? In quanto traumatizzato dalla profilazione? L’ottimista in me vuole credere: in quanto capace). Del vigilante non si sono più avute notizie; difficile abbia trovato un nuovo lavoro, in quanto ormai ufficialmente razzista: speriamo abbia almeno ottenuto un sussidio di disoccupazione.
== OGGETTO E BERSAGLIO: TROVA LE (PICCOLE) DIFFERENZE ==
== OGGETTO E BERSAGLIO: TROVA LE (PICCOLE) DIFFERENZE ==
=== Tu non sei democraticaaaa ===
 
Per aver scritto, quando l’Inghilterra votò la Brexit, che non capivo come mai non prendessero esempio da me, che non lasciavo decidere alla maggioranza neanche dove si andasse a cena. Tu vuoi cancellare il voto, mi accusò con grandissimo senso del tono Twitter, ''tu non sei democraticaaaa,'' vibrò sdegnata come un solo Aldo Fabrizi che tenta di colpevolizzare Vittorio Gassman in ''C’eravamo tanto amati.'' È un caso che ricordo con affetto perché è l’unico in cui abbia visto l’internet usare ''democratico'' per quel che significa – che il mio voto vale quanto il tuo – e non in un immaginifico traslato sintetizzabile in «se non passi il pomeriggio a rispondere alle stronzate di Pirulino54 che ha deciso di citofonarti le sue opinioni su un social, allora non sei democratica».
 
=== L’articolo su Zidane ===
=== L’articolo su Zidane - OGGETTO E BERSAGLIO: TROVA LE (PICCOLE) DIFFERENZE ===
Per aver scritto un articolo, dopo la finale dei mondiali del 2006, che cominciava con «Io sto con Zinedine. Perché ha un’impagabile aria da criminale gentiluomo; per la cravatta allentata e la barba sfatta con cui è andato da Chirac» e proseguiva dicendo che Zidane era irresistibilmente occhiazzurrato e Materazzi orrendamente tatuato. Fu forse il record di lettere indignate ricevute da un giornale che mi pubblicasse.
Per aver scritto un articolo, dopo la finale dei mondiali del 2006, che cominciava con «Io sto con Zinedine. Perché ha un’impagabile aria da criminale gentiluomo; per la cravatta allentata e la barba sfatta con cui è andato da Chirac» e proseguiva dicendo che Zidane era irresistibilmente occhiazzurrato e Materazzi orrendamente tatuato. Fu forse il record di lettere indignate ricevute da un giornale che mi pubblicasse.


Riga 251: Riga 326:
=== La ricerca su Diana ===
=== La ricerca su Diana ===
Nell’autunno 2020, ventitré anni dopo la sua morte, le università di Tel Aviv e della Pennsylvania pubblicheranno una ricerca congiunta. In essa codificheranno quel carattere ormai universale di cui Diana era stata avanguardia: TIV, Tendenza alla Vittimizzazione Interpersonale. Ma noialtre italiane non avevamo dovuto aspettare ventitré anni, per il riconoscimento dell’archetipo. Erano bastati due giorni. Due giorni dopo la morte di Diana, ''l’Unità'' – ''l’Unità,'' non ''Gente'' – aveva titolato ''Scusaci, principessa.'' Ecco: le stavamo finalmente dicendo che ci dispiaceva, che ci dispiaceva di non averla amata abbastanza, che ci dispiaceva d’averla fatta lamentare e spiegare. Per farci perdonare, ci saremmo vittimizzati anche noi, ora che sapevamo come fare. Eravamo nella sindrome con ventitré anni d’anticipo, pazienti zero che aspettano per decenni che la psichiatria si accorga di loro.
Nell’autunno 2020, ventitré anni dopo la sua morte, le università di Tel Aviv e della Pennsylvania pubblicheranno una ricerca congiunta. In essa codificheranno quel carattere ormai universale di cui Diana era stata avanguardia: TIV, Tendenza alla Vittimizzazione Interpersonale. Ma noialtre italiane non avevamo dovuto aspettare ventitré anni, per il riconoscimento dell’archetipo. Erano bastati due giorni. Due giorni dopo la morte di Diana, ''l’Unità'' – ''l’Unità,'' non ''Gente'' – aveva titolato ''Scusaci, principessa.'' Ecco: le stavamo finalmente dicendo che ci dispiaceva, che ci dispiaceva di non averla amata abbastanza, che ci dispiaceva d’averla fatta lamentare e spiegare. Per farci perdonare, ci saremmo vittimizzati anche noi, ora che sapevamo come fare. Eravamo nella sindrome con ventitré anni d’anticipo, pazienti zero che aspettano per decenni che la psichiatria si accorga di loro.
== UN FRATE SPAGNOLO E UN SENATORE DEL WISCONSIN ENTRANO IN UN BAR ==
/
 
     
     
246

contributi