Guerra in Ucraina, le riflessioni di Toni Capuozzo

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Chi è Toni Capuozzo

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Post del 25 Gennaio 2022

Non credo di essere snob o, al contrario, populista nel dire che tutto il brusio sull'elezione del Presidente mi sembra stonato rispetto ad almeno due emergenze, quella pandemica e quella internazionale in Ucraina.

Non mi sembra che la classe politica ci stia facendo una gran figura e la sacralità della scadenza mi pare sopraffatta da calcoli pensionistici tra i parlamentari, sfiorite passioni ideologiche tra il pubblico, editoriali bizantini e modesti gossip nel giornalismo. Veniamo da una pessima figura in Afghanistan, tuttora pagata soprattutto dalle donne afghane.

Ci accodiamo alle tensioni ucraine senza porci domande: ma è davvero così essenziale per l'Occidente l'espansione della Nato ai bordi della Russia (sì, la stessa Nato che stava in Afghanistan)?

John Kennedy stava per fare una guerra quando l'URSS si preparava a mettere i missili a Cuba. Quando accendi un confronto è sempre difficile fare un passo indietro.

Prima ancora di sbandierare il valore della pace, non basterebbe pensare che, sì, la Russia campa sull'esportazione del suo gas e pagherebbe caro uno stop, ma l'Europa poggia per quasi metà del suo fabbisogno su quella fonte, e ci troveremmo al freddo?

Sì, la guerra è impossibile. Però le cose scivolano di mano, e allora anche le scadenze istituzionali più sobrie fanno il rumore di un'orchestrina di Sanremo: intrattiene e distrae.

Post del 15 Febbraio 2022

"Le guerre oggi sono fatte di guerre di propaganda e psicologiche". Toni Capuozzo, ospite di Nicola Porro a Quarta Repubblica su Rete 4, ha parlato della crisi in Ucraina, con la Russia da una parte e gli Stati Uniti dall'altia. Link al post su facebook

Link al video della trasmissione

UNA SOLA CERTEZZA

Un teatrino gonfiato

Ieri sono stato ospite di Quarta Repubblica per parlare di Russia e Ucraina. Ho provato a dire, con semplicità, quello che penso. Che non succederà niente, e che la tensione è stata gonfiata anche dalla specie di conto alla rovescia innescato dalla CIA e reso pubblico (mi è sembrata una scena da Colosseo: quello che si sporge minacciando di buttarsi e la folla crudele che lo sfida a farlo…).

Le guerre, i conflitti di potenza, non hanno sempre bisogno di spari e sangue: notizie, minuetti diplomatici, movimento dei pedoni sulla scacchiera sono come certi duelli tra cervi o altri animali nella stagione dell’amore: incruenti, ma veri.

Le ragioni della Russia

Ho provato a dire che la pretesa della Russia di non avere i missili Nato sul pianerottolo di casa non è balzana.

E che dobbiamo interrogarci sull’utilità dell’espansione della Nato, invece di legami commerciali, civili, politici.

Facciamo la radiografia a ogni paese che domanda di aderire all’Unione Europea, e invece la Nato è a porte aperte? Abbiamo per forza bisogno di un nemico?

Ho cercato di spiegare che tutto è molto legato all’Afghanistan.

Le ragioni di questo teatrino

Putin, che ha visto l’impero sovietico incominciare a franare proprio lì, ha visto Biden in difficoltà, ed ha pensato che adesso era il turno dell’impero americano.

Biden, in difficoltà anche con i suoi elettori ha bisogno di girare pagina.

Da domani probabilmente la gara sarà a indossare la medaglia sul petto: “Li abbiamo costretti a tenere distante la Nato” o “Gli abbiamo fatto spegnere i motori dell’invasione”.

Meglio Russia o USA, Democrazia vs Dittatura? O "esportazione della democrazia"?

Ombre e le penombre degli USA

Quanto alle scelte di campo per me è ovvio vedere nella democrazia americana qualcosa che mi è più congeniale del regime russo, anche se la Russia è un paese che mi è caro. Ma non ignoro che gli USA – e specie con presidenti democraticihanno dato inizio a un sacco di guerre, e la Russia di Putin no, limitandosi a bruschi interventi in Siria e di seconda mano in Libia.

Europa

Penso che esistano strumenti democratici di soluzione dei secessionismi (referendum di autodeterminazione, autonomie sudtirolesi eccetera) che l’Europa dovrebbe favorire. E non credo che l’Europa, anche al di là del fabbisogno energetico, abbia bisogno di individuare in Mosca un nemico, o di avere per forza bisogno di un nemico, al di là del terrorismo internazionale.

Ombre e le penombre del regime russo

Un interlocutore, garbatamente, mi ha ricordato le ombre e le penombre del regime russo, parlando anche di un giornalista italiano ucciso. Non solo conosco le penombre russe e bielorusse, dalla Politovskaya in giù. Ma ricordo – e l’ho fatto – il nome del giornalista italiano, Antonio Russo di Radio radicale, ucciso in Georgia. Forse, in quell’ angolo di mondo dove ognuno ha i suoi torti, avrei dovuto ricordare anche Andy Rocchelli, ucciso da milizie ucraine.

L'impatto sui prezzi

Alla fine, però, di una sola cosa sono certo. Anche se la tensione si sgonfiasse, difficilmente l’aumento dei prezzi, che dal gas ha contagiato gli articoli al consumo, farà marcia indietro, come i carri armati che risalgono su un treno.

Post del 17 Febbraio 2022

GUERRA MONDIALE O GUERRA DEI BOTTONI

Come tutti ho fatto scongiuri, temendo la terza guerra mondiale.

Ma adesso è guerra delle diffidenze tra i grandi e dei dispetti tra i piccoli. Guerra, ma di propaganda.

Vengono diffuse foto di ponti costruiti apposta dalla Bielorussia per facilitare l'invasione.

Filorussi del Donbass e ucraini si accusano a vicenda di bombardamenti a colpi di mortaio.

Kiev mostra le foto di un asilo colpito, e per fortuna vuoto. Sembra strano l'interno senza neppure un principio d'incendio, come succede dopo un'esplosione. E ancora di più l'esterno, bombardato a vetrate intatte, come se tra gli armamenti fosse rimasta la catapulta. Forse ha ragione quella conduttrice moscovita, che ha proposto beffardamente di proclamare il 16 febbraio "Giorno della non invasione".

Ultim'ora: Biden insiste, invasione imminente. Spero davvero si sbagli, però almeno fissi una data.

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/foto/ucraina-denuncia-colpito-dai-filorussi-un-asilo_46101047-202202k.shtml

Post del 24 Febbraio 2022

E' difficile provare a essere razionali quando sai che c'è chi muore, adesso, e quando tutto sembra una follia. L'invasione di Putin è basata su due convinzioni:

  1. Gli Stati Uniti non interverranno se non a parole, e la Nato idem
  2. Le sanzioni faranno male alla Russia ma non sono fatali.

L'invasione ha due obbiettivi, annunciati nelle parole di Putin

  1. demilitarizzare
  2. denazificare il paese. Cosa vuol dire? Distruggere l'apparato militare e destituire la dirigenza politica ucraina, magari sostituendola con uomini ucraini di fiducia.

Quanto ci vorrà per raggiungere questi obbiettivi? E' questa la domanda che decide l'agenda dei prossimi giorni, e la natura del conflitto.

La terza guerra mondiale? Se qualcuno si azzardasse a intromettersi, Putin promette conseguenze mai viste, ma nessuno lo farà.

Resterà un conflitto locale, che cambia il mondo, e spoglia i sogni di quieta globalizzazione, di allegro e indolore contagio della democrazia.

Allora tutta causa di Putin?

  • Chiediamoci se è stato saggio aprire filiali Nato come caffetterie
  • se l'Ucraina ha giocato la carta giusta, scegliendo di non essere neutra e rassicurante parte terza.

Un giorno nero per l' Europa, umiliante per gli Stati Uniti. E per Putin? Come per ogni giocatore, dipende da come finisce l'azzardo. Noi? Il barile di petrolio ha superato i 100 dollari, oggi.

Fa male al cuore vedere quel che succede, ma anche il portafoglio duole un po'.

Post del 24 Febbraio 2022

C'è sempre una parte con cui stare: i civili innocenti, poichè non esistono guerre chirurgiche nè bombardamenti intelligenti.

Ci sono sempre colpe da distribuire:

  • Putin, la sua politica di potenza, l'ordine di invasione.
  • Biden, la sfida di una Nato senza confini.
  • Il premier ucraino che si è fatto spingere nella sfida - vai avanti tu - senza valutare che forse per l'Ucraina libera era meglio essere una terra di nessuno, o dei soli ucraini, scambi e commerci piuttosto che missili.

Nessuno è completamente innocente, se non i civili.

E a questo punto c'è da sperare con tristezza che duri poco, che la Russia di Putin smantelli l'apparato militare ucraino e ne deponga il governo, nominando un fantoccio e facendo dell'Ucraina una Bielorussia 2. No?

Protrarre la resistenza vuol dire essere spettatori di una lunga agonia o intervenire. Chi è disposto a morire per Kiev alzi la mano.

Oppure c'è da sperare che si ripeta la Georgia del 2008. La Russia si tiene Mariupol e forse Odessa, e molla l'osso.

L'Ucraina resta in libertà vigilata, la cosiddetta finlandizzazione, cioè la sovranità su trasporti, sanità eccetera, non sulle alleanze politico militari. Per chiunque ami la pace è un giorno nero.

Possiamo anche chiederci se Putin non abbia varcato la linea, se non abbia esagerato con l'azzardo, e sia ormai un'autocrate folle, distante da tutto come in fondo a uno di quei tavoli lunghi. Vedremo.

Intanto chi sta peggio, tra i cosiddetti grandi, è Biden. E anche noi europei a scaricare salve di sanzioni che faranno male a sanzionati ma anche a sanzionanti.

Ma i grandi se la cavano sempre. I civili no, che parlino russo o ucraino, o yiddish, come gli ultimi ebrei di Odessa.

Post del 25 Febbraio 2022

IL TEMPO SULL’ISOLA

Come spesso accade alle isole, l’isola dei Serpenti, a 45 chilometri dalle coste ucraine e rumene, ha un suo microclima, piuttosto mite. I serpenti sono in realtà bisce d’acqua che arrivano dalla foce del Danubio aggrappate ai rami che galleggiano nella corrente, e gli unici animali sono cani, gatti, e i polli allevati dagli 80 abitanti, tra militari, scienziati, guardiano del faro e impiegati destinati a fare dell’isola brulla – neanche un albero – un posto abitato, cosa che conta nei contenziosi con la Romania, dopo che si sono scoperti giacimenti di gas nei fondali circostanti. Cosa è successo,ieri ? Che una nave russa si è avvicinata e ha intimato la resa alla guarnigione – tredici uomini – di stanza sull’isola. Che li ha mandati a quel paese. Sono morti tutti. Questo dice qualcosa sulla voglia di resistenza di un popolo che non se l’aspettava – non avevano fatto il pieno delle automobili né scorte alimentari – ma anche su una sfida affrontata senza realismo. Il premier Zelenski lo rivela, quando accusa il pauroso ’Occidente di averli lasciati soli: era una solitudine annunciata, ma gli ucraini non si aspettavano neanche quella. Adesso conta il tempo: se Putin non riesce, come un serpente boa, a soffocare la capitale e il governo, se l’esercito ucraino riesce a schivare le battaglie campali e trasformarsi in guerriglia – urbana, il paese è piano, uniche montagne in Crimea, e i Carpazi – se riesce a prolungare un’agonia insopportabile per l’opinione pubblica mondiale e persino per quella russa, è la sfida di Putin a diventare poco realistica, e dovrebbe trattare senza "smilitarizzazione e denazificazione", accontentandosi di una lezione inflitta, una vittoria costata cara sul piano dell’immagine. Ogni giorno di sopravvivenza, per una leadership che a Washington qualcuno starà già pensando di esfiltrare - porre in salvo per formare un governo in esilio - è tempo guadagnato, e tempo perso per l’avventura russa. Kiev non è Sarajevo, ma neanche l’Isola dei Serpenti.

Post del 25 Febbraio 2022

UNA VIA D'USCITA ?

Pallida, ma una soluzione si fa strada. Sarebbe della Cina, che dell'invasione non poteva non sapere - Putin era stato a Pechino il 4 febbraio - la regia. La Cina si era già detta pronta ad aiutare la Russia sotto sanzioni, ma nello stesso tempo ha buoni rapporti con l'Ucraina di Zelensky. Ed è Pechino ad aver incoraggiato un contatto tra le due parti in conflitto: Putin sa che il tempo non gioca a suo favore, se Kiev resiste. Il premier ucraino, deluso e irato con l'Occidente, può sperare di resistere, ma non al costo di immolare i suoi cittadini. Una sola condizione alla trattativa: no alla Nato. Con realismo, sarebbe accettata. Sarebbe il silenzio delle armi, la parola alle parole. Troppo sangue già versato per tornare indietro ? Un cavallo di Troia per prendere Kiev e il suo leader ? Non succede, ma se succede, America ed Europa fanno la figura degli umarell e Pechino quella del capocantiere.

Post del 27 Febbraio 2022

Chiuso ogni spiraglio di trattativa, la battaglia di Kiev è iniziata. E' stata la notte degli ultimi discorsi. Adesso inizia la paura per l'impiego di armi peggiori. per la caccia all'uomo, per i bombardamenti che la corsa contro il tempo rende indiscriminati. Ogni giorno in più adesso è una sconfitta bruciante per Putin, e una costosissima vittoria per gli ucraini. Mentre il mondo condanna - la Cina, dopo aver provato a mediare, si astiene - la domanda sembra una sola: la determinazione di Kiev a non arrendersi, a vendere cara la pelle e la libertà, può muovere qualcosa a ovest, può indurre Putin a frenare, o servirà solo a rendere più feroce la battaglia finale, a prolungare un'agonia ?

Post del 28 Febbraio

UNA COPERTA O UN PO’ DI BENZINA SUL FUOCO  ?

Stamattina si parlano. Non sono così ottimista. Immagino che la parte ucraina cercherà di non essere sbrigativa, perché ogni giorno in più di resistenza è un giorno vinto. Dall’altra parte i russi devono ottenere qualcosa presto, per la stessa opposta ragione. Hanno incontrato una resistenza più forte del previsto, e l’Occidente si è compattato, invece di dividersi. Possono i carri armati invertire il senso di marcia  ? Ho visto accanite discussioni sulle colpe, e non mi sembra più il momento. Ho ascoltato recriminazioni sul passato degli uni e degli altri: nessuno ha tutte le ragioni, nessuno ha tutti i torti. Ho sentito liti sull’indole di Putin, e non è quel che conta, adesso. Non è equidistanza, conta chi ha invaso, e iniziato una guerra: sono fatti. Ma conta come reagire. Mi sorprende che i leader europei, e in generale i media e i commentatori, non si siano buttati sull’arsenale della pace, che è fatto di soluzioni, di proposte, di mediazioni, di dilazioni, non di sola speranza. Si sono studiate sanzioni, si è fatta molta retorica sulla resistenza, si inviano armi. Non vorrei che a Washington qualcuno, ringalluzzito dalla tenuta dell’esercito e dei cittadini ucraini, pensasse che è l’occasione per far pagare l’azzardo a Putin, per farlo ritornare vinto a casa, a vedersela con un paese umiliato, con qualcuno che pensi di soppiantarlo. Certo, mi auguro che un giorno non lontanissimo anche la Russia trovi una sua democrazia, se lo vorranno i cittadini russi. Ma so bene che, davanti all’imbarazzo del vicolo cieco e al fantasma della sconfitta, Putin può essere tentato dal tanto peggio tanto meglio. Le donne che confezionano le molotov, i ragazzi che imbracciano i fucili, gli ucraini tutti che non siano davvero molto anziani non hanno visto una guerra, non ancora. La Russia di Putin ha usato solo una parte degli uomini schierati al confine, e solo una parte delle sue armi. Ho visto cento volte in televisione lo stesso grattacielo colpito da un missile, come una rarità. Vi ricordate Grozny ? Vi ricordate Aleppo ? Sapete cos’è non un missile balistico, ma un bombardamento aereo ? Putin vi sembra una belva ? Immaginatevi una belva ferita, senza i guardiani di una vera opposizione, un vero parlamento. Certo, possiamo incoraggiare gli ucraini seduti al tavolo, stamane, a non cedere in niente. Che devono solo chiedere il dietrofront dei russi, e rivendicare il diritto a entrare nella Nato, come la Macedonia o il Montenegro (è molto più facile entrare nella Nato che nell’Unione Europea, si). Possiamo pretendere che Putin si ammansisca, mandarlo a quel paese. Io non so quale sia il laccio emostatico, se si possa a quel tavolo impegnarsi a non entrare nella Nato e però avere subito il diritto indisturbato a entrare nell’Unione Europea. Non so cosa succederebbe se quattro o cinque dei premier combattenti a distanza delle capitali europee, Roma o Berlino, si dirigessero dopodomani a Kiev con il biglietto d ‘ingresso omaggio per gli ucraini nel parlamento di Bruxelles, scudi umani e politici della libertà fatta di diritti, non di missili puntati da una parte o dall’altra. Non so, non è il mio mestiere. Ma noto che non è neppure il mestiere delle cancellerie europee, e neanche delle forze politiche, tutte inadeguate al caso, sembrano in una campagna elettorale anche in questa vicenda più grande e più tragica. Trovo debole persino la voce dei leader religiosi, e di quelli morali. Quando ero ragazzo la chiamavamo “la cartolina”. Era la chiamata di leva, la chiamata alle armi. I postini sono indaffarati, in questi giorni.

Ricordatevi però che il 4 di febbraio Putin andò a Pechino e forse ricevette un via libera. Ricordatevi che il tavolo di questa mattina l’ha allestito la Cina, non le Nazioni Unite. Ricordatevi pure tutti i valori che volete, ma siate realisti. Sul fuoco si getta una coperta, lo si soffoca. Non benzina. Tra sconfiggere Putin ed evitare un conflitto mondiale, scelgo la seconda. La solidarietà migliore a chi in questa settimana è stato aggredito è fermare la guerra. Per discutere come ci si è arrivati, e i torti e le ragioni di un conflitto sordo iniziato otto anni fa, e della lunga marcia della Nato a est, per quello ci sarà tempo dopo.

Sono andato lungo, lo so. Però sto per tacere un po’. Oggi inizio a scendere nei Balcani a fare un piccolo lavoro cui tengo molto, a lungo rinviato per la pandemia. Poco computer e poco telefonino, dunque. Grazie per avermi seguito, apprezzato o criticato, ma sempre senza urlare. Arrivederci.

Post del 6 Marzo 2022

ELOGIO DELLA RESA?

È domenica, nevica, e avrei voluto raccontarvi di questi giorni in Bosnia, a girare tra quel che resta di una guerra lontana. E invece mi torna in mente di quando ero un giovane inviato nelle rivoluzioni dell’America Latina, e non riuscivo a non sorprendermi della crudezza di una parola d’ordine diffusa: “Patria o muerte”. Veniva da un discorso di Fidel Castro nel 1960, ma assomigliava alle storie risorgimentali che mi avevano insegnato a scuola, a un’ idea del sacrificio che mi pareva marmorea, retorica, e fuori dal mio tempo (Non avresti combattuto il nazifascismo? Credo di sì, ma non è il mio tempo…). Mi è successo tante altre volte di chiedermi se avessero ragione quelli che si apprestavano, o almeno si dichiaravano pronti a morire per qualcosa, da Sarajevo a Gerusalemme, da Kabul a Mogadiscio, dalla Libia alla Siria. Sono uno che prova paura, ed evitavo di chiedermi se la mia distanza fosse viltà, o miseria di valori. Mi dicevo che morirei per salvare i miei figli, e la domanda successiva riapriva il problema: dove arriverei per difendere i figli degli altri? So come me la cavavo: non morirei, ma neanche ucciderei in nome di una bandiera, in nome di un confine, non c’è nulla che valga la vita di un altro. Questa mia confusione ritorna, in questi giorni. Voglio confessarla semplicemente, come un pensiero banale.

Non mi sorprende la voglia di resistenza degli ucraini, anche se penso che la loro esperienza di guerra, prima, fosse solo la guerra sporca del Donbass. Non mi sorprende che resistano con un orgoglio quasi commovente a un’aggressione.

Mi sorprende il loro leader, che riscuote tanta ammirazione per un comportamento che ci sembra senza pari, tra i politici nostri, e per la forza delle parole, delle espressioni, della barba trascurata e delle magliette da combattente. Un grande leader, per me, non è chi è pronto a morire. Questo dovrebbe essere il minimo sindacale. Un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva. Ecco, a me pare che Zelensky lo stia accompagnando allo sbaraglio, sia pure in nome della dignità e della libertà e dell’autodifesa, tutte cause degnissime.

E dunque mi sorprende ancora di più l’Occidente che lo spinge, lo arma, e in definitiva lo illude, perché non acconsente a dichiarare quella no fly zone che vorrebbe dire essere trascinati in guerra, come a Zelensky non dispiacerebbe. E da questa comoda posizione però incita, fosse mai che la trappola diventi la tomba per Putin: si chiamano proxy war, guerre per interposta persona, che altri combattono in nome tuo. Se va bene, bene, abbiamo vinto. Se va male, che siano curdi o afghani, hanno perso loro.

In due parole: credo che sarebbe stato più sensato e utile mediare, provare non a sconfiggere Putin con il sedere degli altri, ma a fermarlo, a scombussolarne i piani. Cosa intendo? Una resa dignitosa, una trattativa per cedere qualcosa ma non tutto, per raffreddare il conflitto, mettendo in campo caschi blu e osservatori, idee e prese di tempo. E invece vedo che piace l’eroismo, vedo che i nazionalismi non fanno più paura, che patria o morte torna di moda, dopo che anche i presidenti della Repubblica erano passati al termine “Paese”: piacciono le patrie altrui.

No, si chiama de escalation: evitare che milioni debbano scappare. Evitare che migliaia debbano morire, salvare il salvabile, le idee e le persone che si fa in tempo a salvare. Però ormai lo scelgono loro. Per quel che riguarda noi, risparmiamoci almeno la retorica.