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Guia Soncini - L'era dell'indignazione, lista episodi
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=== La finale dei Mondiali - NON C’È LA FILA IN QUANTO === Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me la sera della finale dei mondiali del 2006. Ero in una casa d’intellettuali d’un certo successo, mi stavo annoiando moltissimo (era la seconda partita della mia vita, ed ero incredula che risultasse inconcepibile fare conversazione durante: volete dirmi che vi serve concentrazione per seguire i calci al pallone?), q'''uando un giocatore francese diede una testata a un giocatore italiano'''. La prima televisione». Voglio dire: non ci voleva McLuhan, per capire che l’avrebbero replicato per anni. Lo sdegno pre-esisteva rispetto alla mia frase: appena l’italiano barcollò, i presenti, probabilmente provando l’editoriale che avrebbero scritto un paio d’ore dopo, s’affrettarono a dire a voce alta cose come «violenza inaccettabile». Poi, persi due secondi a sgridare la mia ammirazione, passarono alle appartenenze: '''la violenza è inaccettabile in generale, certo, ma dico, quello è uno dei nostri, e l’aggressore è uno dei loro'''. C’era una bambina di sei o sette anni, e anche lei annuiva contrita. Quindi il patriottismo, quel valore che a me pareva più scemo della verginità, lo capiva anche un bambino. Poco dopo si aggiunse un nuovo strato al sentimento popolare, e gli intellettuali si divisero in due: quelli juventini (il tizio che aveva dato la testata era stato della Juve) erano lievemente meno indignati, quelli interisti (il tizio che aveva preso la testata era dell’Inter) lo erano un po’ di più. '''L’estate del 1987''' Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me l’estate del 1987. Mia madre mi telefonò da un albergo di Rimini dicendo che in piscina c’erano gli Spandau Ballet: volevo un autografo? Ce'''rto che sì, risposi smaniosa di fare invidia alle amiche'''. Peraltro senza farmi le domande ovvie (in che lingua gliel’avrebbe chiesto, mia madre che in inglese non sapeva chiedere neanche l’ora? Quanto sarebbero state contente, cinque popstar men che trentenni, che una signora di mezz’età con le tette di fuori – mia madre aveva questa per niente imbarazzante abitudine, allorché a bordo piscina – andasse a disturbare la loro tintarella in un albergo di lusso per dire che la bambina era tanto fan?). '''Poi mia madre tornò, con una foto del gruppo e gli autografi di tutti e cinque''' (probabilmente una guardia del corpo le aveva impedito di avvicinarsi e, capito a gesti cosa volesse, le aveva dato una foto già pronta tirata fuori da apposito bagaglio a mano). Poi venne settembre, e io andai a scuola tutta garrula, e ne tornai tutta mogia. '''La mia compagna di banco mi aveva guardato con disprezzo e mi aveva detto «Noi siamo per i Duran»'''. Noi chi? E in nome di cosa? Ho forse firmato un giuramento di fedeltà? Bisogna essere monogame delle canzonette? Ci avrei messo molti anni a capire che ero quella che va al derby dicendo «Non sono tifosa, mi piace il bel gioco»: una pazza. Da che esisteva il pop, le ragazze avevano scelto se stare coi Beatles o con gli Stones, con gli Spandau o coi Duran. Erano fedeltà impegnative: Gianni Morandi racconta che la madre al ''Cantagiro'' non tifava per lui perché era da prima fan di Claudio Villa, mica poteva cambiare appartenenza. '''L’autunno del 2019''' Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me nell’autunno 2019, dopo la conferenza d’una scrittrice americana a Milano. C’era la fila per uscire dalla sala e, aspettando che la gente defluisse, '''mi sono trovata bloccata davanti a un uomo con in braccio un fagottino vestito di rosa'''. Con quell’impeto a dire qualcosa pur non avendo niente da dire che coglie gli esseri umani in ascensori o altri spazi angusti con estranei, ho detto a quella che credevo essere una bambina «Ma sei piccolissima tu». Il tizio mi ha corretto in tono neutro: «Piccolissimo». Mi sono scusata: «Sa, il rosa». Mi ha guardato con la soddisfazione di chi ti sta educando a evolverti: «Certo: ''gender bias''». Ho capito che l’America era un po’ meno lontana, un po’ meno dall’altra parte della luna''', se anche a Milano vestivamo neonati di rosa e poi ci lamentavamo del pregiudizio di genere''', ma soprattutto mi sono chiesta quale fosse lo scopo ultimo del gioco: cosa vesti a fare di rosa un neonato – troppo piccolo perché il suo aspetto dia qualsivoglia indizio sul suo genere sessuale – se non per far sbagliare identificazione all’avventore in un posto in cui si parla una lingua coi generi ed è quindi impossibile dire tre parole su qualcuno senza declinare un maschile o un femminile? Due sono i colori che dicono un sesso, perché diavolo non vesti un bambino di giallo canarino o di verde pistacchio o di rosso carminio, invece che usare l’unico colore che dà l’indicazione sbagliata del suo genere sessuale, per poi riprendere chi ci casca? Perché sei un uomo libero e la tua libertà è usare il rosa sul figlio maschio, certo: '''queste sono le cause per cui vale la pena immolarsi'''. Per rompere i coglioni, ecco perché. Siamo dispettosi, prima ancora che suscettibili. Ci piace mettere piccole trappole, e vedere (non troppo di nascosto) l’effetto che fa. '''Il caso di Edward Enninful''' Edward Enninful ha quarantotto anni, è nero, è gay, è nato in Ghana. A diciott’anni era già uno dei capi nel competitivo giro delle riviste di moda londinesi. A quarantacinque diventa direttore dell’edizione inglese di ''Vogue.'' A luglio del 2020, un poverocristo della sorveglianza del palazzo londinese di Condé Nast (l’editore di ''Vogue''), '''uno cui la vita non ha concesso i mezzi e il privilegio di riconoscere gli abiti costosi e i ruoli che se ne possono intuire, lo scambia per un fattorino, e gli dice di usare l’ascensore di servizio.''' Scandalo, discriminazione, indignazione. Poiché, come dicevo qualche pagina fa, nell’identitarismo postmoderno tutto conta tranne la classe sociale, i'''n quanto nero Enninful è «vittima di profilazione razziale»''', e l’orrido vigilante razzista va licenziato: tutti gli articoli di quei giorni concordano, e nessuno nota che, se si guarda alle gerarchie con più realismo e meno ubriachezza di postmodernismo, Enninful è un uomo di potere e quell’altro è uno il cui stipendio sì e no basterà a fargli pagare un affitto londinese. Poiché l’inesistenza delle classi sociali è una delle più ridicole finzioni di questo tempo, sotto al post con cui Enninful racconta questa gravissima discriminazione, su Instagram, ci sono commenti indignati di tutta la meglio miliardaritudine del mondo della moda. Se sei un uomo di potere nel mondo della moda, è fisiologico che frequenterai modelle, stilisti, celebrità multimilionarie assortite assai più di quanto t’accada di frequentare tassisti e pizzaioli. Ma ciò non farà di te un soggetto forte, per carità: in-quanto-milionario vale meno, sulla scala delle suscettibilità, di in-quanto-nero e in- quanto-gay. Mentre licenziano il vigilante distratto, la vittima è quello che ha passato una vita dirigendo giornali. '''Sei mesi dopo, Enninful viene nominato direttore editoriale di tutti i ''Vogue'' europei''' (in quanto nero? In quanto gay? In quanto traumatizzato dalla profilazione? L’ottimista in me vuole credere: in quanto capace). '''Del vigilante non si sono più avute notizie'''; difficile abbia trovato un nuovo lavoro, in quanto ormai ufficialmente razzista: speriamo abbia almeno ottenuto un sussidio di disoccupazione.
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