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Cancel culture e illiberali di sinistra
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===Com'è nato il termine cancel culture=== Secondo Vox il primo uso del termine è datato 1991 ed è intriso di machismo. Il verbo to cancel inizia a essere usato come l’azione di eliminare qualcuno dalla propria vita. Secondo alcuni linguisti specializzati nella cultura afroamericana come Anne Charity Hudley, «il concetto della cancellazione non è nuovo alla black culture». Per i più critici come Ligaya Mishan, la cancel culture è solo la versione più patinata e moderna del vecchio capro espiatorio caro agli ebrei o del pharmakos caro ai greci. La cancel culture è vista come naturale evoluzione della "Call-out culture". Il termine risale ai primi anni 2010, si rifà agli spazi su Tumblr e indica l’abitudine sui social di esporre comportamenti considerati impropri, senza però chiedere la testa della persona che quei comportamenti aveva adottato. Che cos’è cambiato rispetto al passato? In fondo come umani il nostro istinto è stato sempre quello di cancellare qualcuno che non sopportiamo: di desiderare ardentemente il licenziamento di quel collega insopportabile; di volere eliminato dalla competizione elettorale quel partito che consideriamo pericoloso. Abbiamo sempre esposto e diffamato chi non gradivamo, magari tramite sussurri e campagne diffamatorie di orecchio in orecchio. Ma per [https://it.wikipedia.org/wiki/Anne%20Applebaum Anne Applebaum], che ha scritto il favoloso articolo '''“The new puritans”'''. E più che un mezzo per smascherare gli inganni, combattere gli abusi del potere e contrastare le ingiustizie tramite la potenza della rete, rischia di trasformarsi in una sequela di linciaggi di folla sui social media. A farne le spese, più che i potenti sono le persone comuni. Quelle che, a differenza di scrittori, comici e celeb, non hanno una fama, un’autonomia e una potenza tali da ricrearsi una carriera professionale. Persone che hanno perso tutto – lavoro, soldi, amici, colleghi – senza aver mai violato una legge, e talvolta neanche alcuna norma sul luogo di lavoro. '''Ma che magari, prosegue la Applebaum''', «hanno violato (o sono stati accusati di aver violato) codici sociali che hanno a che fare con la razza, il sesso, il comportamento interpersonale, o addirittura il senso dell’umorismo, che magari non esistevano cinque o più anni fa. Alcuni hanno fatto errori di giudizio. Altri non hanno fatto proprio niente. Difficile a dirsi». Ma scava nelle storie di chiunque sia stato vittima di una moderna “giustizia della folla” e spesso troverai «incidenti di percorso, che sono interpretati, descritti o ricordati da differenti persone in differenti versioni».
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