Guerra in Ucraina, le riflessioni di Toni Capuozzo

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Chi è Toni Capuozzo[modifica | modifica sorgente]

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Post del 25 Gennaio 2022[modifica | modifica sorgente]

Non credo di essere snob o, al contrario, populista nel dire che tutto il brusio sull'elezione del Presidente mi sembra stonato rispetto ad almeno due emergenze, quella pandemica e quella internazionale in Ucraina.

Non mi sembra che la classe politica ci stia facendo una gran figura e la sacralità della scadenza mi pare sopraffatta da calcoli pensionistici tra i parlamentari, sfiorite passioni ideologiche tra il pubblico, editoriali bizantini e modesti gossip nel giornalismo. Veniamo da una pessima figura in Afghanistan, tuttora pagata soprattutto dalle donne afghane.

Ci accodiamo alle tensioni ucraine senza porci domande: ma è davvero così essenziale per l'Occidente l'espansione della Nato ai bordi della Russia (sì, la stessa Nato che stava in Afghanistan)?

John Kennedy stava per fare una guerra quando l'URSS si preparava a mettere i missili a Cuba. Quando accendi un confronto è sempre difficile fare un passo indietro.

Prima ancora di sbandierare il valore della pace, non basterebbe pensare che, sì, la Russia campa sull'esportazione del suo gas e pagherebbe caro uno stop, ma l'Europa poggia per quasi metà del suo fabbisogno su quella fonte, e ci troveremmo al freddo?

Sì, la guerra è impossibile. Però le cose scivolano di mano, e allora anche le scadenze istituzionali più sobrie fanno il rumore di un'orchestrina di Sanremo: intrattiene e distrae.

Post del 15 Febbraio 2022[modifica | modifica sorgente]

"Le guerre oggi sono fatte di guerre di propaganda e psicologiche". Toni Capuozzo, ospite di Nicola Porro a Quarta Repubblica su Rete 4, ha parlato della crisi in Ucraina, con la Russia da una parte e gli Stati Uniti dall'altia. Link al post su facebook

Link al video della trasmissione

UNA SOLA CERTEZZA

Un teatrino gonfiato[modifica | modifica sorgente]

Ieri sono stato ospite di Quarta Repubblica per parlare di Russia e Ucraina. Ho provato a dire, con semplicità, quello che penso. Che non succederà niente, e che la tensione è stata gonfiata anche dalla specie di conto alla rovescia innescato dalla CIA e reso pubblico (mi è sembrata una scena da Colosseo: quello che si sporge minacciando di buttarsi e la folla crudele che lo sfida a farlo…).

Le guerre, i conflitti di potenza, non hanno sempre bisogno di spari e sangue: notizie, minuetti diplomatici, movimento dei pedoni sulla scacchiera sono come certi duelli tra cervi o altri animali nella stagione dell’amore: incruenti, ma veri.

Le ragioni della Russia[modifica | modifica sorgente]

Ho provato a dire che la pretesa della Russia di non avere i missili Nato sul pianerottolo di casa non è balzana.

E che dobbiamo interrogarci sull’utilità dell’espansione della Nato, invece di legami commerciali, civili, politici.

Facciamo la radiografia a ogni paese che domanda di aderire all’Unione Europea, e invece la Nato è a porte aperte? Abbiamo per forza bisogno di un nemico?

Ho cercato di spiegare che tutto è molto legato all’Afghanistan.

Le ragioni di questo teatrino[modifica | modifica sorgente]

Putin, che ha visto l’impero sovietico incominciare a franare proprio lì, ha visto Biden in difficoltà, ed ha pensato che adesso era il turno dell’impero americano.

Biden, in difficoltà anche con i suoi elettori ha bisogno di girare pagina.

Da domani probabilmente la gara sarà a indossare la medaglia sul petto: “Li abbiamo costretti a tenere distante la Nato” o “Gli abbiamo fatto spegnere i motori dell’invasione”.

Meglio Russia o USA, Democrazia vs Dittatura? O "esportazione della democrazia"?[modifica | modifica sorgente]

Ombre e le penombre degli USA[modifica | modifica sorgente]

Quanto alle scelte di campo per me è ovvio vedere nella democrazia americana qualcosa che mi è più congeniale del regime russo, anche se la Russia è un paese che mi è caro. Ma non ignoro che gli USA – e specie con presidenti democraticihanno dato inizio a un sacco di guerre, e la Russia di Putin no, limitandosi a bruschi interventi in Siria e di seconda mano in Libia.

Europa[modifica | modifica sorgente]

Penso che esistano strumenti democratici di soluzione dei secessionismi (referendum di autodeterminazione, autonomie sudtirolesi eccetera) che l’Europa dovrebbe favorire. E non credo che l’Europa, anche al di là del fabbisogno energetico, abbia bisogno di individuare in Mosca un nemico, o di avere per forza bisogno di un nemico, al di là del terrorismo internazionale.

Ombre e le penombre del regime russo[modifica | modifica sorgente]

Un interlocutore, garbatamente, mi ha ricordato le ombre e le penombre del regime russo, parlando anche di un giornalista italiano ucciso. Non solo conosco le penombre russe e bielorusse, dalla Politovskaya in giù. Ma ricordo – e l’ho fatto – il nome del giornalista italiano, Antonio Russo di Radio radicale, ucciso in Georgia. Forse, in quell’ angolo di mondo dove ognuno ha i suoi torti, avrei dovuto ricordare anche Andy Rocchelli, ucciso da milizie ucraine.

L'impatto sui prezzi[modifica | modifica sorgente]

Alla fine, però, di una sola cosa sono certo. Anche se la tensione si sgonfiasse, difficilmente l’aumento dei prezzi, che dal gas ha contagiato gli articoli al consumo, farà marcia indietro, come i carri armati che risalgono su un treno.

Post del 17 Febbraio 2022[modifica | modifica sorgente]

GUERRA MONDIALE O GUERRA DEI BOTTONI

Come tutti ho fatto scongiuri, temendo la terza guerra mondiale.

Ma adesso è guerra delle diffidenze tra i grandi e dei dispetti tra i piccoli. Guerra, ma di propaganda.

Vengono diffuse foto di ponti costruiti apposta dalla Bielorussia per facilitare l'invasione.

Filorussi del Donbass e ucraini si accusano a vicenda di bombardamenti a colpi di mortaio.

Kiev mostra le foto di un asilo colpito, e per fortuna vuoto. Sembra strano l'interno senza neppure un principio d'incendio, come succede dopo un'esplosione. E ancora di più l'esterno, bombardato a vetrate intatte, come se tra gli armamenti fosse rimasta la catapulta. Forse ha ragione quella conduttrice moscovita, che ha proposto beffardamente di proclamare il 16 febbraio "Giorno della non invasione".

Ultim'ora: Biden insiste, invasione imminente. Spero davvero si sbagli, però almeno fissi una data.

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/foto/ucraina-denuncia-colpito-dai-filorussi-un-asilo_46101047-202202k.shtml

Post del 24 Febbraio 2022[modifica | modifica sorgente]

E' difficile provare a essere razionali quando sai che c'è chi muore, adesso, e quando tutto sembra una follia. L'invasione di Putin è basata su due convinzioni:

  1. Gli Stati Uniti non interverranno se non a parole, e la Nato idem
  2. Le sanzioni faranno male alla Russia ma non sono fatali.

L'invasione ha due obbiettivi, annunciati nelle parole di Putin

  1. demilitarizzare
  2. denazificare il paese. Cosa vuol dire? Distruggere l'apparato militare e destituire la dirigenza politica ucraina, magari sostituendola con uomini ucraini di fiducia.

Quanto ci vorrà per raggiungere questi obbiettivi? è questa la domanda che decide l'agenda dei prossimi giorni, e la natura del conflitto.

La terza guerra mondiale? Se qualcuno si azzardasse a intromettersi, Putin promette conseguenze mai viste, ma nessuno lo farà.

Resterà un conflitto locale, che cambia il mondo, e spoglia i sogni di quieta globalizzazione, di allegro e indolore contagio della democrazia.

Allora tutta causa di Putin?[modifica | modifica sorgente]

  • Chiediamoci se è stato saggio aprire filiali Nato come caffetterie
  • se l'Ucraina ha giocato la carta giusta, scegliendo di non essere neutra e rassicurante parte terza.

Un giorno nero per l' Europa, umiliante per gli Stati Uniti. E per Putin? Come per ogni giocatore, dipende da come finisce l'azzardo. Noi? Il barile di petrolio ha superato i 100 dollari, oggi.

Fa male al cuore vedere quel che succede, ma anche il portafoglio duole un po'.

Post del 24 Febbraio 2022[modifica | modifica sorgente]

C'è sempre una parte con cui stare: i civili innocenti, poichè non esistono guerre chirurgiche nè bombardamenti intelligenti.

Ci sono sempre colpe da distribuire:

  • Putin, la sua politica di potenza, l'ordine di invasione.
  • Biden, la sfida di una Nato senza confini.
  • Il premier ucraino che si è fatto spingere nella sfida - vai avanti tu - senza valutare che forse per l'Ucraina libera era meglio essere una terra di nessuno, o dei soli ucraini, scambi e commerci piuttosto che missili.

Nessuno è completamente innocente, se non i civili.

E a questo punto c'è da sperare con tristezza che duri poco, che la Russia di Putin smantelli l'apparato militare ucraino e ne deponga il governo, nominando un fantoccio e facendo dell'Ucraina una Bielorussia 2. No?

Protrarre la resistenza vuol dire essere spettatori di una lunga agonia o intervenire. Chi è disposto a morire per Kiev alzi la mano.

Oppure c'è da sperare che si ripeta la Georgia del 2008. La Russia si tiene Mariupol e forse Odessa, e molla l'osso.

L'Ucraina resta in libertà vigilata, la cosiddetta finlandizzazione, cioè la sovranità su trasporti, sanità eccetera, non sulle alleanze politico militari. Per chiunque ami la pace è un giorno nero.

Possiamo anche chiederci se Putin non abbia varcato la linea, se non abbia esagerato con l'azzardo, e sia ormai un'autocrate folle, distante da tutto come in fondo a uno di quei tavoli lunghi. Vedremo.

Intanto chi sta peggio, tra i cosiddetti grandi, è Biden. E anche noi europei a scaricare salve di sanzioni che faranno male a sanzionati ma anche a sanzionanti.

Ma i grandi se la cavano sempre. I civili no, che parlino russo o ucraino, o yiddish, come gli ultimi ebrei di Odessa.

Post del 25 Febbraio 2022[modifica | modifica sorgente]

IL TEMPO SULL’ISOLA

Come spesso accade alle isole, l’isola dei Serpenti, a 45 chilometri dalle coste ucraine e rumene, ha un suo microclima, piuttosto mite. I serpenti sono in realtà bisce d’acqua che arrivano dalla foce del Danubio aggrappate ai rami che galleggiano nella corrente, e gli unici animali sono cani, gatti, e i polli allevati dagli 80 abitanti, tra militari, scienziati, guardiano del faro e impiegati destinati a fare dell’isola brulla – neanche un albero – un posto abitato, cosa che conta nei contenziosi con la Romania, dopo che si sono scoperti giacimenti di gas nei fondali circostanti. Cosa è successo,ieri ? Che una nave russa si è avvicinata e ha intimato la resa alla guarnigione – tredici uomini – di stanza sull’isola. Che li ha mandati a quel paese. Sono morti tutti. Questo dice qualcosa sulla voglia di resistenza di un popolo che non se l’aspettava – non avevano fatto il pieno delle automobili né scorte alimentari – ma anche su una sfida affrontata senza realismo. Il premier Zelenski lo rivela, quando accusa il pauroso ’Occidente di averli lasciati soli: era una solitudine annunciata, ma gli ucraini non si aspettavano neanche quella. Adesso conta il tempo: se Putin non riesce, come un serpente boa, a soffocare la capitale e il governo, se l’esercito ucraino riesce a schivare le battaglie campali e trasformarsi in guerriglia – urbana, il paese è piano, uniche montagne in Crimea, e i Carpazi – se riesce a prolungare un’agonia insopportabile per l’opinione pubblica mondiale e persino per quella russa, è la sfida di Putin a diventare poco realistica, e dovrebbe trattare senza "smilitarizzazione e denazificazione", accontentandosi di una lezione inflitta, una vittoria costata cara sul piano dell’immagine. Ogni giorno di sopravvivenza, per una leadership che a Washington qualcuno starà già pensando di esfiltrare - porre in salvo per formare un governo in esilio - è tempo guadagnato, e tempo perso per l’avventura russa. Kiev non è Sarajevo, ma neanche l’Isola dei Serpenti.

Post del 25 Febbraio 2022[modifica | modifica sorgente]

UNA VIA D'USCITA ?

Pallida, ma una soluzione si fa strada. Sarebbe della Cina, che dell'invasione non poteva non sapere - Putin era stato a Pechino il 4 febbraio - la regia. La Cina si era già detta pronta ad aiutare la Russia sotto sanzioni, ma nello stesso tempo ha buoni rapporti con l'Ucraina di Zelensky. Ed è Pechino ad aver incoraggiato un contatto tra le due parti in conflitto: Putin sa che il tempo non gioca a suo favore, se Kiev resiste. Il premier ucraino, deluso e irato con l'Occidente, può sperare di resistere, ma non al costo di immolare i suoi cittadini. Una sola condizione alla trattativa: no alla Nato. Con realismo, sarebbe accettata. Sarebbe il silenzio delle armi, la parola alle parole. Troppo sangue già versato per tornare indietro ? Un cavallo di Troia per prendere Kiev e il suo leader ? Non succede, ma se succede, America ed Europa fanno la figura degli umarell e Pechino quella del capocantiere.

Post del 27 Febbraio 2022[modifica | modifica sorgente]

Chiuso ogni spiraglio di trattativa, la battaglia di Kiev è iniziata. è stata la notte degli ultimi discorsi. Adesso inizia la paura per l'impiego di armi peggiori. per la caccia all'uomo, per i bombardamenti che la corsa contro il tempo rende indiscriminati. Ogni giorno in più adesso è una sconfitta bruciante per Putin, e una costosissima vittoria per gli ucraini. Mentre il mondo condanna - la Cina, dopo aver provato a mediare, si astiene - la domanda sembra una sola: la determinazione di Kiev a non arrendersi, a vendere cara la pelle e la libertà, può muovere qualcosa a ovest, può indurre Putin a frenare, o servirà solo a rendere più feroce la battaglia finale, a prolungare un'agonia ?

Post del 28 Febbraio[modifica | modifica sorgente]

UNA COPERTA O UN PO’ DI BENZINA SUL FUOCO  ?

Stamattina si parlano. Non sono così ottimista. Immagino che la parte ucraina cercherà di non essere sbrigativa, perché ogni giorno in più di resistenza è un giorno vinto. Dall’altra parte i russi devono ottenere qualcosa presto, per la stessa opposta ragione. Hanno incontrato una resistenza più forte del previsto, e l’Occidente si è compattato, invece di dividersi. Possono i carri armati invertire il senso di marcia  ? Ho visto accanite discussioni sulle colpe, e non mi sembra più il momento. Ho ascoltato recriminazioni sul passato degli uni e degli altri: nessuno ha tutte le ragioni, nessuno ha tutti i torti. Ho sentito liti sull’indole di Putin, e non è quel che conta, adesso. Non è equidistanza, conta chi ha invaso, e iniziato una guerra: sono fatti. Ma conta come reagire. Mi sorprende che i leader europei, e in generale i media e i commentatori, non si siano buttati sull’arsenale della pace, che è fatto di soluzioni, di proposte, di mediazioni, di dilazioni, non di sola speranza. Si sono studiate sanzioni, si è fatta molta retorica sulla resistenza, si inviano armi. Non vorrei che a Washington qualcuno, ringalluzzito dalla tenuta dell’esercito e dei cittadini ucraini, pensasse che è l’occasione per far pagare l’azzardo a Putin, per farlo ritornare vinto a casa, a vedersela con un paese umiliato, con qualcuno che pensi di soppiantarlo. Certo, mi auguro che un giorno non lontanissimo anche la Russia trovi una sua democrazia, se lo vorranno i cittadini russi. Ma so bene che, davanti all’imbarazzo del vicolo cieco e al fantasma della sconfitta, Putin può essere tentato dal tanto peggio tanto meglio. Le donne che confezionano le molotov, i ragazzi che imbracciano i fucili, gli ucraini tutti che non siano davvero molto anziani non hanno visto una guerra, non ancora. La Russia di Putin ha usato solo una parte degli uomini schierati al confine, e solo una parte delle sue armi. Ho visto cento volte in televisione lo stesso grattacielo colpito da un missile, come una rarità. Vi ricordate Grozny ? Vi ricordate Aleppo ? Sapete cos’è non un missile balistico, ma un bombardamento aereo ? Putin vi sembra una belva ? Immaginatevi una belva ferita, senza i guardiani di una vera opposizione, un vero parlamento. Certo, possiamo incoraggiare gli ucraini seduti al tavolo, stamane, a non cedere in niente. Che devono solo chiedere il dietrofront dei russi, e rivendicare il diritto a entrare nella Nato, come la Macedonia o il Montenegro (è molto più facile entrare nella Nato che nell’Unione Europea, si). Possiamo pretendere che Putin si ammansisca, mandarlo a quel paese. Io non so quale sia il laccio emostatico, se si possa a quel tavolo impegnarsi a non entrare nella Nato e però avere subito il diritto indisturbato a entrare nell’Unione Europea. Non so cosa succederebbe se quattro o cinque dei premier combattenti a distanza delle capitali europee, Roma o Berlino, si dirigessero dopodomani a Kiev con il biglietto d ‘ingresso omaggio per gli ucraini nel parlamento di Bruxelles, scudi umani e politici della libertà fatta di diritti, non di missili puntati da una parte o dall’altra. Non so, non è il mio mestiere. Ma noto che non è neppure il mestiere delle cancellerie europee, e neanche delle forze politiche, tutte inadeguate al caso, sembrano in una campagna elettorale anche in questa vicenda più grande e più tragica. Trovo debole persino la voce dei leader religiosi, e di quelli morali. Quando ero ragazzo la chiamavamo “la cartolina”. Era la chiamata di leva, la chiamata alle armi. I postini sono indaffarati, in questi giorni.

Ricordatevi però che il 4 di febbraio Putin andò a Pechino e forse ricevette un via libera. Ricordatevi che il tavolo di questa mattina l’ha allestito la Cina, non le Nazioni Unite. Ricordatevi pure tutti i valori che volete, ma siate realisti. Sul fuoco si getta una coperta, lo si soffoca. Non benzina. Tra sconfiggere Putin ed evitare un conflitto mondiale, scelgo la seconda. La solidarietà migliore a chi in questa settimana è stato aggredito è fermare la guerra. Per discutere come ci si è arrivati, e i torti e le ragioni di un conflitto sordo iniziato otto anni fa, e della lunga marcia della Nato a est, per quello ci sarà tempo dopo.

Sono andato lungo, lo so. Però sto per tacere un po’. Oggi inizio a scendere nei Balcani a fare un piccolo lavoro cui tengo molto, a lungo rinviato per la pandemia. Poco computer e poco telefonino, dunque. Grazie per avermi seguito, apprezzato o criticato, ma sempre senza urlare. Arrivederci.

Post del 6 Marzo 2022[modifica | modifica sorgente]

ELOGIO DELLA RESA?

È domenica, nevica, e avrei voluto raccontarvi di questi giorni in Bosnia, a girare tra quel che resta di una guerra lontana. E invece mi torna in mente di quando ero un giovane inviato nelle rivoluzioni dell’America Latina, e non riuscivo a non sorprendermi della crudezza di una parola d’ordine diffusa: “Patria o muerte”. Veniva da un discorso di Fidel Castro nel 1960, ma assomigliava alle storie risorgimentali che mi avevano insegnato a scuola, a un’ idea del sacrificio che mi pareva marmorea, retorica, e fuori dal mio tempo (Non avresti combattuto il nazifascismo? Credo di sì, ma non è il mio tempo…). Mi è successo tante altre volte di chiedermi se avessero ragione quelli che si apprestavano, o almeno si dichiaravano pronti a morire per qualcosa, da Sarajevo a Gerusalemme, da Kabul a Mogadiscio, dalla Libia alla Siria. Sono uno che prova paura, ed evitavo di chiedermi se la mia distanza fosse viltà, o miseria di valori. Mi dicevo che morirei per salvare i miei figli, e la domanda successiva riapriva il problema: dove arriverei per difendere i figli degli altri? So come me la cavavo: non morirei, ma neanche ucciderei in nome di una bandiera, in nome di un confine, non c’è nulla che valga la vita di un altro. Questa mia confusione ritorna, in questi giorni. Voglio confessarla semplicemente, come un pensiero banale.

Non mi sorprende la voglia di resistenza degli ucraini, anche se penso che la loro esperienza di guerra, prima, fosse solo la guerra sporca del Donbass. Non mi sorprende che resistano con un orgoglio quasi commovente a un’aggressione.

Mi sorprende il loro leader, che riscuote tanta ammirazione per un comportamento che ci sembra senza pari, tra i politici nostri, e per la forza delle parole, delle espressioni, della barba trascurata e delle magliette da combattente. Un grande leader, per me, non è chi è pronto a morire. Questo dovrebbe essere il minimo sindacale. Un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva. Ecco, a me pare che Zelensky lo stia accompagnando allo sbaraglio, sia pure in nome della dignità e della libertà e dell’autodifesa, tutte cause degnissime.

E dunque mi sorprende ancora di più l’Occidente che lo spinge, lo arma, e in definitiva lo illude, perché non acconsente a dichiarare quella no fly zone che vorrebbe dire essere trascinati in guerra, come a Zelensky non dispiacerebbe. E da questa comoda posizione però incita, fosse mai che la trappola diventi la tomba per Putin: si chiamano proxy war, guerre per interposta persona, che altri combattono in nome tuo. Se va bene, bene, abbiamo vinto. Se va male, che siano curdi o afghani, hanno perso loro.

In due parole: credo che sarebbe stato più sensato e utile mediare, provare non a sconfiggere Putin con il sedere degli altri, ma a fermarlo, a scombussolarne i piani. Cosa intendo? Una resa dignitosa, una trattativa per cedere qualcosa ma non tutto, per raffreddare il conflitto, mettendo in campo caschi blu e osservatori, idee e prese di tempo. E invece vedo che piace l’eroismo, vedo che i nazionalismi non fanno più paura, che patria o morte torna di moda, dopo che anche i presidenti della Repubblica erano passati al termine “Paese”: piacciono le patrie altrui.

No, si chiama de escalation: evitare che milioni debbano scappare. Evitare che migliaia debbano morire, salvare il salvabile, le idee e le persone che si fa in tempo a salvare. Però ormai lo scelgono loro. Per quel che riguarda noi, risparmiamoci almeno la retorica.

Post del 8 Marzo 2022[modifica | modifica sorgente]

SULLA STRADA DEL RITORNO

Me ne sto tornando a casa. E prima o poi provo a raccontarvi i Balcani, dove ha funzionato il richiamo tribale: musulmani e croati con l’Ucraina, serbi con la Russia. I solitari, come dappertutto, sono pochi. Guardo le immagini dalla guerra, e mi feriscono i dettagli. Quella gabbietta con un gatto, posata a terra dalla famiglia annientata nella fuga. Gi anziani che arrancano. I bambini sicuri dell’onnipotenza dei genitori, e si sbagliano. Si può fermare ? Non lo so, ma so che c’è molta ipocrisia, a cominciare da Londra, così bellicosa, ma ferma nell’imporre il visto ai rifugiati. Ci verrà a noia anche questa guerra, forse. Intanto mi sembra che il ritorno a qualcosa che assomigli a una tregua non ha molte alternative:

-continuiamo a inviare armi. In una settimana sono stati sbarcati in un aeroporto ucraino 17mila missili anti tank e 2000 antiaereo. Possono cambiare le sorti del conflitto ? Crediamo di poter vincere ? E’ una strada: puntare sul dissenso interno russo, sull’ammissione di una sconfitta da parte di Putin…. Non credo.

- inviamo aerei, e no fly zone. Siamo pronti a imbarcarci in un conflitto mondiale.

- Zelinsky invece di chiedere aerei e no fly zone, accetta di impegnarsi a non entrare nella Nato, di concedere larghe autonomie ai secessionisti, di sciogliere il battaglione Azov e mettere fuori legge Centuria (stranamente nessuno ne parla mai…). Sì, è umiliante, ma quante vite umane salvi, mettendo Putin in difficoltà, obbligandolo a rilanciare chiedendo dimissioni di Zelensky e indipendenza delle repubblichette, ma insomma è diplomazia…..

- intervieni a mediare. L’Europa, mandando armi, si è bruciata la possibilità di mediare, fatto salvo le telefonate senza effetto di Macron. Israele ci ha provato. Le Nazioni Unite sono un fantasma. La Turchia, simbolo dei valori del campo occidentale, come sappiamo. La Cina….come in un cambio di figurine, salvo Ucraina, svendo Taiwan.

No ? In un pessimo gioco dell’oca, torni al punto di partenza: combattere. Faremo monumenti, e intitoleremo strade.

Post del 10 Marzo[modifica | modifica sorgente]

LA SEDIA VUOTA DELL'EUROPA

Potrei fare a memoria l'elenco degli ospedali bombardati che ho visto da vicino, e spesso bombardati da paesi e uniformi per bene. Conosco abbastanza le miserie delle guerre per riconoscere la stupidità delle armi intelligenti, la vergogna delle trappole - sparare per essere sparati - la macchina delle propagande, le fotografie simbolo, il cinismo dei danni collaterali: gli artiglieri non piangono sui loro sbagli, se sono sbagli. C'è un solo modo di opporvisi: far tacere le armi.

La cosa più importante, quando si negozia, è frenare l’acquisto all’ultimo minuto. Cioè le azioni militari che contribuiscono a sbilanciare a favore di una delle parti le trattative, e vengono pagate da chi muore sul campo. Allora è importante che oggi i due ministri degli esteri si parlino, ma appare evidente che manca una terza parte, in grado di mediare anche sul terreno, ad esempio organizzando e vigilando sui convogli di evacuazione, favorendo e controllando sospensioni del fuoco. Chi poteva essere la terza parte ? Le Nazioni Unite sono bloccate da veti e lentezza. Avrebbe potuto esserlo l’Europa, se non si fosse fatta parte attiva del conflitto, con l’invio di armi e le sanzioni. Non si tratta di equidistanza, nessuna confusione di ruoli tra aggressore e aggredito, nonostante il dibattito su come si sia arrivati all’invasione resti prezioso, come lezione. Si tratta di ricavarsi il ruolo che spetta a una comunità, quella europea, che dovrebbe fondare le sue politiche sul ripudio dei conflitti e sulle negoziazioni. Invece siamo scesi in trincea, e per di più solo simbolica. Li abbiamo adottati, gli ucraini che vogliono essere liberi, ma a distanza. L’unico paese che ci sta guadagnando sono gli Stati Uniti, paese per me caro, ma disastroso nelle sue politiche internazionali. Stavolta gli sta andando bene: è riuscito a mettere nell’angolo l’orso russo, e a logorarlo con la resistenza ucraina. Sì, lo ha spinto tra le braccia della Cina, ma non paga prezzo con le sanzioni, né con il fabbisogno energetico. Ha ravvivato una Nato stordita dall’Afghanistan, e ridotto a muta abbaiante l’Europa, incapace di una sua politica autonoma, lieta di essere unita come non mai, ma unita nell’impotenza. Ripeto, non si tratta di fare i Ponzio Pilato, di non indignarsi davanti alla morte di civili inermi. Si tratta di accompagnare l’Ucraina non a vendere cara la pelle – o, peggio a fare sì che sia l’Ucraina ad accompagnare noi in guerra- ma a una salvezza, con i suoi costi inevitabili (Crimea, Donbass, rinuncia alla Nato), e con i suoi meriti (il risparmio di vite umane, la sopravvivenza delle sue istituzioni, il ritorno dei profughi, la ricostruzione). E di lasciare a Putin l’eredità della sua prepotenza, tra sanzioni, costi umani del conflitto, dissenso interno: le vittorie mutilate e il silenzio delle armi per gli autocrati sono sempre più imbarazzanti del fragore della battaglia.

PS Sì, la foto non sembra una foto di guerra, e neanche una foto simbolo. è dall'album di quella ragazza che con altri due stava portando cibo a un canile, ed è morta sotto qualche bomba. Si chiamava Anastassia, credo, ma è una storia di qualche giorno fa, già ingoiata dal diario di guerra.

Post del 11 Marzo 2022[modifica | modifica sorgente]

LA GLORIA O LA VITA

La notizia che mi ha più colpito nel quindicesimo giorno di guerra – oggi è il sedicesimo – non viene da Mariupol, dall’ospedale colpito dalle bombe e finito al centro di polemiche e contrapposte propagande (anche da noi: è la prima guerra social). Non sono neanche, in sé, le dichiarazioni di due donne ai vertici delle politiche americane ed europee, che reclamano il rinvio a giudizio di Putin per crimini di guerra. La guerra è di per se stessa un crimine, e chi l’ha mossa ha commesso un crimine, ai miei occhi. Ma ho una lunga esperienza che mi porta a dire che alla sbarra finiscono gli sconfitti, non i vincitori. Esperienza diretta, e appresa a scuola: dicono niente le atomiche sulle città del Giappone ? E allora mi viene da pensare che qualcuno intravvede la possibilità di vincere. Non è un visionario: tra i russi sono caduti alti ufficiali, Putin ha licenziato 8 generali, le catene della logistica e delle comunicazioni funzionano male, le sanzioni non colpiscono solo gli oligarchi. E l’imboscata all’aggressore, il luogo in cui obbligarlo a risalire le steppe che avevano sceso convinti di vincere in pochi giorni, è Kiev. Altri luoghi, da Odessa a Mariupol, contano sul tavolo di negoziati stentati, Kiev decide la guerra. E allora si intuisce che su Kiev si misureranno aggressività e resistenza, come a Mariupol, ma più in grande, e in modo più definitivo. A Mariupol hanno cominciato a seppellire i morti, anche quelli morti di morte naturale, in fosse comuni. A Mariupol si racconta di scontri tra cittadini affamati per contendersi il cibo che resta. A Mariupol il bollettino delle vittime – 1170 - è quello di una guerra vera, non di un confronto a bassa intensità ( a un amico mi fa notare che i bollettini di un giorno di Covid sono peggiori, ho risposto che una cosa è l’ineluttabilità delle malattie, altra la mano dell’uomo). Forse non abbiamo idea di cosa sia un assedio: il buio, la fame, il freddo, e le bombe. Gli ucraini resisteranno - faranno di tutto per renderci insopportabile assistere con le mani in mano- i russi aumenteranno la pressione. Noi litigheremo di più, perché aiutare i profughi non basta, e l’indignazione corre sul filo, tra arruolarsi e disertare, tra intervenire o ritrarsi davanti all’aumento del carburante e al rischio atomico (voi che contate gli arsenali, ricordatevi che ad Aviano, da dove partivano gli aerei che vedevo arrivare su Belgrado -nessun crimine di guerra, quella volta – ci sono testate atomiche, eh). Insomma il costo della vittoria è Kiev. Il sindaco dice che può reggere solo dieci giorni, ma è facile che sia per ingolosire il nemico, e attirarlo nel tranello. Già, la notizia che mi ha colpito di più: la morte di Yegor ,e un cognome impronunciabile. Era un coscritto russo, che il giorno dopo avrebbe compiuto 19 anni. Come, pietà per un aggressore ? Sì, perché Putin sta mandando a morire molti ragazzi, e trascinando il suo paese in un vicolo cieco di vergogna e di colpa. E gli aggrediti, allora ? Certo, pietà, solidarietà, e perfino ammirazione. Però quel “Gloria all’Ucraina” mi sembra l’eco di un secolo ormai passato. Uno, su Twitter, ha rimproverato la mia viltà ricordandomi Enrico Toti. Volevo rispondergli che i nostri ragazzi lo scambierebbero per un giocatore di calcio, che era cento e sei anni fa, e che la dignità non è sempre armata. Temo che non andrà tutto bene, se nessuno ha la forza di suasione morale e politica di imporre un cessate il fuoco: e se Biden avesse la tempra di andare a Mosca, sedersi davanti a Putin ? Sì, sono un illuso. Ah, qualcuno paragona Kiev a Sarajevo. Lì, sotto casa nostra, durò 1452 giorni. è vero, non c'erano armi chimiche o nucleari, e neanche i social. Si moriva alla buona.

PS Nella foto, Yegor Pochkaenko, caduto il giorno prima del suo compleanno. Colpisce che la foto, scattata non troppo tempo prima della chiamata, sia davanti a un gioco da bambini. E colpisce lo sguardo, come attraversato da premonizione, senza sfida. Aveva già perso l'illusione dell'innocenza, forse.

Post del 12 Marzo 2022[modifica | modifica sorgente]

SAPER PERDERE

Il guaio è che nessuno sa perdere. Non sa farlo Putin, e neanche Zelensky. Il primo non molla l’osso, e continua, anche se ha perso l’occasione di una guerra lampo, i leader e l’informazione occidentale lo descrivono isolato e spaesato dalla resistenza incontrata. Zelensky non cede, anche se ha finora perso la scommessa di coinvolgere l’Occidente in prima persona, sul campo di battaglia. Ci sarebbero i margini di una trattativa che consenta a entrambi di cantare vittoria e leccarsi le ferite delle rispettive sconfitte, ma non c’è nessuno che abbia l’autorità per forzarli a trattare. Così, la guerra va avanti per inerzia verso lo scontro finale. Il giornalismo ama i titoli cubitali, e la guerra è perfetta, anche se fa male. Ma a ben guardare i numeri e le notizie, di guerra vera si è visto solo l’accerchiamento di Mariupol. Il resto è attesa, e spesso delle vittime si riesce a sapere il nome e il cognome, e le piazze dei collegamenti live, al calare della sera, sono ancora illuminate, l’unico grande dramma è quella dell’esodo dei profughi. Il resto è guerra di propaganda, da entrambi i lati: le armi chimiche, le centrali nucleari, il coinvolgimento della Bielorussia, i bombardamenti sui civili. Ho visto un filmato -russo- di interviste a profughi di Mariupol. Raccontavano di essere stato impediti nell’uscire dalla città dai difensori della città, non dagli aggressori: è assurdo  ? Leggo i nostri giornali, sento gli interventi nei nostri talk: mi sembra strano che la Russia non sia ancora crollata su se stessa. L’unico rifugio è dubitare sempre, specie quando tutti, anche colleghi che avevano schivato la noiosa e tranquilla naja italiana, indossano l’elmetto. Questa inerzia conduce dritta a due soluzioni: la libanizzazione – o balcanizzazione o quel che volete di stati a brandelli - con un paese spartito in ostilità permanenti (l’Occidente, quando affida alla forza e non alle idee e agli stili di vita la sua egemonia è piuttosto abile nel creare Stati falliti ), Kiev salva e i carri armati che ripiegano e si accontentano di questa Kraina filorussa ingrandita. O la battaglia finale, Kiev come Mariupol. Più uomini in guerra, più armi, e armi peggiori, e alla guerra come alla guerra, senza risparmio di vite, è in gioco la democrazia, ma non mandiamo aerei, è adozione a distanza di sicurezza. Vedremo nelle prossime ore, quando qualcuno ci tratterà da vili egoisti, preoccupati solo di carburante e olio di mais, noi italiani che per cultura conosciamo l’umanissima arte di saper perdere.

Post del 13 Marzo 2022[modifica | modifica sorgente]

Lezioni di piano

Diciottesimo giorno di guerra, domenica. Intanto vorrei ringraziarvi tutti, uno per uno, per aver partecipato finora a una discussione difficile senza disumanizzare chi non la pensa come voi: né eroi né vigliacchi, né servi di questo o di quell’altro. Per il resto non invidio chi non ha incertezze, chi è sicuro di sé e feroce nel giudizio sugli altri. La libertà, anche quella di pensiero, è spesso tormentata da dubbi, è autocritica, non è un atto blindato di fede. Però su qualcosa, in questo Paese conformista, possiamo essere tutti d’accordo senza vergognarcene: bisognerebbe fermare il massacro annunciato di Kiev, evitare che la capitale ucraina sia una Mariupol in grande. Non ci sono molte alternative:

  • Si tratta, a Gerusalemme o altrove.
  • Non lo si ferma. Le truppe di Putin sferrano l’attacco. Costerà ingenti perdite loro, ma anche lo spianamento di rifugi e nidi di resistenza. La leadership ucraina sfugge al cerchio, e governa sull’ovest del paese, o in esilio, oppure si sacrifica e passa alla storia.
  • Putin viene fermato da un colpo di mano interno, a Mosca
  • L’esercito russo si attesta attorno a Kiev ma non muove all’attacco, aspetta di prendere la preda per fame, e intanto guadagna terreno nell’est e nel sud del paese, la questione Kiev diventa la questione Odessa
  • La resistenza ucraina vince, imboscata dopo imboscata, l’attacco viene respinto

Alcune sono ipotesi remote, ma tutte rimandano a una domanda: che facciamo noi ? Passare armi a Kiev: non cambia le sorti del conflitto, e accresce il rischio di coinvolgimento, dopo che i convogli sono stati definiti obbiettivo militare. Aiuto umanitario: sacrosanto. Supporto alla diplomazia: nullo. Il clima informativo, politico, culturale è quello di una escalation. Circola un video prodotto a Kiev, dove con tecniche da videogioco si mostra Parigi sotto bombardamento. La frase che chiude la scena è semplice: “Se noi cadiamo, tu cadi”. Se in gioco contro il nuovo Hitler non è la Nato, ma l’Europa, se in gioco sono i nostri valori, la nostra stessa sopravvivenza, se in ballo è il rispetto di noi stessi – come tollerare inerti le stragi ? – allora la no fly zone è un dovere. Basta che ce lo dicano, facendo l’appello per vedere se qualcuno ha marcato visita. Devono convincerci che i russi, che da comunisti mangiavano i bambini, adesso bombardano ospedali per non farli nascere. Devono convincerci che torturano e uccidono apposta i civili per spargere il terrore. Devono convincerci che Stepan Bandera è uno dei fratelli Rosselli, che il Donbass è stato un incruento Sudtirolo, che Zelensky è l’uomo del destino, e non un leader tanto coraggioso quanto incauto. A me non serve: mi basta sapere che uno è l’aggressore e l’altro l’aggredito, per dare un giudizio in punta di fatto, e sperare che ci si fermi, non che si vada fino in fondo e a fondo, tutti, russi cattivi e ucraini buoni e noi con le nostre piccole truffe sui carburanti, gli inganni sulla pelle dei profughi, gli eroismi di carta e l’irrilevanza dei leader politici, la generosità semplice di chi invia e porta pannolini e latte. Ma per sperare che si negozi, che non si rotoli verso l’ineluttabile, mi basta il video di quella giovane donna che suona per l’ultima volta il pianoforte di casa sua. E’ solo Kharkiv.

Post del 13 Marzo 2022[modifica | modifica sorgente]

OFF TO WAR

Ricordo, negli anni delle guerre balcaniche, un bellissimo articolo, sul Corriere della Sera, di Ettore Mo ed Eros Bicic. Era dedicato ai giornalisti vittime di quelle guerre (quando venne scritto l'articolo erano una sessantina, alla fine diventarono il doppio). Li ricordava come in una Spoon River dell'informazione: poche righe e un dettaglio non retorico, che aiutava a capire come ogni vita sia unica. è tanto che non sento Ettore, e ho perso di vista Eros. Ma stasera mi aspetterei qualcosa così, per Brent Renaud:

"non mi sono accorto di morire, perchè il proiettile mi ha attraversato il collo. Così, non ho fatto a tempo a rivedere la mia vita, che non è stata così breve, perchè sono morto che avevo 51 anni. Non voglio però tirarla troppo per le lunghe, adesso: il lavoro di cui sono più fiero è quel documentario di diciotto anni fa, più o meno. Ho seguito un gruppo di ragazzi e uomini di una certa età della Guardia Nazionale dell'Arkansas, impiegati, contadini, diciottenni con i brufoli e uomini con la pancia. L'addestramento, e poi l'Iraq. Come la guerra ti cambia. è un documentario girato assieme a mio fratello. Sarà dura, adesso, per lui. "

Quando toccava a qualcuno, nei Balcani, se la notizia arrivava che si era insieme, in una press conference o altrove, le telecamere venivano poggiate a terra, per un omaggio silenzioso. Però accese, come la telecamera di Zivko Kristicevic, che cadde a terra lungo l'argine di Turanj, e la sua telecamera registrò il respiro affannoso della vita che si spegne. Il documentario dei fratelli Renaud si intitolava "Off to war".

Post del 14 Marzo 2022[modifica | modifica sorgente]

FAR VINCERE LA PACE

La guerra è una macchina dell'orrore. Non fai a tempo a sapere che madre e bambino della foto simbolo dell'ospedale di Mariupol sono morti, che giungono le immagini di un bombardamento a Donetsk, in una fila di anziani, venti morti. Morti dal lato sbagliato ? Mi pare di sentire con il ditino alzato qualcuno che mi spiega chi ha aggredito, dove sta la difesa della democrazia, quali sono i nostri valori. Sono tutte cose che ho ben chiare, non c'è bisogno di ripeterle. Resta che il terzo round di colloqui è saltato subito, che l'America non è entusiasta di vedere la Cina come mediatore, che l'incancrenirsi della guerra non dispiace a tanti, perchè, anche questo ci viene spiegato, la Russia è sul punto di crollare. Cosa che temo esattamente come un suo trionfo totale: a mali estremi, estremi rimedi, guai mettere nell'angolo un paese con le atomiche. Però, a parlare di pace, sei filo, sei codardo, se c'eri tu Hitler ancora spadroneggiava. Na, sono solo un po' vecchio, bisognoso di pace, e ne ho viste tante, di guerre giuste - in realtà l'ultima è recente, donne afghane che non valevate tanto tormento - sono solo uno d'altri tempi, un po' come 'sti vecchietti di Donetsk, che non sapevano di essere aggressori.

Post del 15 Marzo 2022[modifica | modifica sorgente]

Brava, e coraggiosa. Uno schiaffo in faccia al regime, e all'aggressione. Ma non è una carezza all'informazione occidentale, dove c'è libertà, ma anche conformismo da vendere. La guerra finirà a maggio, fa sapere la dirigenza ucraina. Putin tace. E intanto ? Le complicazioni sono sempre dietro l'angolo, e i civili possono attendere la bella stagione.

Post del 16 Marzo 2022[modifica | modifica sorgente]

QUALE TABù SFATARE

Ci sarà pure qualcuno che non si rassegna al fatto che la brava giornalista Marina Ovsyannikova, che ha mostrato un cartello contro la guerra in diretta al telegiornale, sia stata condannata solo a una multa e non inviata in un gulag.

C’è ovviamente da non perderla di vista, ma il suo gesto restituisce intanto l’onore al popolo russo. Che può essere sotto il dominio di un autocrate, che ai loro occhi ha il merito di aver restituito orgoglio alla nazione russa, che tanti volevano oltre che vinta, stravinta e umiliata. Ma resta un grande popolo, per storia, cultura, carattere.

Fa male vedere tanti scomodare i paragoni con Hitler – sì, lo so, sono dedicati a Putin il pazzo, il malato, il gonfio distante… - davanti a un popolo che ha sconfitto il nazismo pagando il prezzo di 25 milioni di morti. Dovremmo stare zitti, noi, sul tema.

E forse, per quel che riguarda il passato, dovrebbero astenersi da quel paragone gli ucraini, per la cui sorte oggi trepido, ma che a Stepan Bandera, volenteroso collaboratore del nazismo, hanno dedicato un francobollo.

Lo chiamino nuovo Stalin, se vogliono. E del resto il controllo russo sui propri stessi cittadini è capace di ridicolizzarsi da solo: basta vedere come hanno dato notizia della sentenza, sbianchettando il cartello, lo vedete in foto, così che il SENZA PAROLE diventa ancora più efficace della scritta originale.

Ma la notizia del giorno è un’altra: quell’ammissione a mezza bocca del presidente Zelensky. Sì, lo so, non faremo mai parte della Nato. Suona un po’ come un innamorato respinto, ma perché non farla venti giorni fa?

Sì, mi dite che Putin avrebbe invaso lo stesso, perché ha in odio la democrazia ai suoi confini, perché il suo sguardo punta alla Polonia e ai paesi baltici. Intanto sarebbe stato una piccola molotov nei cingoli dei carriarmati russi, quell’impegno rassegnato di neutralità, si trovassero altri alibi.

Già, la parola neutralità, che improvvisamente è diventata vigliaccheria, e untuosa equidistanza, e comodo equilibrismo tra la vittima e l’aggressore. Ma è un’offesa alla libertà dell’Ucraina, alla sua democrazia, al futuro dei suoi bambini essere neutrali? E’ una libertà vigilata non ospitare esercitazioni Nato come quelle dello scorso anno, e basi come quella bombardata l’altro giorno, ai confini della Nato, come sottolineano preoccupati i titoli dei giornali?

Non mi sembra, e comunque meglio che lo stillicidio di vite umane, e il massacro dell’assalto finale, pur di stare nella Nato. Vedo che a molti prudono le mani, e ti danno facile del disertore, anche se siamo tutti in infermeria, fureria, permessino e licenza ordinaria. Vedo che perfino l’idea della no fly zone incomincia a essere descritta come un tabù, e davanti a una situazione più intollerabile anche i tabù sono meno solidi.

L’Estonia è il primo paese a chiederla. Non cambierebbe moltissimo, sul teatro di battaglia: i missili sulla caserma in cui sono morti anche tre ex parà britannici - lo leggo sui giornali inglesi - sono stati lanciati da aerei che volavano su territorio russo.

In più, una no fly zone equa impedirebbe di alzarsi in volo anche ai droni ucraini, che hanno seminato distruzioni sulle colonne russe. Cambierebbe che bisognerebbe ingaggiare duelli con gli aerei russi, e il sogno di Zelensky sarebbe realtà: tutti in guerra.

Ma il nemico vero, nei prossimi giorni non sono i cieli. E’ l’artiglieria. La macchina militare russa è tra le poche a contare su obici imponenti, fatti apposta per l’assedio alle città, forse è la memoria storica di Stalingrado, non lo so. Gli assaggi dell’orrore della guerra di Putin sono sotto i nostri occhi: ospedali assediati, anziani che lasciano il posto ai giovani nella fuga, bambini che subiscono amputazioni.

La resistenza rallenta l’avanzata, ma non diminuisce l’orrore, lo rinvia, lo prolunga, lo trasforma in costo della vittoria. Le città, e Kiev in particolare, saranno la foresta di cemento in cui avanzare e in cui difendersi. Costi altissimi, per i combattenti e per i civili. Per contenerli chi attacca deve spianare, prima. Chi si difende potrà contare, sembra, su mitragliatrici Beretta MG 42/59, inviate da noi. Credo saremmo stati più decisivi giocando un altro ruolo, e lavorando attorno a un’altra parola tabù: la pace, subito.

Link da ritrovare[modifica | modifica sorgente]

>ANSA-BOX/ Capuozzo, 30 anni dopo Sarajevo stessa follia Ucraina (di Francesca Pierleoni)

(ANSA) - ROMA, 04 APR -

L'assedio di Sarajevo dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996, "il più lungo della storia moderna" ricorda Roberto Olla, viene ripercorso a 30 anni dal suo inizio nella serata speciale che Focus (Canale 35) dedica al racconto della guerra nella ex Jugoslavia. Un'esplorazione fra traumi, vittime, macerie e atrocità, quanto mai attuale, viste le immagini che arrivano dall'Ucraina. Ad aprire la serata, curata da Carlo Gorla per la Direzione Generale Informazione Mediaset, è in prima serata, lo speciale di Roberto Olla 'Jugoslavia, la morte di un Paese', sulla  dissoluzione della Jugoslavia di Tito. A seguire, con la regia di Roberto Burchielli, Toni Capuozzo e il suo  cameraman Igor Vucic rievocano le cronache di quei giorni nel reportage 1992-2022 - Ritorno all'Inferno.

"Undici mila 541 mila sedie rosse, una per ogni vittima, uccise dai proiettili dei cecchini e dalle schegge delle granate", hanno ricordato a Sarajevo in occasione del trentennale, l'inizio dell'assedio, esordisce Olla nel suo racconto. Sarajevo "era in qualche modo il simbolo di una città multietnica - sottolinea nello speciale la diplomatica Laura Mirachian, capo missione durante la guerra dei Balcani -. Era la prima volta che in Europa esplodeva un conflitto del quale poi avremmo capito la portata". Il racconto tra immagini d'archivio, testimonianze e commenti, traccia un viaggio nella storia del Paese, dal dominio unificatore di Tito alla sua dissoluzione dopo il crollo del Patto di Varsavia.  Il "mosaico artificiale" tenuto insieme  da Tito fatalmente si scompone, spiega il generale di Brigata Nicola Conforti. Il 3 marzo 1992 la Bosnia proclama l'indipendenza: "i serbi hanno iniziato una rivolta contro una Bosnia indipendente e unita e prendono le armi perchè temevano un Paese sotto guida musulmana" dice il docente di storia contemporanea Roberto Morozzo. "I massacri e le stragi di civili sconvolgono l'opinione pubblica mondiale" aggiunge Olla, si arriva così all'istituzione da parte dell'Onu di un tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia: "E' la prima volta dopo la seconda Guerra Mondiale e il tribunale di Norimberga".

Lo speciale riporta anche a luoghi martire della guerra, come Srebenica dove la protezione dell'Onu (che hanno avuto a lungo regole di ingaggio limitate, ndr) non funziono' e ci fu nel 1995 un eccidio da parte dei serbi di Bosnia, della popolazione locale musulmana, con l'uccisione di oltre 8300 persone . Violenze davanti alle quali l'occidente, diviso sul conflitto, non ha saputo dare a lungo risposte adeguate.

Diventa ancora più personale e di grande intensità il racconto nello speciale di un grande inviato di guerra del Tg5 come Toni Capuozzo, che in apertura del suo ritorno a Sarajevo 30 anni dopo rincontra  il cameraman che ha raccontato con lui l'assedio,  Igor Vucic: "E' come avere le stesse cicatrici". In questi giorni "e' difficile essere qui e sapere quello che succede in Ucraina  - spiega il giornalista  - Le guerre sono tutte diverse ma hanno sempre qualcosa in comune. La follia, l'orrore, il dolore, le illusioni. Essere in un posto dove hai vissuto una guerra e vedere in televisione le immagini dell'Ucraina mi fa chiedere cosa capiterà fra 30 anni, se qualcuno tornerà a Kiev e cosa sarà di quei destini". Il viaggio riporta Capuozzo e Vucic a ritrovare persone e luoghi legati a quel drammatico periodo, evocati dalle immagini girate allora, come l'allora infante Kemal, che era rimasto senza una gamba, dopo essere stato colpito da una granata, che aveva ucciso sua madre. Non essendo possibile trovare protesi per il piccolo a Sarajevo, Capuozzo (che poi ha ospitato il bambino nella sua famiglia per cinque anni, ed ha continuato ad aiutarlo attraverso gli anni, ndr)  e i suoi colleghi decisero di portarlo in Italia. "Lì abbiamo cambiato qualcosa - osserva il giornalista - tutto il resto è stato un piccolo lungo giro nell'inferno".

Le guerre "finiscono per fortuna, i ricordi restano. Sono tatuaggi che non si vedono - aggiunge -. Gli stessi errori, le stesse tragiche illusioni ritornano di guerra in guerra". (ANSA).

Y64-MA

04-APR-22 18:02  SXB