-washing

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Greenwashing, neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata[1] o ambientalismo di facciata[2], indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale, allo scopo di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli effetti negativi per l'ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, che venne instaurata già dagli anni settanta[3].

Storia[modifica | modifica sorgente]

Il termine è una sincrasi delle parole inglesi green (verde, colore simbolo dell'ecologismo) e washing (lavare) che richiama il verbo to whitewash (in senso proprio "imbiancare, dare la calce", e quindi per estensione "coprire, nascondere"): potrebbe pertanto essere reso in italiano con l'espressione "darsi una patina di credibilità ambientale".[4] La sua introduzione viene fatta risalire all'ambientalista statunitense Jay Westerveld, che per primo lo impiegò nel 1986 per stigmatizzare la pratica delle catene alberghiere che facevano leva sull'impatto ambientale del lavaggio della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, quando in realtà tale invito muoveva prevalentemente da motivazioni di tipo economico.[5]

Il greenwashing è stato definito:

«Una forma di appropriazione indebita di virtù e di qualità ecosensibili per conquistare il favore dei consumatori o, peggio, per far dimenticare la propria cattiva reputazione di azienda le cui attività compromettono l'ambiente»

(Valentina Furlanetto, L'industria della carità, p. 156)

una lista dei cosiddetti peccati da greenwash:

  • NASCONDERE LA VERITA : si tratta di una strategia comunicativa che prevede che si consideri un prodotto green basando la comunicazione solo su una singola caratteristica ed ignorando quelli che sono gli aspetti di impatto dal punto di vista ambientale. Non si tratta di una diffusione di un messaggio falso ma cercano di rendere ecologici prodotti che di fatto non lo sono. Dai risultati è emerso che si tratta della pratica più utilizzata (negli USA nel 73% dei casi analizzati, in Inghilterra fino al 98%).
  • NON DIMOSTRARE : consiste nel dichiarare caratteristiche che non sono accompagnate da sufficienti informazioni o da certificati rilasciati effettivamente da terze parti.
  • VAGHEZZA: consiste nell’utilizzo di affermazioni imprecise, poco chiare, che possono facilmente garantire equivoci e malintesi con il consumatore.
  • FALSE ETICHETTE: quando le parole o le immagini di un certo prodotto danno l’impressione che ci sia un certificato di parte terza, mentre in realtà non esiste[6]
  • IRRILEVANZA: si enfatizzano caratteristiche green che in realtà sono inutili e non rilevanti ai fini di una scelta consapevole
  • SCEGLIERE IL MINORE TRA I DUE MALI: non si tratta di fornire informazioni false quanto invece vantare una caratteristica del prodotto che non risolve l’impatto ambientale (esempio il tabacco biologico)
  • MENTIRE: si tratta dell’utilizzo di un’affermazione falsa, l’esempio più comune è quando un prodotto viene etichettato “energy star” ma non è effettivamente certificato.

Voci correlate[modifica | modifica sorgente]

Note[modifica | modifica sorgente]

Articolo estrapolato da Wikipedia.

  1. “Ecologisti di facciata”: a Firenze Fridays For Future manifesta alla Coop
  2. "No all'ambientalismo di facciata". Il Green New Deal secondo Von der Leyen
  3. Greenwashing
  4. Una mano di greenwash, su Terminologia etc. - Terminologia, localizzazione, traduzione e altre considerazioni linguistiche, 30 gennaio 2013. URL consultato il 21 maggio 2015.
  5. Jim Motavalli, A History of Greenwashing: How Dirty Towels Impacted the Green Movement, in Daily Finance, 11 febbraio 2011. URL consultato il 21 maggio 2015.
  6. Michele Crivellaro, Giampietro Vecchiato e Federica Scalco, Sostenibilità e rischio greenwashing, 2012, ISBN 9788862922296.