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Guia Soncini - L'era dell'indignazione, lista episodi
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== EPISODI REALI == === Il post su Facebook - LA MORTE DEL CONTESTO === [...] Quel giorno lì non me ne sono ricordata, della regola del mancato contesto, e quindi ho messo su Facebook il pezzettino di film, con sotto scritto «La verità è che invecchiare fa schifo». All’altezza di ''Sapore di mare,'' Virna Lisi aveva quarantasette anni, l’età che ho io mentre scrivo queste righe. La battuta funziona anche perché non è detta da un catorcio, ma da una d’indiscutibile splendore (la me quarantasettenne darebbe tutti gli organi interni che ha doppi, per metà di quella saputa bionditudine). Insomma, '''non ho ritenuto necessario specificare alcunché'''. Per chi, come me, si bulla di saper provocare indignazioni con la precisione con cui Pavlov agitava il campanello, lo sdegno imprevisto è sempre un brivido. '''Quella sera iniziarono ad arrivare notifiche offese che sottolineavano la mia ineleganza''', il mio non avere rispetto dei morti, e pure la mia inadeguatezza estetica (che è una cosa che sull’internet succede anche se parli di fame nel mondo: almeno quella volta la notazione era in tema). '''Tutto perché''' – l’avrete già capito – '''nessuno ricordava il pezzettino di film''', nessuno ci aveva cliccato capendo che la battuta era della Lisi, '''e tutti pensavano io stessi dicendo che la Lisi in quel brandello di film era da buttare nell’umido''' (incredibilmente, nessuno di coloro che ritenevano d’insolentirmi mi chiedeva se fossi per caso cieca). === Libri banditi - IL SECOLO FRAGILE === [...] C’è il posto in cui è bandito ''Il buio oltre la siepe'' (che, quanto a valore di classico per gli americani, è un po’ come se da noi vietassero ''I promessi sposi''), perché '''gli studenti non devono «sentirsi umiliati dagli epiteti razziali»''' (ripensandoci, evitare alle studentesse di sentirsi umiliate dalla scemenza di Lucia Mondella non è affatto una brutta idea); quello che toglie dal programma ''Uomini e topi'' perché contiene troppe parolacce; ''Il giovane Holden'' è un eterno ritorno del divieto da tantissimo tempo, nel 1960 un professore venne licenziato con l’accusa d’aver turbato un sedicenne assegnandogliene la lettura; ''La fattoria degli animali'' '''venne vietato in una scuola media e ci volle una petizione dei genitori per reintrodurlo tra le letture''' (Orwell andrebbe vietato per manifesta inutilità: sono decenni che leggiamo le sue esattissime previsioni su che diavolo di fine avremmo fatto come società, e non ci è servito a niente). Ma i miei preferiti sono gli studenti di Yale, una delle università più prestigiose del mondo, che '''nel 2016 chiedono che dai programmi di letteratura venga tolto Shakespeare, la lettura del quale «crea una cultura ostile agli studenti di colore»''' (in effetti quel Moro di Venezia era un vero stronzo), proponendo di inserire invece autori donne e gay, due quote presentissime nel Seicento inglese, e di «decolonizzare il programma di studi». === Le recensioni su Repubblica - PENSA OGGI === È il 1992. A ottobre partono i programmi televisivi della nuova stagione e, come da tradizione delle rubriche di critica, vengono recensite le prime puntate. Su ''Repubblica'' il titolare della rubrica è Beniamino Placido, il più raffinato intellettuale italiano che si sia mai esercitato nella critica televisiva. Così comincia il suo resoconto di due esordi domenicali: «Abbiamo seguito come abbiamo potuto ''Domenica in'' di Cutugno-Parietti su Raiuno, e ''Italiani'' di Barbato- Palombelli su Raitre. [...] Cosa abbiamo notato? Abbiamo notato – mica è colpa nostra, la televisione è fatta di immagini – che Barbara Palombelli (Raitre) aveva una minigonna più corta di quella di Alba Parietti». '''Canzonissima''' È il 1972. A ''Canzonissima,'' programma del sabato sera in quell’edizione condotto da Pippo Baudo e Loretta Goggi, Vittorio Gassman, ospite fisso, in una puntata – dopo che la sua voce fuori campo ha annunciato «voglio entrare in maniera semplice, tranquilla, modesta» – entra in scena assiso su una biga, '''tirata non da cavalli ma da signore impellicciate che il condottiero frusta per farle marciare'''. Baudo domanda chi siano, Gassman risponde: «La baronessa Taranti Maielli, la presidentessa delle opere pie dell’alto Lazio, e altre ammiratrici che si sono prestate volontariamente per tirare la mia biga. Brave bambine, vi siete fatte ammirare, ora in scuderia», poi quelle escono mute e lui procede a fare il suo numero. '''Tropic Thunder''' È il 2008. Ben Stiller gira e interpreta ''Tropic Thunder,'' un film satirico su tre attori imbecilli che girano un film di guerra. '''Il suo personaggio è reduce dall’insuccesso d’un film in cui interpretava quello che in un libro per gente perbene chiamerò un disabile'''. Il personaggio di Robert Downey jr. (che incidentalmente ha la faccia tinta di nero per fare l’afroamericano) gliene spiega con una certa lucidità i mancati incassi: «'''Lo sanno tutti che non devi farlo davvero ritardato'''. Facci caso. Dustin Hoffman, ''Rain Man'': sembra ritardato, si comporta da ritardato, non è ritardato. Conta gli stuzzicadenti, bara a carte. Autistico, mica ritardato. Tom Hanks, ''Forrest Gump.'' Lento, sì. Forse pure ritardato. Storpio. Ma faceva perdere la testa a Nixon e vinceva una gara di ping pong. Mica era un ritardato: era un cazzo di eroe di guerra. Conosci qualche eroe di guerra ritardato? Tu l’hai fatto davvero ritardato, mai farli davvero ritardati. Non ti fidi? Chiedi a Sean Penn, 2001, ''I am Sam,'' te lo ricordi? Davvero ritardato, davvero neanche un Oscar». '''Delirious''' È il 1983. Eddie Murphy è un comico nero ventiduenne e ha il livello di fama d’una rockstar. La HBO decide di registrare e mandare in onda lo spettacolo che sta portando in giro, ''Delirious.'' La prima frase del monologo è: «Qui ci sono delle regole, la prima è: i froci non sono autorizzati a leccarmi il culo mentre sto sul palco». S'''egue una spiegazione del suo muoversi sul palco per sfuggire a eventuali agguati degli omosessuali in platea''' (è una specie di versione «orgoglio etero» del «se ti muovi rapido, non vieni nelle foto» che Salvatores dieci anni dopo avrebbe fatto dire a un personaggio in ''Sud''). '''È uno dei rarissimi casi in cui la parola «omofobia»''', in genere impropriamente usata per chi aggredisce o ostracizza i gay (e quindi non ne ha paura: è semplicemente stronzo), '''ha un senso''': Murphy dice proprio d’avere paura dei gay, «mi terrorizzano, ho gli incubi». Dopo una divagazione sulla paura di «andare a Hollywood e scoprire che Mr T è un frocio» (Mr T era il personaggio nero di ''A-Team,'' telefilm di gran successo di quegli anni), si passa alle donne cui piace avere amici gay, e infine all’AIDS. Murphy – nel 1983, quando non c’era una cura per tenere sotto controllo l’HIV e la gente ne moriva a frotte – ha paura che glielo attacchi qualche ragazza che l’ha preso in discoteca dall’amico gay. E a quel punto non solo muori, ma penseranno anche tutti che sei omosessuale. È il 2008. ''Delirious'' esce in dvd. Contiene un’intervista in cui l’Eddie Murphy che va per i cinquanta commenta il sé stesso poco più che ventenne. '''L’intervistatore gli domanda se all’epoca ci fossero state polemiche'''. «Certo che c’erano i picchetti. Erano gli anni in cui non si parlava di niente, e io parlavo di tutto. Si parlava di gay, e fuori c’erano i gay che: No, no, no». Fa anche l’imitazione con la voce da ''Vizietto.'' '''Iva Zanicchi''' È il 2009. Iva Zanicchi porta a Sanremo una canzone intitolata ''Ti voglio senza amore.'' La prima sera del festival Roberto Benigni dedica tre minuti del proprio monologo al divertito stupore nel sentire una signora che canta «“fammi quello che ti pare però non finire presto”: è come dire “trombami e dura parecchio” [...] con tutto il rispetto, è un bel pezzo di donna, ma è un donnone, c’è da fare». '''La canzone non supera il primo turno di gara, la Zanicchi dà la colpa a Benigni, la polemica si esaurisce in dieci minuti.''' '''The Guardian''' È il 2004. Il ''Guardian,'' quotidiano inglese che già mostra le caratteristiche che lo porteranno poi a essere il bollettino ufficiale dell’era della suscettibilità, intervista Bill Murray, a proposito del ruolo che interpreta in un film intitolato ''Lost in Translation'': un attore americano che trascorre alcuni alienati giorni a Tokyo. '''In particolare gli chiedono se il film non sia pieno di stereotipi razziali e offensivo per gli orientali, una domanda alla quale qualunque persona sensata'''. Oggi sa di dover rispondere un contrito «sì». Nel 2004 Murray risponde: «So che i giapponesi ridono degli americanismi più di quanto noi ridiamo dei giapponesismi. Adorano osservare la stupidità del forestiero a Tokyo. Non sono per niente offesi. '''Lo sanno che i loro inchini sono buffi e che la loro lingua è impenetrabile per il resto del mondo»'''. '''Franca Valeri''' È il 2019. Franca Valeri pubblica un libro intitolato ''Il secolo della noia.'' A un certo punto, nel fare paragoni tra ora e allora, scrive: «Quando la politica era una specie di tabù, non troppo nominato, quando gli uomini chiudevano le porte, quando si poteva entrare con un ristoro, magari dei cioccolatini o uno spumante e si poteva dire: “Basta parlare di politica!”, e gli uomini tacevano». Aspetto l’insurrezione delle cancellettiste – come osa rimpiangere un tempo in cui la politica era privilegio degli uomini, in cui le donne erano quelle che portavano da mangiare –, ma non arriva. Sa'''rà perché hanno letto quell’intervista di trentacinque anni prima in cui l’intervistatrice rinfacciava a Roth di dividere le donne in psicopatiche che infelicitano la vita all’uomo e accudenti che gli preparano da mangiare,''' e Roth le ricordava che saper fare da mangiare era una dote equamente divisa tra le sane di mente e le stronze? Figuriamoci. Più probabile sia perché ciò che non può diventare istantanea da social network più difficilmente crea scandalo, certo d’un libro si potrebbe fotografare la pagina e twittarla con indignazione, ma toccherebbe comprarlo e leggerlo, e figuriamoci. O perché in quel 2019 Franca Valeri compiva novantanove anni, e quindi parlava a nome del tempo che era stato: n'''on era considerata in grado di comprendere l’evoluzione dei tempi e l’emancipazione e la fortuna di vivere adesso''', questo tempo sbagliato in cui tocca discutere di correnti di partito tutti i giorni persino se hai una vagina. Non sapeva quel che si era persa, povera Franca, solo per questo l’avevano lasciata in pace. Pensa se fosse stata considerata una di oggi. === L’episodio del MeToo - IL FETICISMO DELLA FRAGILITÀ === C’è un comico che non si può più citare giacché aveva l’abitudine di chiedere a signorine del suo ambiente lavorativo se desse fastidio il suo eventuale masturbarsi davanti a loro, e ricevuto l’assenso procedeva. All’inizio del MeToo, alcune delle signorine raccontarono al ''New York Times'' che il signore (si chiama Louis CK, nominiamo l’innominabile) aveva commesso una violenza, g'''iacché esse avevano sì detto di sì, ma solo perché, egemonizzate dal suo maggior successo professionale, ritenevano insubordinazione dire di no.''' Tutte le donne che hanno parlato di quella vicenda facevano (fanno) le comiche, e più o meno tutte hanno argomentato che il vero scandalo fosse che le loro carriere non erano decolla'''te, per colpa del bruto che le aveva traumatizzate prima e ostacolate poi.''' Pochi mesi dopo, a capodanno del 2018, su Netflix arriva il nuovo monologo di Dave Chappelle. Dave Chappelle è un comico nero d’una bravura sconcertante, ed è stato – parte della bravura – il più rapido a elaborare quel momento di moralizzazione e a trovare i punti giusti rispetto ai quali fare il suo lavoro, cioè prendere quel momento per il culo. Quel monologo – ''The Bird Revelation'' – si apriva con una panoramica del tipo «e poi non rimase nessuno»: erano i mesi in cui ogni giorno veniva fuori che qualche colosso della cultura americana si era comportato impropriamente con qualche signora, quaranta giorni o quarant’anni prima («Sono nel mondo dello spettacolo da trent’anni: non avevo mica capito che rischi correvo»). Dopo avere parlato di tutti gli altri, da Harvey Weinstein a Kevin Spacey, Chappelle arriva alla parte sensibile. Il suo collega, il suo amico, e anche quello le accuse nei confronti del quale erano più ridicole – epperò all’epoca non era socialmente accettabile ridicolizzarle, se non eri il più bravo a trovare il ridicolo in tutto. Noialtre leggevamo da mesi i resoconti chiedendoci come fosse possibile che uno che ha come fantasia sessuale farsi una sega davanti a donne con cui non ha relazioni, '''come fosse possibile che l’immagine di questo tizio che si sbottona i pantaloni paonazzo non fosse oggetto di ridicolo ma di terrore''', come fosse possibile che gli avessero tolto tutto (il suo film, i suoi programmi televisivi, la sua tournée teatrale) per punirlo, invece d’andare a teatro a ridere di lui – di lui, non con lui – appena usciva sul palco, invece di cantare «Faccelo vede’» fino a farlo morire di vergogna; noi tacevamo questi nostri dubbi, poi è arrivato Chappelle e: «Non dovrei dirlo, ma le accuse a Louis sono le uniche che mi hanno fatto ridere». «Una signora ha detto: “Louis ha rovinato il mio sogno di fare la comica”. Sul serio? Mi permetto di dirle, signora: lei non ha mai avuto un sogno. L’FBI aveva un programma per controllare e ricattare le figure pericolose, è per quello che esistono tante registrazioni di Martin Luther King con delle puttane. Ma, per nostra fortuna, lui un sogno ce l’aveva davvero. Pensate che se Louis si fosse fatto una sega davanti a Martin Luther King lui avrebbe detto “Non posso continuare con questo movimento, mi spiace ma la liberazione dei neri si ferma qui”?». E ancora: «Una delle signore ha detto: “Eravamo al telefono, e mi sono accorta che si stava masturbando”. Non sai riattaccare il telefono?». '''Naturalmente le feticiste della fragilità trovano offensivo che Chappelle rida delle vittime invece che dei carnefici,''' ma a me sembra l’unica posizione rispettosa. Quella che, invece di compatirti come fossi un’inetta incapace di farsi valere, ti chieda: «Sto colpevolizzando le vittime se dico che, se non riesci a fare di uno che si cala i pantaloni materiale comico, forse il tuo talento comico non è un granché?»; quella che ti tratti come una professionista adulta dalla quale ci si aspetta la stessa capacità reattiva che ha Chappelle, la stessa capacità di prendere una bruttura e vederne il ridicolo. A me sembra che l’unica domanda seria, sull’affaire CK, l’unica domanda femminista, l’unica domanda che prendesse sul serio le ambizioni professionali delle signore, se la sia fatta proprio Chappelle: «Com’è possibile che nessuna abbia ancora scritto il monologo ''Non riuscivo a riattaccare il telefono''?». === Il caso di Eddie Murphy - NIENTE BASTA MAI === È il 1996. Eddie Murphy è a San Francisco (città in cui i gay sono preponderanti) a girare un film, e dovrebbe andare ospite da David Letterman, che quella settimana registra il suo programma in città. Un consigliere comunale chiede che l’apparizione televisiva sia annullata, '''non essendosi Murphy mai scusato per le battute sull’AIDS fatte nel decennio precedente''', in quel ''Delirious'' di cui dicevo poco fa. '''Murphy diffonde un comunicato stampa in cui riconosce la gravità dell’AIDS''', dice che lui e la moglie conoscevano gente che ne è morta, che è una malattia che ha toccato tutti e in particolare la comunità nera. Soprattutto, dice che è ingiusto imputare a un trentacinquenne informato la sua disinformazione di quand’aveva poco più di vent’anni. «Come tutti, sono più preparato sull’AIDS nel 1996 di quanto lo fossi allora». '''Il consigliere comunale è felice delle scuse e le ritiene ben formulate''': «Ha indicato il punto che mi stava a cuore, come informarsi sul tema sia importante per tutti noi. Mi gratifica che abbia visto la luce». Se, come me, siete persone orribili, a questo punto penserete a una delle scene iniziali di ''Una poltrona per due,'' quando Murphy si finge cieco e senza gambe per mendicare, i poliziotti lo sollevano dalla tavola a rotelle su cui si trascina, gli si vedono le gambe, e lui scappa urlando «Io ci vedo! Miracolo! Il Signore ha aperto a Mosè le acque del Mar Rosso e adesso ha fatto questo a me!». Se riuscite a smettere di ridere, però, c’è un punto quasi serio che la vicenda Murphy ci permette d’illuminare, '''ed è la differenza tra le scuse nel mondo normale e quelle nell’era dei social'''. Il secondo insieme si definisce con tre parole: niente basta mai. Tanto vale stare fermi immobili, e aspettare che lo scandalo dell’altroieri venga dimenticato, perché se è toccato a noi, se siamo quelli che l’internet ha deciso di trovare oltraggiosi stamattina, non ci sono contrizioni che basteranno. Fermi immobili ripetendosi, per sedare l’eventuale panico, che tutte le indignazioni prima o poi diventano indignazioni dell’altro ieri. === L’indignazione su Mel Gibson - LA PIGRIZIA DELL’INDIGNAZIONE === Nell’estate del 2020 una mezza giornata d’indignazioni viene riservata a Mel Gibson, '''attore con taluni precedenti di scatti d’ira, uscite antisemite, crisi di nervi pubbliche e altre amenità'''. Lo spunto è un’intervista, al ''Sunday Times,'' di Winona Ryder. L’attrice racconta d’una festa alla quale l’aveva incontrato molti anni prima, e del fatto che, saputo che lei era ebrea, lui aveva detto qualcosa come «'''ah, hai schivato i forni'''». Mentre ci offendevamo in nome e per conto di tutti gli ebrei dall’Antico testamento a oggi, '''un giornalista dell’edizione americana di ''GQ'' ha timidamente fatto presente che veramente Winona quell’episodio l’aveva già raccontato in un’intervista a lui''', dieci anni prima, e all’epoca nessuno aveva fatto un plissé. Beh, figliolo, ma se tu non fai apposito screenshot da condividere sui social rendendoci comoda la suscettibilità, non è che puoi pretendere che compriamo i giornali. === Il dialogo con l’americano - L’AMERICANO CHE SAPEVA LE DONNE === All’inizio del 2018 un giornalista italiano mi dice che Buzzfeed sta preparando un’inchiesta (chiamiamola così per generosità lessicale) sul maschilismo della politica italiana, e se mi va di parlare col tizio che scriverà l’articolo. Che cosa potrà mai andar storto. '''Quella con l’americano che difendeva le donne è una delle conversazioni più lunari che mi sia mai accaduto d’avere'''. Comincia con lui che mi dice che '''l’Italia è maschilista perché nessun politico riceve la quantità d’insulti che riceve Laura Boldrini'''. Chiedo: l’ha verificato? Mi guarda con la polemica che gli luccica negli occhi (finalmente qualcosa che farà cliccare l’articolo, puntesclamativo): quindi sto dicendo che la Boldrini s’inventa gli insulti? No, sto chiedendo se lui, che si appresta a scrivere che la Boldrini è la più insultata d’Italia, sia andato a verificare le pagine degli altri politici, e a contare gli insulti: non frequento la pagina della Boldrini né quelle di altri politici, ma frequento i social, osservo la fauna che li popola, e tendo a escludere che sulla pagina di Grillo o su quella di Renzi i commentatori si portino come Lady Bracknell [...]. '''Credo che, se avessi bruciato la sua bandiera, all’americano che difendeva le donne si sarebbero gonfiate meno le vene del collo'''. Alzando la voce, si è messo a spiegarmi l’importanza dei modelli comportamentali, una questione che gli era evidente non avessi capito. '''Per sua fortuna non ero una delle donne che piacciono a lui''', altrimenti l’avrei accusato di ''mansplaining.'' Ve l’avevo detto che ogni nuova parola era una nuova scemenza da arginare, specie se parola inglese: ''mansplaining'' è quando un uomo spiega a una donna cose che ella già sa, ma egli non crede sappia perché è donna e quindi intellettualmente inferiore. A sentire le femministe dei cancelletti, questa cosa accade tutti i giorni più volte al giorno; a me non era mai capitata finché non ho incontrato un maschio femminista americano, e non mi è mai più capitata dopo: sono proprio un donnino fortunato. Ma la parte migliore della conversazione è avvenuta sul finale''', quando lui mi ha spiegato che certe critiche, insulti, osservazioni toccano solo alle donne.''' Nessuno mai, mi ha detto col tono di chi declama un’acclarata verità, commenta l’estetica d’un uomo. Ho strabuzzato gli occhi. È un argomento che vedo spesso usare on line, ma è così scevro del principio di realtà che strabuzzo gli occhi ogni volta (dovrebbe esistere un risarcimento per le rughe indotte dall’altrui scemenza argomentativa). === La copertina di Vogue - LA RICERCA SPASMODICA DEL CRETINO === Nel 2005, a social network non ancora nati, l’edizione americana di ''Vogue'' mette in copertina Drew Barrymore che posa con un leone. Nel 2020, non calcolando come siano cambiati i tempi, posta su Instagram quella vecchia copertina, '''e sotto è tutt’uno scandalo di animalisti offesi, i leoni devono stare liberi nella savana, mica in uno studio fotografico'''. Tuttavia – colpo di fortuna o sapienza nel manipolare l’algoritmo? – se vi perdete quello specifico post e relativi commenti non saprete nulla della polemica: la ricerca su Google di «Drew Barrymore leone polemica» '''risulterà in una serie d’articoli che riprendevano una dichiarazione della Barrymore del 2018'''. La dichiarazione diceva che, per perdere i chili della gravidanza, la signora aveva combattuto «come un leone». Se fossi incaricata di proteggere la reputazione on line d’una multinazionale, assumerei la Barrymore immediatamente. === Chiara Biasi - L’INDIGNAZIONE DEPERIBILE === Alla fine del 2019 ci siamo offese (di nuovo in quanto incapienti, e sempre in quanto passanti) con tal Chiara Biasi, chiunque ella sia (anche lei una pagata per prendere i cuoricini su Instagram vestendo il marchio tal dei tali, ma più pagata di quella di prima), '''perché in una candid camera durante un litigio aveva detto che lei per ottantamila euro neanche si alza dal letto'''. Le più vecchie trombone di noi hanno creduto fosse un omaggio a un’analoga affermazione di Linda Evangelista (megamodella degli anni Novanta, quando le modelle stavano sui giornali invece che sui social, di esse si sapevano i nomi, e della loro avidità non ci s’indignava: forse perché i giornali, diversamente dai social, avevano la saggezza di non lasciarci intervenire). '''Le altre si sono compattamente scandalizzate''', con commenti che andavano da «uno schiaffo a chi si alza alle tre di notte per mille euro al mese» (chissà se è lo stesso schiaffo di Charlize Theron) a «non so se vi ricordate di quando si è comprata uno spazzolino da 35 euro» (siamo così, dolcemente complicate: seguiamo i social della gente coi soldi e poi ci irritiamo quando quella si comporta da gente coi soldi) a «milioni di persone in Italia vivono nella disperazione, defollow di massa» (in effetti le crisi economiche strutturali in genere si risolvono seguendo sui social solo la Caritas) a «cancella i commenti, cara mia, il popolo di Twitter parla e tu non puoi fermarci». '''Ovviamente''', per lei come per tutti gli altri casi qui elencati, '''quelli che ci sono sembrati la fine del mondo e della civiltà per mezza giornata, un giorno e mezzo più tardi non se ne ricordava più nessun popolo''', né di Twitter né d’altrove (e per fortuna: v’immaginate che mondo sarebbe se dedicassimo più di due minuti della nostra attenzione alle sbagliatezze dette dagli sconosciuti?). === L’amica influencer - L’INDIGNAZIONE DEPERIBILE === Ho un’amica che viene sempre presentata come ''influencer.'' In realtà fa l’imprenditrice, ma – siccome ha molto seguito sui social e li usa per promuovere i prodotti della sua azienda – la pigrizia giornalistica la qualifica come ''influencer,'' '''un attributo che dovrebbe dirci che sei in grado di influenzare le nostre scelte e i nostri consumi ma in realtà significa più che altro che se posti una cosa su Instagram ti mettiamo molti cuoricini'''. Recentemente l’amica è stata presa in giro da un programma radiofonico che fa della comicità di grana piuttosto grossa. Ha quindi passato tre giorni a pubblicare video in cui: si diceva offesa; pretendeva le scuse del programma; pretendeva le scuse della radio; si diceva offesa in quanto donna; si diceva offesa in quanto lavoratrice; annunciava querele sostenendo che paragonarla a Belzebù non era satira ma diffamazione. «Signor giudice, mi hanno diffamata dicendo che ero come Belzebù» è una causa cui assisterei con gran sollucchero, ma ho evitato di dirglielo perché i tribunali mi sembrano già abbastanza intasati. E anche perché, in quei tre giorni, mi sono assunta l’ingrato compito di dirle di smetterla e di chiederle se fosse impazzita, mentre follower d’ogni grado di notorietà le davano ragione, vai a sapere se perché suscettibili per suo conto o se perché così si garantivano che il loro video venisse ripostato e visto da milioni di persone. Quando, settimane dopo, ne abbiamo discusso a freddo, la mia amica mi ha detto che io non capivo il mezzo: «Bi'''sogna sapere quali ''flame'' cavalcare e quali no. Io con quel ''flame'' lì ho guadagnato diecimila follower'''». === Il caso di Telefono Azzurro - NESSUNA SUSCETTIBILITÀ È STATA MALTRATTA === Nell’autunno 2020 Telefono Azzurro, la storica linea telefonica che soccorre bambini maltrattati, f'''a un gesto suicida'''. Produce uno spot, col suo bravo cancelletto #PrimaIBambini, in cui un tizio entra in una casa in fiamme, si avvicina a un tavolo sotto il quale ci sono due bambini e un cane dicendo con aria rassicurante «Va tutto bene», prende il cane ed esce tenendolo in braccio, mollando lì i bambini. '''Ne segue una preziosissima ''bufera sul web''''': non solo questi incoscienti non hanno tenuto conto dell’istanza «i cani sono la mia famiglia», ma neanche hanno apposto un ''trigger warning'' che rassicurasse il pubblico suscettibile. Se non ce lo dice nessuno, siamo autorizzati a pensare abbiano dato davvero fuoco al cane di scena. (E ai bambini, anche: me li stavo dimenticando anch’io). === L’episodio a scuola - NON C’È LA FILA IN QUANTO === Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me in quinta elementare. Avevo frequentato i primi quattro anni in una scuola dentro a un parco, si usciva alle quattro e mezza e si faceva merenda con certe rosette riempite di marmellata o nutella che venivano portate dentro secchi di plastica, senza alcun rivestimento singolo. Ogni volta che ci ripenso mi chiedo se oggi sarebbe più uno scandalo per le norme igieniche o per le allergie al glutine allo zucchero alla vita. In quinta mi spostarono nella scuola dove avrei fatto le medie, un istituto privato gestito da preti barnabiti, si usciva dalle lezioni all’una, in compenso in classe s’indossava un punitivo grembiule nero. Un pomeriggio vado a trovare i miei ex compagni e a un certo punto, chiacchierando e ridendo, ero in piedi ma ricordo ancora a che banco ero appoggiata, di fianco alla cattedra, dico «Stronza». '''La maestra s’impettisce, non mi dice come la me adulta s’aspetterebbe «Non si dicono queste parole»''', probabilmente perché ero sempre stata una parolaccia e lei essendo stata la mia maestra per quattr’anni aveva smesso di stupirsene. '''Mi dice «Tu queste parole non puoi usarle, perché non sei più di questa classe»'''. Quindi era quella cosa lì, l’identità: o sei dentro, o sei fuori. === L’articolo su Zidane - OGGETTO E BERSAGLIO: TROVA LE (PICCOLE) DIFFERENZE === Per aver scritto un articolo, dopo la finale dei mondiali del 2006, che cominciava con «Io sto con Zinedine. Perché ha un’impagabile aria da criminale gentiluomo; per la cravatta allentata e la barba sfatta con cui è andato da Chirac» e proseguiva dicendo che Zidane era irresistibilmente occhiazzurrato e Materazzi orrendamente tatuato. '''Fu forse il record di lettere indignate ricevute da un giornale che mi pubblicasse.''' '''Selezione purtroppo minima (ci vorrebbe un volume a parte) di stralci''': «Sconcertante e dannoso per un pubblico giovane. Propone infatti come positivi comportamenti che non lo sono affatto: la maleducazione (la barba sfatta ad un incontro ufficiale)»; «Il signor Zidane era da processare per tentato omicidio, come hanno dimostrato i medici, mentre Chirac e i francesi, e ora anche lei, per apologia di reato»; «La consueta mistura di radical-chic, gauche caviar, progressismo snob e finto anti razzismo esala dall’articolo becero della Soncini»; «Allora, se qualcuno mi insulta mentre sono al volante, sono autorizzata a scendere e spaccargli il cric sulla testa?»; «Io da oggi questo giornale non lo acquisterò più fin tanto che Lei ci scriverà, perché non voglio che i miei soldi vadano a una come Lei»; «Non so se lei ha figli, io sì e queste violenze, giustificate da persone come lei finto-buonista-antirazzista e di certo progressista, non sono certo un buon esempio da dare ai bambini»; «Lei sta con l’occhiazzurrato signor Zidane perché è più figo? Perché non chiede la cittadinanza francese?»; «Gentile Sig.ra Guia Soncini metta pure anche noi tra coloro che la accusano di apologia di reato ed anche tra coloro che si chiedono quali principi e valori le abbia trasmesso sua mamma, visto che lei esalta mamma Zidane» (quest’ultima mail aveva una firma di coppia: dovevano ancora arrivare Facebook e gli account matrimoniali, ma l’umanità che li avrebbe popolati già esisteva). === Le donne dell’ovest - NON C’È NIENTE DA RIDERE === Le donne dell’ovest, offese con Paola Perego, in una cui trasmissione era stato scherzosamente (ma non conta: quando c’è da offendersi, una battuta vale come un editoriale) detto '''che gli uomini preferiscono le donne dell’est per una lista di ragioni che vanno da «perdonano il tradimento» a «sono disposte a far comandare il loro uomo»'''. (Qui l’offesa era perfezionata dal fatto che la lista delle ragioni era stata dagli autori del programma messa in apposita schermata, comodamente fotografabile dal telefono e condivisibile per velocizzare l’indignazione). '''Gli asessuali''', anch’essi (ma un anno dopo) '''offesi con Paola Perego perché aveva scherzato sul loro non voler avere rapporti.''' A parte la recidività della Perego nel ritenere che nel nostro tempo si possano dire cose in tono lieve e non sentirsele rinfacciare come fossero proposte di legge, questo è il caso che mi ha più sorpreso. Se uno decide di non avere rapporti sessuali, immagino lo faccia per risparmiarsi soprattutto le scocciature annesse. Farne una militanza politica, una questione identitaria, un’appartenenza in nome della quale offendersi non è come sbattezzarsi? Ho sempre trovato inspiegabili quelli che, non credendo in un qualche dio, si prendono il disturbo di far cancellare da registri e documenti che è stata loro versata dell’acqua in fronte quando avevano pochi mesi. === La cancel culture - ANGOLI DI NICCHIE DI FRAZIONE DI MINORANZE === La ''cancel culture'' è ormai un tema così ''à la page'' che ti si nota di più se non te ne occupi. Ci stava per fare un libro Julie Burchill, la più interessante bastiancontraria d’Inghilterra: l’uscita di ''Welcome to the Woke Trials: How #Identity Killed Progressive Politics'' era prevista nell’aprile 2021; '''il libro avrebbe raccontato d’una volta in cui gli invasati di Twitter avevano chiesto''' (e ottenuto) '''la rimozione d’un articolo di Burchill accusandola di transfobia'''; poi, a dicembre 2020, Burchill s’è messa di nuovo a polemizzare su Twitter (questa volta il tema era Maometto), '''e l’editore ha dato retta ai suscettibili che la accusavano d’essere islamofobica, annullando l’uscita del libro.''' Ci ha fatto un documentario per la tv inglese Irvine Welsh (l’autore di ''Trainspotting,'' che mette l’uccisione d’un cane in ogni suo romanzo da quando s’è accorto che la gente se ne ha più a male rispetto a quando uccide gli umani: avrà lo stesso pubblico di Garrone). === I due fuoriscena - STAI PARLANDO CON ME? === Due scene con fuoriscena, da due programmi comici del 2019. Nel primo viene fatta la più innocua delle battute, sugli italiani che a quarant’anni ancora vivono con la mamma. Alla fine della registrazione, '''un tizio del pubblico in studio dà in escandescenze'''. Diverse persone tentano di calmarlo, e alla fine tocca chiamare la comica che aveva fatto quella battuta. '''Battuta che il signore era convinto fosse un attacco personale a lui'''. La comica non lo conosce, nessuno del programma lo conosce, ma lui vive con la mamma, e pretende che loro capiscano che c’è chi vive con la mamma perché ha dei problemi, non ha soldi, non ha lavoro. E lo capiscono tutti. Quel che non capisco io è perché un programma televisivo che fa una battuta su un tema che ti riguarda ti faccia reagire come una fidanzata che ti lascia. Nel secondo c’è un attore che fa il personaggio d’un leghista. Fa molto ridere, anche perché il programma è molto di sinistra, e il leghista che arriva e monologa è uno di quei contrasti che funzionano. Il contrasto dura una puntata. Dalla seconda – tra i teatri veneti che minacciano ritorsioni contro l’attore''', accusato d’essere «un veneto che parla male del Veneto»''', e l’illuminatissimo pubblico d’un programma comico di sinistra che, al funerale del contesto, si scandalizza per lo spazio dato a uno di destra – tocca mettere delle scritte in sovrimpressione: è un personaggio di fantasia, quello che vedete è un attore. È il tempo, che fa la differenza (oggi siamo più esposti di ieri a manifestazioni di fragilità, e quindi tendiamo a emularle), o il luogo (oggi ci fingiamo l’America, e quindi pensiamo di dover applicare lo stesso puritanesimo)? === La vignetta di Mattia Santori - CHI SI OFFENDE È PERDUTO === Mattia Santori è uno di quelli che, tra il 2019 e il 2020, si sono inventati il movimento chiamato Sardine. Sembravano il futuro della sinistra, e un mese dopo sembravano remoti come un governo Goria: chissà se è stato il Covid che ha modificato le priorità o se in quanto prodotto ittico erano ontologicamente deperibili. U'''n paio di settimane prima che scattasse la quarantena da virus, con squisito tempismo, Santori formula la proposta d’un Erasmus tra nord e sud Italia.''' Non viene irrisa quanto avrebbe dovuto (la satira ha da tempo rinunciato a occuparsi dell’attualità italiana che quotidianamente la supera in curva, e oltretutto col virus chiudono le poche produzioni televisive che s’occupassero di spernacchiare il dibattito pubblico: sono le settimane in cui cantiamo dalle finestre e abusiamo della parola ''eroi''); l’unico a farci una vignetta è un disegnatore di destra che ritrae un tizio sulla tomba di Santori che guarda la lapide sospirando «Lo sapevo non è stata una grande idea l’Erasmus tra nord e sud Italia, con ’sto Coronavirus in giro». La '''vignetta non fa ridere, non fa pensare, non fa niente, come quasi sempre accade alle vignette non disegnate da Altan'''. Andreotti avrebbe finto d’apprezzarla e ne avrebbe chiesto l’originale da incorniciare.
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