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Guia Soncini - L'era dell'indignazione, lista episodi
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== EPISODI IPOTETICI == === Amiche fanno i figli - LA MORTE DEL CONTESTO === All’inizio del Ventunesimo secolo le mie amiche hanno iniziato a fare figli. Eravamo intorno ai trent’anni, e quindi ho potuto citare Rhett Butler più o meno fino al '''declino della fertilità delle donne con cui ero in confidenza'''. L’ho fatto con tutte, per quel che ricordo. La gravida di turno m’annunciava di essere incinta, e io rispondevo: «'''Sta’ allegra, potresti sempre perderlo'''». Se fosse stata una conversazione pubblica, e se fosse avvenuta quindici giorni e non quindici anni fa – insomma: se fosse un dialogo del presente – '''nel casino che scoppierebbe ci sarebbe sicuramente qualcuno pronto a citare il ''black humor'' e qualcun altro''' (con molte assenze nelle ore di filosofia) che scomoderebbe il cinismo [...] === L’intervista a Bret Easton Ellis - IL SECOLO FRAGILE === Un paio d’anni fa sono andata a intervistare Bret Easton Ellis, il cui ''Bianco'' girava intorno a questo tema – il secolo fragile, '''in cui troviamo intollerabile che qualcuno la veda diversamente da noi''', ci sentiamo minacciati appena le idee del nostro interlocutore non sono quelle che abbiamo stabilito essere buone e giuste, '''viviamo in una bolla in cui non vogliamo renderci conto di niente che ci disturbi''' – e mi aveva fatto pensare varie volte «Cosa lo scrivo a fare ''L’era della suscettibilità,'' ha già detto tutto lui». Per esempio in questo passaggio qui: ''L’onnipresente epidemia di autovittimizzazione – in cui definisci te stesso essenzialmente per mezzo di una cosa negativa, un trauma che hai subito in passato e a cui hai permesso di definirti – è a tutti gli effetti una malattia [...]. Il fatto che non si possa sentire una battuta o vedere una certa immagine (si'' ''tratti di un quadro o anche solo di un tweet) e che ogni cosa possa essere connotata come razzista o sessista (legittimamente o no) e sia dunque considerata nociva e intollerabile – e che dunque nessun altro debba avere modo di ascoltarla o vederla o tollerarla – è un nuovo tipo dimania, una psicosi che la nostra cultura ha incoraggiato.'' === La pillola anticoncezionale - PENSA OGGI === È il 1991. Ho fatto l’esame di maturità e sono in viaggio con tre compagne di classe. Siamo tutte più o meno diciannovenni, e il giro nei Caraibi che abbiamo organizzato prevede una prima tappa a Isla Margarita: il padre divorziato di una delle quattro vive lì. Dovremmo restare qualche giorno, ma c’è un imprevisto. La seconda mattina il padre convoca la figlia e '''le fa vedere indignato una pillola'''. '''Una pillola anticoncezionale'''. L’ha trovata per terra. Non è preoccupato perché quindi una di noi ha saltato la pillola senza avvedersene e urge rimediare rapidamente: '''è preoccupato per la morale delle sgualdrine cui s’accompagna sua figlia''' – una figlia che viveva in Italia mentre lui risiedeva in Venezuela, e sul cui codice di condotta immagino avesse quindi una salda presa, ma ora non divaghiamo. La compagna di classe torna mestamente da noi e ci dice che dobbiamo fare i bagagli prima del previsto: il padre, invece d’apprezzare la generosità con cui avevamo fatto una deviazione acciocché lui potesse vedere la figlia, ci ha messe al bando. Quelle troie delle tue amiche qui non ce le voglio. === Consigli su Reddit - LA PIGRIZIA DELL’INDIGNAZIONE === Idea per un racconto. Ambientare la lettera di Evelyn Waugh alla moglie nel 2020, e fare di lei una che va su Reddit, o analogo posto on line in cui si chiedano consigli sulla propria vita, '''a chiedere se sia saggio impermalirsi perché il marito le ha scritto che le sue lettere non sono all’altezza'''. Seguire il crescendo in cui le utenti la convincono che il marito sia un mostro e lei un genio della prosa vessato da un uomo geloso delle sue doti (frase-tipo della commentatrice alla derelitta: «Tu sei fortissima, ce la puoi fare, siamo donne, possiamo tutto»), '''e poi un redattore televisivo la invita a partecipare a un programma in cui ci si lamenta dei mariti che non ci comprendono''', non ci valorizzano, non ci meritano. Infine ritrovarla, divorziata e lieta della propria prosa non avvincente, che vende barrette dietetiche su Instagram. === L’episodio di Amber Ruffin - LA PIGRIZIA DELL’INDIGNAZIONE === Amber Ruffin è un’autrice comica nera. Nel 2020 le hanno dato da condurre un programma. Uno dei pezzetti che più si sono visti in giro, in un’epoca in cui il successo della tv si misura da quanti suoi pezzetti ne vengano diffusi in giro per social (quel che i giornalisti sciatti chiamano «diventare virale»), '''è una tirata in cui lamenta il razzismo dello sbagliare la pronuncia del nome di Kamala Harris'''. A sostegno della sua tesi, '''Ruffin elenca una serie di nomi di bianchi che nessuno sbaglia mai'''. Tra di essi ci sono l’attore Timothée Chalamet e la modella Emily Ratajkowski. Mi piacerebbe sapere chi frequenta Ruffin, perché io ho molti amici il cui massimo oggetto del desiderio è la Ratajkowski, e molte amiche che fanno un’eccezione al loro abituale non amare i ragazzini e bramano Chalamet, e nessuno di loro è in grado di compitarne o pronunciarne i cognomi. Io stessa li ho copiati da Google per scriverli qui, e se invece che un libro questa fosse una conversazione avrei fatto ciò che fanno tutti quelli che conosco quando devono citare quei due: chiamarli Ratacosa e Chalacoso. === Solo alle donne - L’AMERICANO CHE SAPEVA LE DONNE === «Solo alle donne» è un argomento così ricattatorio che neanche quand’è clamorosamente smentito dalla realtà osiamo contestarlo. Quando Emma Dante porta a Venezia un film tutto di femmine, un intervistatore domanda «Le figlie Macaluso sono tutte femmine. C’è un motivo?», '''venendo fulminato con sottintese accuse di maschilismo''': «Se avessi fatto un film di soli uomini me l’avrebbe chiesto?». Il tapino non osa far presente che, se nel 2020 qualcuno avesse osato fare un film di tutti maschi, fosse pure stato un film ambientato nella trincea della prima guerra mondiale e la prevalenza di genere fosse quindi stata storicamente non aggirabile, le accuse di ''tutti maschi'' sarebbero volate; s'''e poi quel film fosse stato diretto da una donna, ella sarebbe stata accusata d’essere ancella del patriarcato'''. ''Tutte femmine'' invece va bene: è perché è una rivalsa rispetto al sistema patriarcale? Ma, se lo è, non è forse una notizia, e quindi una domanda che valga la pena fare in un’intervista senza venire liquidati come dei fanatici arretrati? === Michela Murgia - LA RICERCA SPASMODICA DEL CRETINO === A un certo punto della quarantena da virus della primavera 2020, Michela Murgia è ospite d’un programma televisivo. Dice che è arrivata a Milano in '''un treno vuoto, per strada non c’era nessuno, e insomma se non fosse per i morti lei ci metterebbe la firma''', per avere città sempre così. Ovviamente è un’iperbole (una categoria che l’internet dovrebbe conoscere, essendo il luogo in cui ogni cosa che ci sembri vagamente riuscita è «genio» e «capolavoro», con relativi puntesclamativi). Altrettanto ovviamente, '''l’internet la fa nera'''. Plausibilmente, non perché tutti quelli a casa credano davvero che la scrittrice auspichi uno sterminio di massa; solo perché quelli che si prendono il disturbo di chiedere la sua cancellazione da ogni rilevanza pubblica hanno avuto una brutta giornata, '''o temono che una loro uscita infelice venga messa in evidenza''' e quindi smaniano per lasciare a qualcun altro il posto del linciato del giorno, o anche solo s’annoiano. === Skioffi - L’INDIGNAZIONE DEPERIBILE === Nell’autunno 2019 ci siamo offese (in quanto donne, in quanto passanti) con tal Skioffi, chiunque egli sia (un concorrente di ''Amici''), '''perché in una canzone il suo io narrante tornava a casa e si scopriva cornuto ed esprimeva dettagliatamente il proprio desiderio d’ammazzare l’amata'''. Processato in uno studio televisivo, il ragazzo si è sentito dire da una criminologa «Spero che sia fiction», e non ha avuto la prontezza di rispondere «No, ho ammazzato davvero la mia morosa e una canzone mi sembrava un buon posto per confessarlo»; ma d’altra parte neanche Shakespeare avrebbe avuto la risposta pronta, se avessero analizzato la sua fedina morale all’uscita dell’''Otello.'' === La puntata di Grey’s Anatomy - NESSUNA SUSCETTIBILITÀ È STATA MALTRATTA === Nel 2020 quella puntata di ''Grey’s Anatomy'' non verrebbe mai girata. Il discorso che fa Chimamanda Ngozi Adichie parlando delle reazioni esasperate a tutto ciò che disapproviamo (sì, insomma: di quella che in neolingua si chiama ''cancel culture''), '''la preoccupazione per l’autocensura dovuta al clima d’intimidazione intellettuale''', è tanto più valido quando ci sono di mezzo gli animali. Gli attivisti d’una volta, quelli che ti gettavano addosso vernici indelebili se giravi in pelliccia, erano tolleranti, in confronto all’isteria che oggi caratterizza gli amanti degli animali. Adesso, a parlare disinvoltamente di pellicce è rimasta solo la signora Deneuve, dio o chi per lui ce la conservi. === Il post su Instagram - NESSUNA SUSCETTIBILITÀ È STATA MALTRATTA === L’unica volta che Instagram m’ha risolutamente comunicato d’aver rimosso un mio post è stato quando avevo pubblicato la foto d’un cane dentro a un bar. Precisando, nella didascalia, che mi sembrava assai poco igienico che in Italia si potesse entrare con animali in posti in cui si vende cibo, e che il cane si spulciasse a dieci centimetri dalle brioche che avrei di lì a poco acquistato. L'''a foto non violava nessuna delle linee guida di Instagram''' (che sono perlopiù costituite dal divieto di ritrarre capezzoli e di pubblicizzare la vendita di armi), '''ma i volenterosi carnefici del senso del ridicolo hanno segnalato l’offesa alla loro suscettibilità di padroni di cani un numero sufficiente di volte da convincere l’algoritmo'''. === La finale dei Mondiali - NON C’È LA FILA IN QUANTO === Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me la sera della finale dei mondiali del 2006. Ero in una casa d’intellettuali d’un certo successo, mi stavo annoiando moltissimo (era la seconda partita della mia vita, ed ero incredula che risultasse inconcepibile fare conversazione durante: volete dirmi che vi serve concentrazione per seguire i calci al pallone?), q'''uando un giocatore francese diede una testata a un giocatore italiano'''. La prima televisione». Voglio dire: non ci voleva McLuhan, per capire che l’avrebbero replicato per anni. Lo sdegno pre-esisteva rispetto alla mia frase: appena l’italiano barcollò, i presenti, probabilmente provando l’editoriale che avrebbero scritto un paio d’ore dopo, s’affrettarono a dire a voce alta cose come «violenza inaccettabile». Poi, persi due secondi a sgridare la mia ammirazione, passarono alle appartenenze: '''la violenza è inaccettabile in generale, certo, ma dico, quello è uno dei nostri, e l’aggressore è uno dei loro'''. C’era una bambina di sei o sette anni, e anche lei annuiva contrita. Quindi il patriottismo, quel valore che a me pareva più scemo della verginità, lo capiva anche un bambino. Poco dopo si aggiunse un nuovo strato al sentimento popolare, e gli intellettuali si divisero in due: quelli juventini (il tizio che aveva dato la testata era stato della Juve) erano lievemente meno indignati, quelli interisti (il tizio che aveva preso la testata era dell’Inter) lo erano un po’ di più. '''L’estate del 1987''' Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me l’estate del 1987. Mia madre mi telefonò da un albergo di Rimini dicendo che in piscina c’erano gli Spandau Ballet: volevo un autografo? Ce'''rto che sì, risposi smaniosa di fare invidia alle amiche'''. Peraltro senza farmi le domande ovvie (in che lingua gliel’avrebbe chiesto, mia madre che in inglese non sapeva chiedere neanche l’ora? Quanto sarebbero state contente, cinque popstar men che trentenni, che una signora di mezz’età con le tette di fuori – mia madre aveva questa per niente imbarazzante abitudine, allorché a bordo piscina – andasse a disturbare la loro tintarella in un albergo di lusso per dire che la bambina era tanto fan?). '''Poi mia madre tornò, con una foto del gruppo e gli autografi di tutti e cinque''' (probabilmente una guardia del corpo le aveva impedito di avvicinarsi e, capito a gesti cosa volesse, le aveva dato una foto già pronta tirata fuori da apposito bagaglio a mano). Poi venne settembre, e io andai a scuola tutta garrula, e ne tornai tutta mogia. '''La mia compagna di banco mi aveva guardato con disprezzo e mi aveva detto «Noi siamo per i Duran»'''. Noi chi? E in nome di cosa? Ho forse firmato un giuramento di fedeltà? Bisogna essere monogame delle canzonette? Ci avrei messo molti anni a capire che ero quella che va al derby dicendo «Non sono tifosa, mi piace il bel gioco»: una pazza. Da che esisteva il pop, le ragazze avevano scelto se stare coi Beatles o con gli Stones, con gli Spandau o coi Duran. Erano fedeltà impegnative: Gianni Morandi racconta che la madre al ''Cantagiro'' non tifava per lui perché era da prima fan di Claudio Villa, mica poteva cambiare appartenenza. '''L’autunno del 2019''' Ho capito che c’era qualcosa che non andava in me nell’autunno 2019, dopo la conferenza d’una scrittrice americana a Milano. C’era la fila per uscire dalla sala e, aspettando che la gente defluisse, '''mi sono trovata bloccata davanti a un uomo con in braccio un fagottino vestito di rosa'''. Con quell’impeto a dire qualcosa pur non avendo niente da dire che coglie gli esseri umani in ascensori o altri spazi angusti con estranei, ho detto a quella che credevo essere una bambina «Ma sei piccolissima tu». Il tizio mi ha corretto in tono neutro: «Piccolissimo». Mi sono scusata: «Sa, il rosa». Mi ha guardato con la soddisfazione di chi ti sta educando a evolverti: «Certo: ''gender bias''». Ho capito che l’America era un po’ meno lontana, un po’ meno dall’altra parte della luna''', se anche a Milano vestivamo neonati di rosa e poi ci lamentavamo del pregiudizio di genere''', ma soprattutto mi sono chiesta quale fosse lo scopo ultimo del gioco: cosa vesti a fare di rosa un neonato – troppo piccolo perché il suo aspetto dia qualsivoglia indizio sul suo genere sessuale – se non per far sbagliare identificazione all’avventore in un posto in cui si parla una lingua coi generi ed è quindi impossibile dire tre parole su qualcuno senza declinare un maschile o un femminile? Due sono i colori che dicono un sesso, perché diavolo non vesti un bambino di giallo canarino o di verde pistacchio o di rosso carminio, invece che usare l’unico colore che dà l’indicazione sbagliata del suo genere sessuale, per poi riprendere chi ci casca? Perché sei un uomo libero e la tua libertà è usare il rosa sul figlio maschio, certo: '''queste sono le cause per cui vale la pena immolarsi'''. Per rompere i coglioni, ecco perché. Siamo dispettosi, prima ancora che suscettibili. Ci piace mettere piccole trappole, e vedere (non troppo di nascosto) l’effetto che fa. '''Il caso di Edward Enninful''' Edward Enninful ha quarantotto anni, è nero, è gay, è nato in Ghana. A diciott’anni era già uno dei capi nel competitivo giro delle riviste di moda londinesi. A quarantacinque diventa direttore dell’edizione inglese di ''Vogue.'' A luglio del 2020, un poverocristo della sorveglianza del palazzo londinese di Condé Nast (l’editore di ''Vogue''), '''uno cui la vita non ha concesso i mezzi e il privilegio di riconoscere gli abiti costosi e i ruoli che se ne possono intuire, lo scambia per un fattorino, e gli dice di usare l’ascensore di servizio.''' Scandalo, discriminazione, indignazione. Poiché, come dicevo qualche pagina fa, nell’identitarismo postmoderno tutto conta tranne la classe sociale, i'''n quanto nero Enninful è «vittima di profilazione razziale»''', e l’orrido vigilante razzista va licenziato: tutti gli articoli di quei giorni concordano, e nessuno nota che, se si guarda alle gerarchie con più realismo e meno ubriachezza di postmodernismo, Enninful è un uomo di potere e quell’altro è uno il cui stipendio sì e no basterà a fargli pagare un affitto londinese. Poiché l’inesistenza delle classi sociali è una delle più ridicole finzioni di questo tempo, sotto al post con cui Enninful racconta questa gravissima discriminazione, su Instagram, ci sono commenti indignati di tutta la meglio miliardaritudine del mondo della moda. Se sei un uomo di potere nel mondo della moda, è fisiologico che frequenterai modelle, stilisti, celebrità multimilionarie assortite assai più di quanto t’accada di frequentare tassisti e pizzaioli. Ma ciò non farà di te un soggetto forte, per carità: in-quanto-milionario vale meno, sulla scala delle suscettibilità, di in-quanto-nero e in- quanto-gay. Mentre licenziano il vigilante distratto, la vittima è quello che ha passato una vita dirigendo giornali. '''Sei mesi dopo, Enninful viene nominato direttore editoriale di tutti i ''Vogue'' europei''' (in quanto nero? In quanto gay? In quanto traumatizzato dalla profilazione? L’ottimista in me vuole credere: in quanto capace). '''Del vigilante non si sono più avute notizie'''; difficile abbia trovato un nuovo lavoro, in quanto ormai ufficialmente razzista: speriamo abbia almeno ottenuto un sussidio di disoccupazione. === Tu non sei democraticaaaa - OGGETTO E BERSAGLIO: TROVA LE (PICCOLE) DIFFERENZE === Per aver scritto, quando l’Inghilterra votò la Brexit, '''che non capivo come mai non prendessero esempio da me, che non lasciavo decidere alla maggioranza neanche dove si andasse a cena'''. Tu vuoi cancellare il voto, mi accusò con grandissimo senso del tono Twitter, ''tu non sei democraticaaaa,'' vibrò sdegnata come un solo Aldo Fabrizi che tenta di colpevolizzare Vittorio Gassman in ''C’eravamo tanto amati.'' È un caso che ricordo con affetto perché è l’unico in cui abbia visto l’internet usare ''democratico'' per quel che significa – che il mio voto vale quanto il tuo – e non in un immaginifico traslato sintetizzabile in «se non passi il pomeriggio a rispondere alle stronzate di Pirulino54 che ha deciso di citofonarti le sue opinioni su un social, allora non sei democratica». === Il commento su una foto - NON C’È NIENTE DA RIDERE === I custodi dell’infanzia violata, offesi con una scrittrice che, commentando una foto d’una cinquenne facente parte della famiglia reale inglese, '''aveva ironizzato ella stesse seduta «da gattamorta»''' (al trentesimo «come ti viene in mente di sessualizzare una bambina di cinque anni» mi risuonava in testa ''i bambini non si toccanoooo''; '''quando qualcuno ha spiegato che “gattamorta” non ha connotazioni sessuali''', e gli offesi hanno replicato che, anche se non vuol dire quello da dizionario, loro lo usano in quel senso e quindi ormai è così, ho pensato che Borges sarebbe andato in brodo di giuggiole, a vedere cos’era diventata una lingua teoricamente condivisa). === I parenti dei malati di cancro - NON C’È NIENTE DA RIDERE === I parenti dei malati di cancro, offesi con chiunque usi l’espressione «lottare contro il cancro». '''Che è un’espressione bruttina, ne convengo, non foss’altro perché la lotta prevede armi più o meno pari,''' ma se uno la vuole usare per il proprio decorso clinico, con tutto quel che ha da pensare mentre ha il cancro, vorremo lasciargli almeno questa libertà? E invece quando il più famoso conduttore americano di quiz, Alex Trebek, ha annunciato d’avere il cancro al pancreas, e lo ha comunicato dicendo che avrebbe lottato e l’avrebbe sconfitto, si è trovato tra le altre incombenze di giornata il dover rendere conto all’invasata di turno che ''mia madre è morta di cancro non starai mica dicendo che non'' ''ha lottato abbastanza per vivereeee.'' === La sinistra più pura - NON C’È NIENTE DA RIDERE === '''La sinistra più pura, offesa con Zalone sempre per ''Tolo Tolo'''''<nowiki/>'','' per tanti di quei dettagli che non saprei elencarli tutti, sostanzialmente riassumibili in: ''La gente muore e tu fai il film comicoooo.'' Sarebbe facile liquidarli come cretinetti dell’internet che pensano – come l’assai irriso personaggio di Alan Alda in ''Crimini e misfatti'' – che la comicità sia «tragedia+tempo», e non sanno che Chaplin fece ''Il grande dittatore'' in piena gloria di Hitler, mica aspettò che fosse passata la nottata. Il guaio è che anche i migliori hanno il loro ''Tu mia mamma la lasci stare, capitoooo,'' e quindi a scrivere a proposito di ''La grande guerra'' (il film di Monicelli sulla prima guerra mondiale) che «Caporetto non me la dovete toccare» non è un passante dell’internet ma Carlo Emilio Gadda – che, come un isterico con wifi del secolo successivo, strabilia anche perché «il pubblico ride, non capisco cosa ci sia da ridere». === I generi dell’italiano - CHI SI OFFENDE È PERDUTO === L’italiano è una lingua coi generi, e tentare di renderla neutra produce comicità involontarie. All’inizio i volenterosi carnefici del senso del ridicolo mettevano gli asterischi, che però presentano due problemi. '''Il primo è che i generi, oltre ai sostantivi, riguardano tutto il resto, e finisci per dimenticarti sempre qualcosa.''' Car* amic* vicin* e lontan*, siete invitate – eccolo là, t’è scappato il femminile. I'''l secondo è: quando scrivi, vabbè, ma quando parli, come diavolo li pronunci, gli asterischi?''' La seconda ondata d’inclusività pare quindi aver optato per la u come sostitutiva di qualunque lettera finale. Col risultato che volevano sembrare moderni e sembrano solo di Nuoro (se non ricevo entro una settimana almeno un messaggio indignato «Nuoro è bellissima, cos’hai contro Nuoro, come osi mancare di rispetto ai sardi», vuol dire che questa pagina non l’ha letta nessuno). === Il sensitive reading - LA PREMESSITE: SE LA CONOSCI NON TI UCCIDE === La forma più degenerata di premessite si chiama ''sensitivity reading.'' '''È la pratica per la quale, prima di decidere se pubblicare un libro, nelle case editrici inglesi e americane il testo viene sottoposto ad appositi lettori incaricati di vagliare l’impatto che può avere su alcune suscettibilità.''' Questo no perché offende i vegani, questo no perché offende i tifosi della tal squadra, questo no perché offende i giocatori di burraco. Non sarò certo io a dire che questo criterio impedisce la pubblicazione dei testi più interessanti (non mi viene in mente neanche un libro che valga la pena leggere e che non dispiaccia a nessuno: presto saremo pieni di libri innocui, immagino sia auspicabile in cambio d’una vita senza scossoni; senza gli scossoni che vengano dalla letteratura, non potendoci i ''sensitivity reader'' difendere dai traumi della vita, quella screanzata). L’anno scorso, dopo alcune polemiche per un editoriale d’un senatore repubblicano, '''i giornalisti del ''New York Times'' chiesero che il giornale si dotasse di ''sensitivity reader'' per poter vagliare gli articoli e controllare preventivamente che non spiacessero a qualcuno'''. Stranamente nessuno ha proposto di cambiare lo slogan del giornale da «All the news that fit to print», tutte le notizie che vale la pena pubblicare, a «Tutte le notizie che non danno fastidio a nessuno dei redattori». Raccontano gli editori di quei paesi avanzati che il ''sensitivity reading'' non ha il solo intento di ostacolare la pubblicazione dei libri offensivi, ma anche quello di far coprire ai propri testi tutto l’arco sociale: '''se hai già in catalogo un romanzo su una bianca borghese, chiederai all’autore d’un secondo romanzo con protagonista simile di trasformare la sua in, che so, sottoproletaria indiana.''' Dev’essere questo che intende Fran Lebowitz quando dice che c’è troppa democrazia nella cultura e non abbastanza nella società. Invece di preoccuparci di far prendere alla sottoproletaria indiana l’ascensore sociale, la mettiamo in un romanzo. Ora sì che i suoi problemi sono risolti. === La prova dell’11 settembre - COM’È COMINCIATA: DIANA, LA DEA DELLA VULNERABILITÀ === Avevo vent’anni quando lei e Carlo divorziarono, ventiquattro quando Diana Spencer morì: vivevo a Roma da sei anni, sei anni di tabloid inglesi comprati all’edicola di piazza Colonna. Sei anni di intercettazioni con amanti e altre amenità: '''Diana era l’unico personaggio della mia infanzia che avessi portato nella mia giovinezza''' (avevo mollato sia Julio Iglesias sia Miguel Bosé). Evidentemente non ero l’unica: dal punto di vista dell’informazione, '''la morte di Diana Spencer fu una prova generale dell’11 settembre'''. Come sarebbe poi accaduto per l’11 settembre, non si scrisse d’altro per mesi; diversamente dall’11 settembre, quando morì erano già anni che non si scriveva d’altro che di lei (la quantità di foto pubbliche della sua ultima estate rende difficile credere che fosse il 1997, e che Instagram non sarebbe esistito per altri tredici anni). Il fatto è che Diana non era uscita dai rotocalchi e non aveva invaso l’informazione cosiddetta seria in quanto principessa: l’aveva fatto in quanto vittima. Aveva mandato in frantumi, con la sola forza della voce sussurrata e dello sguardo da cerbiatto cui un cacciatore abbia ammazzato la mamma, il motto della casa reale, «Never complain, never explain, never say “I’m sorry”». Diana si lamentava tantissimo, faceva arrivare alla stampa (anche prima di darle esplicitamente lei) tantissime spiegazioni, e ambiva chiaramente a un universo in cui tutti le dicessero «Mi dispiace». In un rifacimento di ''Love Story,'' Diana pensava che tutti dovessero scusarsi con lei (non essendo in grado di amarla come e quanto meritava). === La ricerca su Diana - COM’È COMINCIATA: DIANA, LA DEA DELLA VULNERABILITÀ === Nell’autunno 2020, ventitré anni dopo la sua morte, le università di Tel Aviv e della Pennsylvania pubblicheranno una ricerca congiunta. I'''n essa codificheranno quel carattere ormai universale di cui Diana era stata avanguardia''': TIV, Tendenza alla Vittimizzazione Interpersonale. Ma noialtre italiane non avevamo dovuto aspettare ventitré anni, per il riconoscimento dell’archetipo. Erano bastati due giorni. Due giorni dopo la morte di Diana, ''l’Unità'' – ''l’Unità,'' non ''Gente'' – aveva titolato ''Scusaci, principessa.'' Ecco: le stavamo finalmente dicendo che ci dispiaceva, che ci dispiaceva di non averla amata abbastanza, che ci dispiaceva d’averla fatta lamentare e spiegare. Per farci perdonare, ci saremmo vittimizzati anche noi, ora che sapevamo come fare. Eravamo nella sindrome con ventitré anni d’anticipo, pazienti zero che aspettano per decenni che la psichiatria si accorga di loro.
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